Salta al contenuto principale Skip to footer content

Gaetano Serra Zanetti

1807 - 1862

Scheda

Il fortunato reperimento, presso la famiglia degli eredi, di un considerevole gruppo di opere dell'artista consente di seguire da vicino le tappe della sua formazione e evoluzione stilistica. Entrato giovanissimo all'Accademia di Bologna, sotto la guida di Francesco Alberi e di Giuseppe Badiali si distingue con numerosi premi scolastici (1828-30) che gli valgono le lodi dell'ambente accademico e della critica: in un suo Ritratto di giovane presentato all'Esposizione del 1833 si ammirano "il forte effetto... la franchezza e la maniera della scuola italiana" (Repertorio Enciclopedico, 23 marzo 1833) e uguali doti di verità si ravvisano nel Ritratto del prof. Leandro Marconi in cui addirittura "poco si scorge a prima vista, tanto è il vigore e la vita onde il volto è dipinto" (Gazzetta privilegiata di Bologna, 23 maggio 1835) presentato all'Esposizione del 1835. In questo stesso anno, oltre a vincere con Belisario cieco e miserabile il Piccolo Premio Curlandese e il premio grande dell'accademia per il disegno di figura con Pausania morto di fame, viene tratto fuori dal tempio e consegnato ai parenti (in cui la commissione, dopo aver criticato "le figure alquanto goffe" e giudicato "indecoroso l'avere presentata la nudità di lui", ritrova "accomodata fantasia e sentimenti non esagerati, come altresì molto studio e diligenza nell'esecuzione del lavoro"), espone un episodio tratto dalla storia ebraica, Resfe che fa scudo colle vesti ai corpi dei suoi figli morti in croce onde non siano preda di un avvoltoio (Bologna, collezione privata), ancora legato alla tradizione accademica bolognese.

Nelle opere del '37 l'artista mostra i primi tentativi di aggiornamento: Gli ultimi momenti di Atala opera già tipicamente romantica, in cui è presente la cultura fiorentina e anche il ricordo del Correggio, notato dai contemporanei soprattutto nella "limpidezza" e "il contrasto di chiaroscuro" (Gazzetta di Bologna, 2 settembre 1837) è aspramente criticata da M. Gualandi, interprete della critica d'arte più impegnata, e a queste date accorato sostenitore del neoclassicismo. Anche la pittura religiosa, con la pala per la chiesa parrocchiale di S. Agata bolognese, La Beata Vergine col Bambino, S. Gaetano Tiene, S. Antonio Abate, S. Matteo e l'Angelo del 1836, pur nel consueto schema piramidale della composizione egli dimostra, nei più mossi e vivi atteggiamenti delle figure e della naturale espressione del S. Matteo una ricerca di riferimenti diversi dai soliti esempi del Seicento bolognese, che si confronta con le opere del Cinquecento italiano tradotte con eccenti di maggiore verità e naturalezza. Pare quindi plausibile collocare in questi anni i viaggi di istruzione di cui ci informa G. Ungarelli nel suo opuscolo sull'artista, prima a Parma per studiare meglio Correggio, poi a Firenze presso il prof. Farini (dove ha modo di conoscere Bezzuoli) e a Venezia per ammirare Tiziano. Proprio a Venezia, in seguito all'amicizia col pittore polacco Taddeo Gosetschi, egli mette a punto una particolare tecnica pittorica, che consiste nell'uso di vernice che formando un glutine trasparente serviva non solo a stemperare i colori ma anche a tenerli più pastosi e lucidi.

Nel 1838 ottiene il premio grande dell'accademia con Ezzelino da Romano prigioniero, che mostra una diretta filiazione da Bezzuoli nell'impostazione teatrale della composizione. Dopo questi primi successi (nel 1840 esegue per la Chiesa di S. Agata Il Martirio di S. Andrea) grazie ad una pensione dell'accademia si reca a Roma dove si trattiene alcuni anni perfezionando la sua conoscenza delle opere della grande tradizione italiana (di questo periodo sono una copia della Trasfigurazione di Raffaello e di una Madonna di Guido Reni). Tornato in patria, presenta all'esposizione dell'accademia del 1846 un Autoritratto, singolare atto di accusa contro la penuria di commissioni e le difficoltà della vita dell'artista del suo tempo, il Ritratto di Gualandi, il Ritratto di Cavara, tutte "teste pennelleggiate in robusto" (La Farfalla, 2 dicembre 1846), e una Madonna col Bambino e due santi "traente all'ingenuità modestissima onde son belli i dipinti del quattrocento" per la Chiesa di S. Francesco a Bologna. Nello stesso anno, per commissione dello zar di Russia Niccolò I, esegue, accanto ai più importanti artisti bolognesi del suo tempo, copie di celebri quadri della scuola bolognese, tra cui quella del Pallione di Reni della Pinacoteca.

Negli anni '50, anni in cui Bologna ha ormai accettato il ricorso alla tradizione del Quattrocento e del Cinquecento, all'artista non mancano successi e commissioni: del 1851 è l'Incredulità di S. Tommaso, commissionato dal marchese Davia per la sua cappella in S. Francesco, che "ricorda la divina scuola degli immortali cinquecentisti" (L'Iniziatore, 23 gennaio 1851; l'opera è oggi conservata presso il Museo Davia Bargellini), dello stesso anno gli interventi di restauro al quattrocentesco oratorio dello Spirito Santo di S. Agata Bolognese. D'accordo con Adeodato Malatesta (suo grande amico, che lo aveva ritratto in un'opera presentata all'esposizione bolognese del 1850) Serrazanetti ridipinge la figura, completamente distrutta, di S. Andrea, mentre Malatesta, cui spettava ridipingere il Redentore, è costretto per i troppi impegni che lo trattengono a Modena a rinunciare all'esecuzione ad affresco inviando al suo posto una pittura su tela. Ma accanto all'intensa attività di pittore religioso (del 1853 sono gli affreschi per l'oratorio dei Minori conventuali di S. Francesco) continua la produzione di ritratti e quadri di storia.

Nel 1856, anno in cui viene eletto professore accademico soprannumero, espone due ritratti "assai belli e finitissimi" Ritratto del padre Gaspare e Ritratto di G. Badiali. L'anno seguente invece un episodio tratto da un carme di Silvio Pellico, Eudo il proscritto ridotto a vita selvaggia nella valle del torrente Chiusone in sola compagnia della figlia Tancreda. Nominato nel '59 professore dell'educazione e dell'istruzione artistica nel Collegio Venturoli (dove avrà, tra gli allievi, Luigi Serra e Raffaele Faccioli), nel '60 il suo nome viene posto (accanto a quelli di Faustino Muzzi e Andrea Besteghi, che poi per favorirlo rinuncia a candidarsi) per la successione a Clemente Alberi alla cattedra di pittura dell'accademia. Ma i suoi trascorsi politici abbastanza movimentati (la partecipazione ai moti del '31, l'amicizia con Giuseppe Pacchioni) provocheranno il parere negativo del Governo Centrale.

Elisabetta Farioli

Testo tratto dal volume "Dall'Accademia al vero – La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità d'Italia", Bologna, Grafis, 1983.