Scheda
Giuseppe Ravegnani (Rimini, 1832 – Ferrara, 1918) a Bologna è segnalato brevemente tra il 1853 e il ’65. Ma già nel ’57, pure giovanissimo, è dichiarato dal Bellentani “il miglior internista che abbiamo”. Un ruolo di spicco gli assegnano in effetti i dipinti, scalati nel giro di due soli anni, tra il venticinquesimo e il ventiseiesimo d’età del Ravegnani, che si presentano di seguito.
Poco resta della sua attività di decoratore che ebbe un punto di forza nei lavori per il foyer del nuovo Teatro Brunetti (1865), accanto al Lodi e al Busi (Bottrigari); ma la decorazione di tre cappelle in S. Bartolomeo, assegnatagli dalle guide, con il Muzzi o col Beltramini, conferma una qualità insolitamente sostenuta, pur nell’ossequio esemplarmente dichiarato alla tradizione locale, in uno dei luoghi deputati della quadratura bolognese: si direbbe, specie nella cappella alla destra di quella maggiore, con una facilità ed un controllo formale, anche più spiccati che nel più celebre Samoggia. Tende nondimeno a sfuggire la precisa qualificazione dell’artista, se le scarse notizie che restano di lui denotano uno spettro operativo molto ampio, decorazione, quadratura, paesaggio: sì che da quelle schiere di decoratori di qualità, che Bologna poté ancora a lungo vantare, più tardi sollecitando persino l’attenzione marginale di Roberto Longhi, il Ravegnani si doveva, e con forza, distinguere. La qualifica poi di “pittore e possidente” che gli attribuisce il Berselli può giustificare una professionalità così variata, al limite dell’esercizio dilettantesco. A Rimini però, dove con ogni probabilità l’artista tornò stabilmente dopo qualche anno, sono segnalati soltanti esempi di decorazione.
In accademia, una delle poche volte che viene ricordato negli atti, abbastanza tardi (1862), dopo che già si era fatto conoscere alle esposizioni, compare come giovane studioso di prospettiva. In quell’anno a una sua Introduzione a carceri sotterranee è accordato il premio scolastico con questa motivazione: “Il sito è assai bene trovato sia per il genere dell’architettura acconcia a tale soggetto, sia per le buone linee che lo compongono come per l’armonia del chiaroscuro, se non che nella parte del colorito si sarebbe desiderato più variazione nei toni onde togliere in parte quell’uniformità la quale pregiudica all’effetto totale; ma questo difetto rimarchevole all’occhio esercitato dell’artista non diminuisce i pregi di questo lavoro, l’autore del quale mostra di essere assai bene nutrito nei precetti della prospettiva, base fondamentale d’ogni ramo delle arti belle".
Renzo Grandi
Testo tratto dal catalogo della mostra 'Dall'Accademia al Vero. La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità', Bologna, Grafis, 1983. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti