Scheda
Del primo Novecento bolognese non è rimasta una grande conoscenza da parte del pubblico, soprattutto per quanto riguarda la scultura, un ambito che soffre di un particolare disinteresse. Il museo del Risorgimento di Bologna lavora da anni per la rivalutazione del cimitero monumentale della Certosa, provando a diffondere la conoscenza del lavoro di scultori come Cincinnato Baruzzi, Diego Sarti e Silverio Montaguti. Tra gli scultori bolognesi, uno in particolare è rimasto poco noto, nonostante il fatto che abbia goduto di una significativa notorietà durante la sua vita: Giuseppe Romagnoli. Infatti, Romagnoli ha passato gran parte della sua vita fuori da Bologna, pur essendo nato e avendo studiato in questa città. Da qualche anno, scultori della sua generazione (come Pasquale Rizzoli(1) o Silverio Montaguti, menzionato prima(2) sono stati oggetto di studi; tuttavia, manca ancora uno studio monografico dedicato a lui nello specifico. Giuseppe Romagnoli ha avuto una carriera artistica molto completa, facendosi conoscere nell’ambito della scultura, della medaglistica e della pittura. La sua attività di medaglista è conosciuta e riconosciuta, tanto che Giancarlo Alteri lo qualifica come «uno dei più grandi medaglisti mondiali del XX secolo(3)».
Romagnoli è anche abbastanza noto come pittore; due mostre gli sono state dedicate a Roma, di cui una che si è concentrata solo sulle sue tele(4). Ma la sua carriera di scultore è rimasta meno studiata, benché occupi almeno i primi quarant’anni della sua vita.
Il nome di Romagnoli appare in diverse pubblicazioni artistiche dell’inizio del Novecento. Romagnoli vi è spesso menzionato a causa del suo essere legato ad artisti famosi e ad alcuni movimenti artistici noti. Pensiamo per esempio ai cataloghi Alfonso Rubbiani. I veri e i falsi storici(5) e Il Liberty a Bologna e nell’Emilia Romagna(6). Più recentemente, un articolo di Rosa Maria Villani, «Giuseppe Romagnoli, sculture e medaglie a confronto(7)», si è interessata al percorso di Romagnoli. Sebbene breve, lo studio della Villani resta ad oggi una delle poche esplorazioni della carriera dello scultore. Questo notevole artista merita di divenire oggetto di studi che evidenzino le sue abilità scultoree in modo approfondito. Inoltre, Giuseppe Romagnoli ha avuto un percorso molto interessante, trovandosi sempre a stretto contatto con le istituzioni ed i principali centri artistici bolognesi. Basandosi su diversi studi, questo articolo tenterà di offrire una bozza di monografia, raccogliendo le informazioni esistenti su Romagnoli e offrendo nuovi spunti sul suo lavoro. Ci concentreremo sull’inizio del suo percorso e sulla sua carriera di scultore, fino agli anni Venti circa. Ci focalizzeremo poi sulla sua attività e sulle sue opere nella loro centralità per la vita culturale bolognese dell’epoca. Questa non conserva molte opere dello scultore – la maggior parte si trova presso la Repubblica di San Marino – ma, grazie al Collegio Venturoli, all'Accademia delle Belle Arti e all'Associazione Francesco Francia, si può avere un panoramica della sua vita e delle sue opere. La maggior parte degli storici dell’Arte accordano nell’affermare che Giuseppe Romagnoli sarebbe nato il 14 dicembre 1872, come stabiliscono i documenti conservati dal Collegio Artistico Venturoli(8). Abbiamo poche informazioni sulla sua infanzia, ma sappiamo che le sue origini modeste gli permettono di entrare nel 1885 nel Collegio Venturoli, un’istituzione che si poneva come obiettivo la formazione di artisti provenienti da contesti difficili. Romagnoli è in classe con Cleto Capri, Giovanni Masotti, Alfonso Modonesi e Alberto Pasquinelli; vi arriva all’età di dodici anni e vi rimarrà fino al dicembre 1892. Romagnoli riceve una formazione artistica e teorica molto completa, con corsi di lingue, letteratura e scienze naturali. Tra gli insegnanti di questo periodo troviamo Alfredo Tartarini, famoso artista decoratore. Gli archivi del Collegio ci mostrano Romagnoli come uno studente dotato e disciplinato. Il giovane artista ottiene frequentemente voti alti sia per il suo comportamento sia nelle materie pratiche. I disegni realizzati dal Nostro presso il Collegio rivelano l’apprendimento degli insegnamenti ottenuti: ci sono disegni dal vero (con modelli maschili nudi o vestiti), schizzi fatti in campagna, delle nature morte e delle vedute di edifici. Gli studenti studiano diverse tecniche, come il contorno con linee precise fatta a matita o a penna, o ancora l’ombreggiatura con diversi tratteggi. Queste prime opere sono anche delle testimonianze commoventi della vita scolastica di questi giovani artisti che si disegnano tra di loro, mostrandoci il loro ambiente di lavoro. È più difficile invece riconoscere i loro gusti: si può capire che i soggetti sono sempre più o meno guidati dal professore e, benché possiamo vedere una certa maniera propria di ciascuno, gli schizzi si assomigliano abbastanza.
Quando esce dal Collegio Venturoli, l’artista presenta un saggio di scultura (Nudo maschile e un Busto di Ragazza in terracotta, conservati al Collegio), scegliendo di fare della scultura la sua specialità. Vince il pensionato Angiolini nell’aprile 1893 e decide di spenderlo a Roma, una città strategica: aperta sul mondo con la sua posizione di capitale ma, nello stesso tempo, impregnata di classicismo e di una certa tradizione artistica. Il Canonico Augusto Romagnoli, il rettore del Collegio, ci lascia un’interessante testimonianze all’interno del «Campione degli Alunni nel Collegio Venturoli 1858»: «Ebbe meritamente la pensione Angiolini e alla fine di 1 anno di pensione diede per saggio un busto di donna in terra-cotta. Alla fine del 2°, il basso rilievo in gesso rappresenta Murat nell’atto di consegnare la spada, alla fine del 3° una statua in gesso, in casa d’altri, e alla fine del 4° il gesso dell’altra statua, Ex Natura Ars(9)». Sarebbe quindi possibile datare approssimativamente le opere conservate presso il Collegio Venturoli, all’interno delle quali si può vedere l’evoluzione del lavoro dello scultore durante questi anni. Il suo Studio di nudo maschile, realizzato verso il 1892, è ancora un’opera accademica e la sua composizione risulta ancora un po’ maldestra. In casa d’altri dimostra invece un certo aspetto narrativo: l’opera rappresenta una fanciulla che sembra avere paura e che si protegge il viso. La scena ci appare un po’ strana perché è come incompleta: non sappiamo ciò che teme la ragazza. Il gusto narrativo è anche ben visibile nel bassorilievo Sbarco di Murat al Pizzo di Calabro che rappresenta una scena storica ed eroica ma con un certo realismo. Romagnoli realizza anche alcuni ritratti ma senza grande personalità. Avrebbero potuto essere un esercizio vicino dalla tête d'expression dell'Accademia delle Belle Arti francese ma invece, quelle di Romagnoli sono tutte delle teste inespressive. La sua più importante opera di questo periodo è anche l’ultima realizzata al Collegio Venturoli: Ex Natura Ars. Grazie a quest’opera, l’autore guadagna un riconoscimento nazionale e internazionale; Augusto Romagnoli scrive nel «Campione degli Alunni nel Collegio Venturoli»: «Nota il bronzo ebbe a Venezia in 1898 il premio di lire 2500 e quest’anno ha conseguito a Parigi il premio della medaglia d’argento(10)». In Ex Natura Ars sono riconoscibili le fonti di ispirazione del giovane Romagnoli. Questi rappresenta un fanciullo nudo, coronato di edera, che tiene un flauto e ascolta «i suoni della natura(11)». Questa scultura evoca sia la mitologia romana sia la tradizione del Rinascimento fiorentino. Infatti, Roberto Martorelli fa il parallelo con l'Autonno di Giovanbattista Amendola (dopo 1877) e L’Acquaiolo di Vincenzo Gemito (1881) che a loro volta rimandano ad opere come il David di Donatello (verso 1440) o a quello di Andrea del Verrocchio (1472-1475). Questo stile neo-fiorentino si diffonde ampiamente in Europa durante l'Ottocento. Romagnoli mostra con quest’opera la sua conoscenza sia della storia dell’arte italiana, sia di quella europea contemporanea. Dopo il suo soggiorno a Roma, Romagnoli torna a Bologna, dove si iscrive all’Accademia delle Belle Arti. A proposito di questo periodo, si legge spesso che Romagnoli fu allievo di Enrico Barberi, allora alla cattedra di scultura dell’Accademia, dopo aver finito il suo pensionato. Queste scarse informazioni sono state l’oggetto di ricerche ulteriori, purtroppo poco fruttuose. L’archivio dell’Accademia delle Belle Arti conserve le cartelle dei suoi studenti, tra i quali uno che porta il nome di Giuseppe Romagnoli. Tuttavia, alcuni elementi mettono in dubbio che si tratti dello stesso uomo. Infatti, i documenti indicano un altro stato civile: nome del padre, data e luogo di nascita sono diversi. Il Giuseppe Romagnoli iscritto all’Accademia sarebbe nato da Antonio Romagnoli, il 17 aprile 1878 a Russi. Invece, il Collegio Venturoli scrive che Giuseppe Romagnoli è nato il 14 dicembre 1872 a Bologna, da Alfonso e Rita Mazzanti secondo l’archivio dello Stato di Bologna(12). Alcuni dettagli, però, lasciano il dubbio: le umili origini dello studente dell’Accademia, il suo notevole percorso (finisce in quattro anni un programma da sei) e una firma vagamente simile. Inoltre, non esiste, a nostra conoscenza, un altro scultore con questo nome. La coincidenza di un omonimo è tanto sorprendente che saremmo tentati di credere che siano la stessa persona. Ma purtroppo, non possiamo affermarlo senza ulteriori prove. Sembrerebbe difficile che i documenti siano stati falsificati, dato che l’archivio conserva pure un certificato di difficoltà economiche del sindaco di Russi. In sintesi, ci sono ancora ricerche da fare presso l’Accademia. Non abbiamo trovato un Giuseppe Romagnoli con i dati corrispondenti nell’elenco degli studenti, ma potrebbe essere stato registrato con un’ortografia diversa, come spesso accade. Un’altra ipotesi sarebbe che Romagnoli non sia stato registrato e che abbia lavorato nello studio di Barberi senza farne formalmente parte. In ogni caso, questa intrigante coincidenza dovrebbe essere studiata attentamente: se esiste un omonimo con tante similitudini, potrebbe creare dei malintesi e delle confusioni nella lettura delle fonti storiche.
Come rilevato prima, la carriera di Giuseppe Romagnoli inizia dunque abbastanza presto, verso l’età di venticinque anni, alla fine degli anni 1890, con la sua partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1898 e all’Esposizione internazionale di Parigi del 1900. Già nel 1894, Romagnoli tenta di farsi conoscere come scultore. In quest’anno, si iscrive alla Società Francesco Francia per le Belle Arti a Bologna. Gli archivi della Società ci permettono di vedere quando Romagnoli espone le sue opere, quali ricevono un premio e quali sono comprate da un privato o dalla Società. Già nel 1896 Romagnoli si distingue tra gli altri artisti. Nel rapporto della commissione per l’attribuzione dei premi, Romagnoli è specificatamente menzionato: «la Commissione reputa doveroso dare una parola d’elogio ai pittori [...] ed allo scultore Giuseppe Romagnoli, riconoscendo che le opere di questi hanno molto contribuito a rendere decorosa ed interessante questa mostra d’arte bolognese(13)». Lo scultore sembra avere un ritmo di lavoro abbastanza intenso: può infatti esporre fino a cinque opere alla volta (come ad esempio nel 1898). La critica riconosce il suo talento; Giulio Frenzi scrive per esempio, nel Resto del Carlino del 19-20 maggio 1902: «Di Giuseppe Romagnoli: parecchie cose, secondo il solito, delicatamente sentite ed eseguite. Un piccolo bronzo, Melanconicamente, che riproduce in noi l’ammirazione sgorgante l’anno scorso, a Venezia, davanti al gesso dei medesimo lavoro. Un busto, che è studio per quell’impressionante ritratto di Irma Gramatica, esposto ora a Torino: degno dell’opera finita: e non si può dire di più(14)». La Galleria nazionale di San Marino conserva un ritratto in gesso di una donna seduta, che è stato ipotizzato essere quello dell’attrice. È rappresentata fin sotto i ginocchi, il busto leggermente in avanti, la testa rivolta sulla destra. L’attrice è vestita di un abito con maniche a sbuffo ed ha la testa nuda. L’atteggiamento della figura e il suo formato, tra il busto e la figura in piedi, sembrano molto insolite. Con l’emergere della borghesia, il genere del ritratto conosce una rinascita alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento in tutta Europa. Il ritratto, un primo momento appannaggio esclusivo dell'aristocrazia, permetteva di mostrare la sua ricchezza, e di iscriversi in una storia familiare oltre che rivendicare uno status sociale. Gli artisti, di propria iniziativa o su commissione, rappresentano anche spesso dei cantautori o degli attori – pensiamo per esempio alla famosa Sarah Bernhardt. Nel caso di Irma Gramatica, non possiamo dire con certezza se la commissione del ritratto venisse da lui, o se Romagnoli vi si fosse dedicata di sua iniziativa. Ottenere una commissione per un ritratto è un’incredibile opportunità per uno scultore. Tra le altre cose, l’aspetto finanziario comporta una grande visibilità per l’artista. L’opera sarà esibita davanti ad un ampio pubblico, soprattutto se il proprietario è famoso, e quindi farà conoscere l’artista. Crearsi una rete di compratori assicura redditi stabili. È anche per questo motivo che le mostre come quelle della Società Francesco Francia sono importanti; il grande numero di visitatori permette anche agli artisti di farsi conoscere e quindi di poter ricevere delle commissioni.
Tra le opere più conosciute di Romagnoli, possiamo menzionare un altro ritratto: quello della contessa Bianconcini Nunziante di Mignano, il cui gesso è stato esibito nel 1905 alla sesta Biennale di Venezia. Romagnoli rappresenta l’intero tronco della donna, una scelta poco convenzionale (come già aveva fatto per Irma Gramatica). Come se non bastasse, la rappresenta in movimento: la contessa sembra rivolgersi sul lato destro, mentre tende la mano. I suoi vestiti – un abito e una sorta di cappotto con maniche a sbuffo – amplificano il suo gesto grazie ad un gioco di pieghe. La messa in scena sembra molto naturale, come se Romagnoli avesse bloccato nella pietra un attimo della sua esistenza. Questo è l’aspetto principale che ci permette di definire l’opera un grande esempio di scultura moderna. La contessa non perde la sua prestanza pur sembrando anche umile e umana. Non sappiamo perché Romagnoli abbia realizzato questa scultura né se altre versioni siano state eseguite; dobbiamo comunque sottolinearne l’importanza, anche solo per la nobiltà della modella. La carriera di Romagnoli conosce un impulso anche grazie alla società artistica bolognese Æmilia Ars. Questa viene fondata nel 1898 da Alfonso Rubbiani, dopo il cantiere di restauro della Basilica San Francesco iniziato nel 1886. Forse grazie al suo ex-professore Alfredo Tartarini, anche lui partecipante all’opera, Romagnoli lavora sul cantiere dal 1895. Vi realizza il busto di San Tommaso, sul quale Rubbiani scriverà nel 1905: «La Direzione domandò al giovane artista che si attenasse ad un modellare quasi ritratto dal vero, come usavasi tavolta dai maestri del primitivo Rinascimento, e questo per interessare intensamente l’attenzione del pubblico a quella figura del titolare della Cappella posta senza altri ornamenti(15)». L'Æmilia Ars trae ispirazione dal medioevo e dal Rinascimento italiano, ponendosi come obiettivo la creazione di opere d’arte totali. Il movimento si ispira anche al movimento inglese dell’Arts & Crafts inglesi e alle teorie di William Morris e John Ruskin. I due gruppi condividono l’interesse per l’arte del passato, che si esprime per esempio con il gusto per il gotico e i motivi vegetali. Però, al contrario dell’Arts&Crafts Movement, Rubbiani comprende l’importanza di dell’unione di artigianato e dell’industria moderna per raggiungere un’efficacia ed un successo maggiori. Questo gusto neo-medievale o neo-Rinascimentale può essere colto già nelle prime opere personali di Romagnoli. Per esempio, i Ritratti di Ginevra Sforza e Giovanni II Bentivoglio (1898-1899) rimandano ai ritratti dipinti durante il Rinascimento, come per esempio quelli di Piero della Francesca, dove i personaggi sono rappresentati di profilo ed uno di fronte fronte all'altro. Anche l'opera Mammola, un busto di un'umile fanciulla, evoca l'estetica del primo Rinascimento. In questo caso è possibile che Romagnoli non si ispiri semplicemente all’arte italiana del passato, ma anche al Preraffaellismo. Grazie alle nuove riviste artistiche che emergono in Italia a quest'epoca, l’arte dei Preraffaelliti è già ben conosciuta. Nel 1896, la rivista «Emporium» pubblica un articolo sullo scultore inglese George Frampton(16). Mammola rimanda alle sculture Christabel o Mysteriarch di Frampton, sia per la sua estetica sia per i riferimenti storici. Mammola rappresenta anche bene la definizione di Preraffaellismo data da Rodolphe Rapetti, che parla di una «fascinazione dove si mescolano la ricerca di estraneità e il gusto dell’arcaismo(17)» e di ispirazioni medievali «primitive(18)». Romagnoli espone diverse volte con Æmilia Ars, come durante l’Esposizione internazionale delle Arti decorative di Torino nel 1902 dove presenta La Sorgente. Quest’opera è in realtà una fontana scolpita, un blocco di marmo dove si distingue il viso di una donna, incorniciato da fiori e dai suoi capelli. Col gruppo, realizza anche La Vita (1902), un vaso con bassorilievi. La sua partecipazione all'Æmilia Ars è molto interessante: gli dà infatti l’opportunità di farsi conoscere, di esporre le sue opere e di farlo sentir parte di una comunità. Ma non dobbiamo dimenticare il contributo di Romagnoli all’interno del gruppo.
Nel primo Novecento, Romagnoli realizza alcune opere che tendono ad allontanarsi dall’estetica preraffaellita. Esegue diversi nudi, spesso femminili, accompagnati da titoli evocativi. Il primo a noi pervenuto è invece una rappresentazione di un corpo maschile, intitolato Il Crepuscolo, del 1898. Come nudi femminili, Romagnoli realizza per esempio La Vita (1903) o ancora Giovinezza (1907). La sua interpretazione della Giovinezza sembra molto rispettosa delle convenzioni. La ragazza, rappresentata a mezzobusto, si copre pudicamente i seni e guarda di lato, con un certo candore ma anche con profondità. Romagnoli non prende nessun rischio nella sua interpretazione, si limita a un’immagine socialmente accettata che tutti possono capire. La Vita o Terra Mater (1903) rappresenta una giovane donna, seduta sulle ginocchia, tenendo un bambino tra le sue braccia e guardandolo con tenerezza. La composizione e l’esecuzione sono semplici, efficaci, e Romagnoli dà con quest’opera la sua interpretazione del concetto di vita. Lo sintetizza nell’immagine tradizionale della procreazione e della maternità. L’altro titolo, Terra Mater, dona all’opera un carattere ancora più intellettuale. Si riferisce alla divinità creatrice, matrice del mondo. Il tema della maternità è stato studiato altre volte da Romagnoli. Realizza ad esempio un gruppo di madre con bambino (senza data) in uno stile completamente diverso. Rappresenta una donna seduta, vestita con un abito semplice, dimesso. È ripiegata su se stessa, tenendo il figlio contro il seno e appoggiando il suo viso contro lui. Difficile interpretare con certezza questo gesto, che sembra tuttavia esprimere l’amore di una madre, forse con un po’ di inquietudine, di tristezza, come se volesse proteggere la sua progenie, oppure già piangente per lui. Siamo dunque molto lontani dalla composizione della Vita, scultura atemporale dove l’idea di maternità è soltanto un segno del principio stesso. Romagnoli esegue alcune opere secondo l’estetica di questa Donna con bambino, che possiamo qualificare come verismo o ‘realismo sociale’. Il titolo di altre opere oggi sconosciute lasciano pensare che Romagnoli potesse essere vicino al movimento simbolista.
È bene ricordare che il simbolismo nella scultura è difficilmente definibile. Il termine appare dapprima come corrente letteraria, definito da Jean Morréas nel 1886, poi è ripreso da Gabriel-Albert Aurier per commentare la pittura di Paul Gauguin. Aurier dà una definizione precisa, suddivisa in cinque punti. L’opera simbolista vuole essere: idéiste(19), espressa dalle forme, sintetica, soggettiva e decorativa(20). Ben presto, il termine “simbolista” è utilizzato per parlare dell’arte sotto le sue diverse forme (Rubbiani ne parla ad esempio riferito all’arte «dell’abbellimento(21)»), però rimane poco definito dagli storici dell’Arte. Aurier parlando della pittura, si chiede se sia possibile applicare questa definizione alla scultura, e se sì, se fosse giustificato. È però interessante constatare che Romagnoli condivide le aspirazioni di diversi pittori riconosciuti come simbolisti, collocandosi su una linea molto vicina. Questo avvicinamento potrebbe forse essere dimostrato, o al contrario confutato, attraverso lo studio degli archivi personali dello scultore. Senza le sue parole, non possiamo risalire a come si definiva, né a come voleva che guardassimo alle sue sculture. Alla mostra internazionale di Milano del 1906, lo scultore espone il gesso Insidia, opera insolita, che non lascia la critica indifferente. Un giornalista scriverà: «É un tipo indovinato di femmina cattiva; simboleggiante ciò che tanti poveri mortali devono temere. Il Romagnoli la fece alquanto magra, come se nutrita da suoi stessi veleni: è nuda, col ventre a terra, strisciante, al pari di una biscia. Si deve tener conto del concetto originale espresso con scioltezza, che attira l’attenzione di tutti, e piace(22)». Sembrerebbe che Romagnoli non si riferisse a un’opera letteraria, ma che provasse piuttosto a rappresentare un sentimento, un'idea, come abbiamo visto prima. Flavio Fergonzi fa il confronto tra Insidia e un'opera di Auguste Rodin, La Petite Fée des eaux (1903), riprodotta nella rivista «The Studio» nel 1904. Benché il parallelo tra queste due opere possa essere messo in discussione, è certo che Auguste Rodin fosse d’ispirazione per il lavoro di Giuseppe Romagnoli. Infatti, tra i nudi di Romagnoli, alcuni possono essere confrontati con delle opere di Auguste Rodin (1840-1917). Ad esempio, Donna con serpente (senza data) potrebbe rimandare alla Eve di Rodin (1881). Infatti, gli atteggiamenti sono piuttosto simili. La donna rappresentata da Romagnoli sta camminando e nasconde la sua faccia tra le sue stesse braccia, in un'espressione di afflizione. Al suolo, un serpente sale lungo la sua gamba. Invece, la Eve di Rodin ha un attitudine più statica ma il suo leggero contrapposto potrebbe indicare il movimento della marcia. Anche lei si nasconde il viso tra le braccia, però in un gesto meno ampio, in un gesto di umiltà. L’opera di Rodin sembra più realistica nella rappresentazione del sentimento umano, mentre, al contrario, Romagnoli si fa più drammatico. Però Romagnoli adotta una posa molto simile. Inoltre, benché il soggetto di Romagnoli non sia chiaramente svelato, tutta la composizione suggerisce che la donna rappresentata sia proprio Eva. Anche per Il Pianto del 1907 sembra esserci un chiaro riferimento a Rodin. In effetti, la composizione e l’attitudine evocano chiaramente Le Penseur (1880). Il Pianto di Romagnoli rappresenta un uomo nudo, seduto, ripiegato su se stesso, con la testa poggiata su una mano. Simile quindi all’opera di Rodin, dove a essere rappresentato è un uomo nudo seduto con il mento poggiato sul nocche. Di nuovo, Romagnoli si fa più drammatico, con un’opera più tormentata. Crea un movimento di torsione con il busto (con il braccio sinistro che poggia sul ginocchio destro) e con le gambe incrociate. Diversamente, Rodin sceglie un’attitudine rigida e statica. L'azione non è la stessa, ma l'idea e il gesto evocano l'opera di Rodin, già famosa in Europa. Nel 1907, Romagnoli realizza un altro Pianto in una posa un poco diversa.
Contemporaneamente, Giuseppe Romagnoli prova ad affermarsi anche in ambito bolognese. All’inizio del 1901, partecipa ad un concorso per la realizzazione di un monumento commemorativo dell’8 agosto 1848 che verrà poi assegnato a Pasqule Rizzoli. Il luogo dove Romagnoli incontra il successo è il cimitero monumentale della Certosa. Le sue produzioni al cimitero fanno parte delle opere Liberty, le più significativi dell’ambito bolognese. Il Liberty, variante italiana dell’Art Nouveau francese o ancora del Modern Style inglese, è un movimento di una grande complessità. È tra le prime correnti artistiche internazionali moderne e si diffonde in numerosi aspetti della società. Può essere compreso e reinterpretato in diverse maniere, ad esempio, può essere collegato al Simbolismo. Esteticamente, si esprime soprattutto attraverso l’uso di motivi vegetali, con una certa stilizzazione, e di una linea serpentina e vivace. Nel 1900, Giuseppe Romagnoli realizza l’Angelo per la tomba Saltarelli. Qui, l’artista si riappropria di questa figura tradizionale, facendone un personaggio ben più umano. La sua giovinezza contrasta con il suo atteggiamento tragico, sembra passiva ma anche determinata. Al contrario del modello dell’angelo neoclassico, quello del Romagnoli ha una femminilità assunta. Si allontana anche dai simboli cristiani. Le sue ali sembrano staccate dal suo corpo, quasi fossero un elemento decorativo. Possiamo vedere alcuni elementi liberty, come ad esempio i fiori sulla parte bassa della scultura, ma c’è un grande sintetismo. Le forme sono chiare, simmetriche, quasi classiche. Qui sono ravvisabili i riferimenti preraffaelliti come sottolinea Emanuela Bagattoni parlando «[dell’]aura ambivalente e misticheggiante delle tarde opere di Dante Gabriel Rossetti(23)». Federica Fabbro mette in evidenzia l’influsso di quest’opera sugli altri scultori bolognesi, facendo un confronto con Il Dolore di Silverio Montaguti, eseguito nel 1920 per la tomba Rimini(24). Benché ci sia un’evidente prossimità formale, vediamo che Montaguti ha come abbandonato il gusto liberty, mentre Romagnoli con questo capolavora anticipa di molti anni alcuni delle caratteristiche dello stile Déco.
I cambiamenti iconografici determinano in generale il rinnovo della figura femminile, che sia angelica, come l’abbiamo visto, o allegorica. Il simbolismo gioca con l’immagine della donna, la quale per questi artisti diventa spesso un essere ambiguo, tra donna casta vergine, pura e donna demoniaca, seduttrice e distruttrice. La donna si appropria quindi di una certa sensualità, quasi di un erotismo. Leonardo Bistolfi si impadronì di questo modello, creando il motivo della «Bella Morte» come viene chiamato da Emanuela Bagattoni(25). Si tratta della «figura di una giovane donna dalla duplice valenza di generatrice di vita e portatrice di morte, di sensualità, ma anche di fugacità della bellezza e della giovinezza, malinconica incarnazione del concetto dell’ineluttabilità del destino umano(26)». Bistolfi è particolarmente riconosciuto per la sua produzione funeraria, soprattutto nel cimitero monumentale di Torino. Per quest’ultimo produrrà opere come Le Bellezza della Morte (1895), Le Spose della Morte (1895) o La Purificazione (1899-1903). Lo storico dell’Arte francese Maurice Rheims scrive anche su Bistolfi: «Per Bistolfi […] la morte è una giovane donna dal viso verginale, tanto seducente quanto inquietante(27)». Nella Tomba Albertoni, eseguita nel 1908, si vede che Romagnoli non è insensibile alla lezione di Bistolfi. Romagnoli rappresenta un fregio di cinque giovane donne, tutte somiglianti. La fanciulla al centro è la defunta, Anna Maria Benedetta Albertoni, deceduta all’età di otto anni, accompagnata da spiriti, rappresentati sotto i tratti di giovane ragazze, sorta di ninfe della morte. Queste figure femminili sono molto giovani eppure non sono ritratte in quanto tali. Vestite con una sorta di ampia toga, con i capelli raccolti in uno chignon, sembrano atemporali, però, allo stesso tempo, corrispondono a un certo gusto dell’epoca. La loro attitudine però, non si inserisce nel contesto funerario: benché esprimano una grande malinconia, hanno una grazia e una sensualità disturbanti. Ritroviamo questo delizioso erotismo del corpo alla maniera di Romagnoli nel disegno dei tessuti: si indovinano le cosce, i fianchi, i seni nascenti. Di nuovo, la figura abitualmente casta diventa una creatura ingenua ma sensuale. Diversamente dalle opere funerarie dello scultore piemontese, il Nostro non caratterizza il marmo con elementi cupi e drammatici, ma con elementi di grande dolcezza ed eleganza. Il riferimento a Bistolfi si trova nell'idea del modello femminile, e la tomba Albertoni potrebbe anche essere una citazione di un lavoro dello scultore torinese. Infatti, ci rimanda alla locandina dell’esposizione del 1902 di Torino realizzata da Bistolfi, che rappresenta un gruppo di quattro donne, nella stessa composizione di fregio, vestite e pettinate in un modo quasi identico. Parrebbe ovvio che Romagnoli, presente all’esposizione del 1902, avesse visto questa immagine e se ne sia ricordato per l’estetica della Tomba Albertoni. Non sono ancora chiari i legami tra Bistolfi e Romagnoli e non sappiamo con certezza quale sia stato l’impatto del primo sul secondo. Alcuni indizi permettono di pensare che Romagnoli e Bistolfi si siano incontrati. Nel 1905 ad esempio, fanno tutti e due parte della giuria d’accettazione della sesta Biennale di Venezia. Il 4 aprile firmano, insieme ad altri tre scultori, un testo del catalogo(28). La giuria d’accettazione ha la responsabilità di decidere quale opere saranno esibite alla Biennale tra quelle proposte dagli artisti. Sembra pressoché certo che Romagnoli e Bistolfi si siano allora conosciuti, parlati. La mancanza di informazione non permette di saperne di più. Sarebbe interessante approfondire andando a guardare negli archivi delle Biennali o sapere se Romagnoli figuri tra i corrispondenti di Bistolfi. Nel 1908, Romagnoli esegue la tomba Guizzardi, che rappresenta una figura femminile e un uomo, allegoria di Mercurio, attorno ad un pilastro in cima alla quale si trova il busto del defunto. La donna ci ricorda la «Bella Morta» di Bistolfi, sopracitato, mentre l’uomo, eseguito in un non finito, potrebbe fare pensare ad alcune figure di Michelangelo – come i Prigioni (verso 1513). Però, il non finito michelangiolesco è un elemento molto ripreso dagli scultori di questo periodo, come Bistolfi o Auguste Rodin.
Alla Certosa, Giuseppe Romagnoli si appropria del Liberty, ma il suo percorso personale lo porta a reinterpretare le caratteristiche dello stile. Probabilmente grazie ai suoi legami con l'Æmilia Ars si mostra più sensibile alla lezione preraffaellita che in un certoo senso integra nelle sue opere liberty. Lo scultore realizza nel 1909 il monumento al Re Umberto I, L’Amor Patrio e il Valore Militare di Bologna. Viene ricollocata sulla facciata del Palazzo d’Accursio il 28 febbraio 2019 dopo essere stata tolta per sfregio verso i Savoia da parte del governo repubblichino di Mussolini. Il Comune lo commissiona a Romagnoli in memoria del secondo re dell’Italia, ucciso nove anni prima. Non sappiamo esattamente perché la scelta ricadde su Romagnoli, però Emilio Contini ne conclude che ciò indica: «il gusto del pubblico per la scultura floreale(29)». L’opera è inaugurata il 12 giugno 1909, data dell’anniversario della fine del governo pontificio a Bologna. Il pubblico scopre una targa di marmo sulla parte superiore leggermente arrotondata, al centro della quale si trova un’epigrafe in omaggio al re e ai suoi legami con la città. Tre figure la circondano; alla sinistra una donna con un bambino e alla destra un uomo. Un bassorilievo raffigurante un’aquila con lo stemma della casa Savoia sovrasta la targa. La donna e il bambino, l’Amor Patrio, sono abbracciati. Il figlio nudo è rivolto verso la madre alla quale si aggrappa e che guarda quasi con ammirazione. La donna è dritta e guarda lontano con determinazione. Con una mano regge il bambino, mentre con l’altra sorregge la propria stola che crea un effetto di involucro protettivo. L’uomo, quasi nudo, ci ricorda ai nudi michelangioleschi per la sua attitudine e per la sua muscolatura. La posa potrebbe anche rimandare al Davide di Michelangelo: c’è lo stesso contrapposto, il polso destro “rotto” e il braccio sinistro ripiegato verso il viso. La composizione è abbastanza simmetrica, senza una ricerca esasperata di perfezione. I drappeggi intorno ai due personaggi creano degli arabeschi sinuosi che accompagnano le attitudini dei corpi. Questi formano delle linee curve e dei giochi di pieni e vuoti, come l’uomo per esempio, di cui il corpo forma un “otto”. In queste curve si riconosce il gusto liberty di Romagnoli, ma, come sottolinea Emilio Contini, questo monumento «è decisamente personale, riconoscibile nell’impianto e per il modellato largo e solido(30)». Questo modellato si ritrova maggiormente nelle opere di fine decennio, come ad esempio nel gruppo colossale in travertino Fedeltà allo statuto per il ponte Vittorio Emmanuele II di Roma, del 1909. Questo progetto è uno dei più importanti con quale Romagnoli si confronta, sia per la sua ambizione che per il suo committente. Lo stile del Romagnoli cambia sempre di più: i corpi dei personaggi sono più imponenti, l’anatomia sembra più robusta e architettonica. C’è ancora il dinamismo della composizione ma senza l’eleganza e la preziosità delle sue prime opere.
L’ultimo importante progetto di scultura che Romagnoli realizza è il monumento commemorativo per la Fondazione dell’Unione Telegrafica di Berna nel 1911. Composto da due gruppi e da una figura centrale in bronzo su un blocco di granito, il monumento viene finalmente inaugurato il 16 dicembre 1928. Diversamente dal gruppo del Ponte Vittorio Emmanuele II, questo monumento sembra risolutamente più liberty. I due gruppi sono di una composizione concitata dove delle figure allegoriche sono assemblate con movimento e dinamismo. Si può anche notare l’approccio piuttosto simbolista del Romagnoli. Nel «Journal Télégraphique» del 25 dicembre 1922, Romagnoli testimonia la sua idea: «Alla rappresentazione dei tipi etnografici delle differenti razze, ho preferito la materializzazione dei sentimenti che sono condivisi da tutti i popoli e che caratterizzano l’umanità nel mondo. Credo quindi che l’idea della composizione, senza rendere meno ovvio il fatto che si tratta di celebrare, si eleva a un’altezza più pratica, e che questa idea può, pertanto, essere mostrata da forme di una plasticità più artistica e ideale(31)». All’inizio del Novecento, Giuseppe Romagnoli si trasferisce di nuovo a Roma ma, come abbiamo visto, mantiene degli stretti legami con Bologna, fino alla fine del decennio. Infatti, nel 1908 è scelto da una commissione – composta tra l’altro da Giulio Monteverde e Leonardo Bistolfi – per l’incarico di Direttore della nuova Scuola dell’Arte della Medaglia nella Regia Zecca. Romagnoli inizia il suo mandato l’anno seguente fino al 1952. Da questo momento si dedica molto di più alla sua attività di medaglista, realizzando monete e medaglie commemorative. Rosa Maria Villani scrive: «oltre alla sua attività di direttore, di curatore delle collezioni storiche e di docente di modellazione della Scuola è stato un artista prolifico che con la sua opera “ha raccontato” una parte importante della storia della Nazione(32)».
Romagnoli muore il 7 marzo 1966 nella sua città di adozione, lasciando una produzione ricca e diversificata, tra medaglie, scultura e pittura. Nel 1978, sua figlia Giovanna Romagnoli, secondo la volontà del padre, lascia in eredità una ventina di gessi alla Galleria Nazionale di San Marino, dove sono ancora conservati. Molti aspetti della vita dell’artista restano ancora vaghi, soprattutto riguardando alle sue ispirazioni. Sembra essere stato in contatto con molti artisti come Alfonso Rubbiani, Leonardo Bistolfi o anche Ettore Ximenes, menzionato da Rosa Maria Villani(33), però è difficile stabilire in che modo. Inoltre, sappiamo che Romagnoli viaggiò «in Italia, a Monaco, a Parigi e a Bruxelles(34)» ma per il momento questi viaggi non sono stati documentati, nonostante possiamo immaginare essere stati importanti nella costruzione della sua carriera. Benché alcuni autori e autrici abbiano scritto su Romagnoli, pochi hanno esaminato con attenzione la sua scultura, provando veramente ad inserire le sue opere in una rete di ispirazioni. Bisognerebbe forse accedere a un archivio personale per saperne di più. Studiare la scultura di Romagnoli permette anche di osservare dove si collocava Bologna nella scena artistica di questo periodo. Dopo aver perso un po’ della sua aura durante l’Ottocento, la città si afferma di nuovo culturalmente. Romagnoli ci apporta allora i suoi modelli – italiani o stranieri, antichi o attuali – contribuendo, forse, al rinnovamento e all’apertura della città oltre i suoi confini.
Lucie Montassier
settembre 2020
Note: 1) G. Lo Faro, «Pasquale Rizzoli. La forza e l’eleganza della scultura Liberty», in Luce sulle tenebre: tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna, Bononia University Press, Bologna, 2010. 2) F. Fabbro, Silverio Montaguti, Bononia University Press, Bologna, 2012. 3) G. Alteri, Giuseppe Romagnoli e una Medaglia per la Grande guerra, in https://www.cronacanumismatica.com/giuseppe-romagnoli-e-una-medaglia-per-la-grande-guerra/. 4)Mostra di opere di Giuseppe Romagnoli, Roma, 1966, e G. R. 1872-1966, Roma 1992. 5) F. Solmi, M. Dezzi Bardeschi (a cura di), Alfonso Rubbiani. I veri e i falsi storici, GRAFIS industrie grafiche, 1981. 6) E. Contini (a cura di), Il Liberty a Bologna e nell’Emilia-Romagna, Grafis Edizioni, Bologna, 1977. 7) R. M. Villani, Giuseppe Romagnoli, sculture e medaglie a confronto, «Bollettino di numismatica», n°60, luglio-dicembre 2013, pp. 121-144. 8) Archivio Collegio Artistico Venturoli (A.C.A.V). 9)Campione degli Alunni nel Collegio Venturoli, 1858, A.C.A.V. 10)Ibidem. 11) R. Martorelli, Ex Natura Ars in https://www.storiaememoriadibologna.it/ex-natura-ars-1843-opera. 12) Bologna, Comune, Servizi demografici; Archivio di Stato di Bologna, Registri…, a. 1872, citato in F. Franco, Romagnoli Giuseppe in http://www.treccani.it/enciclopedia/giuseppe-romagnoli_%28Dizionario-Biografico%29/. 13) Archivio dell’Associazione Francesco Francia, dossier «corrispondenza 1898». 14) G. De Frenzi, L’Esposizione del “Francia”, «Il Resto del Carlino», a. XIX, n°139, 19-20 maggio 1902, p. 2. 15) A. Rubbiani, La Chiesa di S. Francesco e le tombe dei glossatori in Bologna, restauri dell’anno MDCCCLXXXVI al MDCCCIC, note storiche ed illustrative, Stab. Zamorani e Albertazzi, Bologna, 1900, p. 66. 16) P., Artisti contemporanei: Giorgio Frampton, «Emporium», III, n°18, giugno 1896, pp. 402-411. 17) R. Rapetti, Le Symbolisme, Flammarion, «Tout l’Art», Paris, 2007, p. 21. 18)Ibidem. 19) La parola francese “idéiste” significa “che esprime l’idea”. 20) G-A. Aurier, Le Symbolisme en peinture, «Mercure de France», II, n°15, 1° marzo 1891, pp. 155-165. 21) A. Rubbiani, La Chiesa di S. Francesco e le tombe dei glossatori in Bologna, restauri dell’anno MDCCCLXXXVI al MDCCCIC, note storiche ed illustrative, op. cit., p. 72. 22) R. Barriera, Rivista delle Belle Arti – La Scultura, «Milano e l’Esposizione Internazionale del Sempione 1906», Fratelli Treves, Milano, 1906, p. 287. 23) E. Bagattoni, Un esempio riscoperto di arte funeraria “floreale-simbolica”, in C. Bernardini, D. Davanzo Poli, O. Ghetti Baldi (a cura di), Aemilia ars, 1898-1903: arts & crafts a Bologna, A+G, Milano, 2001, p. 87. 24) F. Fabbro, op. cit. 25) E. Bagattoni, op. cit., p. 87. 26)Ibidem. 27) M. Rheims, La sculpture au XIXème siècle, Arts et métiers graphiques, Paris, 1972, p. 126 : «Pour Bistolfi […] la mort est une jeune fille au visage virginal, aussi séduisant qu’inquiétant». 28) VI. Esposizione internazionale d’Arte della città di Venezia, 1905, Catalogo illustrato, Premiate Officine Grafiche C. Ferrari, Venezia, 1905, p. 17. 29) E. Contini, Aspetti della scultura liberty in Emila Romagna, in E. Contini (a cura di), Il Liberty a Bologna e nell’Emilia Romagna, Grafis Edizioni, 1977, p. 205. 30)Ibidem. 31)Inauguration du monument commémoratif de la fondation de l’Union télégraphique, «Journal Télégraphique», XLVI, a. 54, n°12, 25 dicembre 1922, Berne, p. 239. 32) R. M. Villani, Giuseppe Romagnoli, sculture e medaglie a confronto, op. cit., n°60, luglio-dicembre 2013, p. 121. 33) Ibid., p. 123. 34)Inauguration du monument commémoratif de la fondation de l’Union télégraphique, op. cit., XLVI, a. 54, n°12, 25 dicembre 1922, Berne, p. 239.