Scheda
Non furono soltanto i partigiani comunisti a partecipare alla Resistenza a Medicina; in verità il movimento liberatore fu un grande afflato di varie fedi, politiche, ideali e religiose, di donne e uomini animati non solo dall’odio verso il fascismo, bensì soprattutto dall’amore per la libertà. Il Conte Filippo Cavazza, partigiano liberal-cattolico bolognese, così si motivava: “Siamo coloro che vogliono la liberazione per amore e non per odio. Ciò che porta a rispettare la libertà del prossimo”.
Persino la Principessa Maria Josè, che diventerà l’ultima Regina d’Italia, collaborò attivamente con i partigiani della Val d’Ossola. Una foto dell’epoca ritrae il presidente del primo Governo libero di Roma, Ivanoe Bonomi, riformista e amico del Re, assieme al noto capo partigiano comunista Arrigo Boldrini (Bulow) in visita ai reparti garibaldini nei pressi di Faenza e della Linea Gotica, inquadrati nell’esercito monarchico che combatté assieme alle truppe Alleate nell’autunno 1944. Questa è la immagine più vera della Resistenza Italiana e così fu anche a Medicina. Un giovane sacerdote di Ganzanigo, don Luigi Dardani, che diventerà poi Vescovo di Imola, mise a disposizione la cantina della sua chiesa sopra Monterenzio per farne deposito di armi dei partigiani della zona, nonostante che i cattolici democratici del nostro comune non avessero partecipato al locale C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) diversamente da quanto fece la D.C. di allora nel Nord Italia. Addirittura la sorella del caporione fascista locale, Ida Cacciari, in occasione di una retata nazifascista finse di riconoscere come suo mezzadro il noto partigiano comunista Giovanni Trippa (Zanèn) salvandolo da sicura fucilazione.
In questo articolo intendo ricordare un antifascista mazziniano, Mario Monterumisi nato a Medicina il 10 settembre 1899, figlio di Ulisse (1873-1947) e di Carolina Grandi (1877-1956).
Il padre Ulisse fu dal 1923 al 1934 direttore tecnico della Cooperativa Lavoratori della Terra (allora Coop Braccianti) di Medicina; all’inizio degli anni ‘30 fu accusato di malversazioni da Mario Dall’Olio, insediato dai fascisti a Presidente della Cooperativa dal 1930 al 1933. Ne sortì una lite che non si limitò alle parole e che finì in tribunale. In una lettera Dall’Olio scrisse: “Dichiaro che le lesioni di cui al processo contro i fratelli Monterumisi sono sparite in dieci giorni”.
La lite si concluse nel maggio 1934 con la ritrattazione del Dall’Olio che riconoscerà di avere mentito, che le accuse erano state pronunciate in un momento di ira, con le più ampie scuse e il riconoscimento pieno dell’onestà di Ulisse Monterumisi. Su quella cooperativa del resto i fascisti non ebbero mai un controllo incondizionato; così negli anni 1942-1943, quando il presidente fu chiamato alle armi, lo sostituì il suo vice Augusto Fiorentini, noto socialista di Ganzanigo, cooperatore a lungo attivo a Bologna anche nel dopoguerra. La madre di Mario Monterumisi gestì il noto circolo operaio di Medicina (la Camaraza) in via Cavallotti 51, dopo l’assalto distruttivo delle camicie nere fasciste dell’ottobre 1922. Mario fu chiamato alle armi in occasione della Prima Guerra Mondiale. Mazziniano, forse interventista, era molto diverso dai giovani esaltati che inneggiavano alla guerra, salvo poi quando scoppiò rivolgersi al portafoglio e alle amicizie di papà per ottenere dispense o la collocazione in una caserma lontana dal fronte, i quali furono chiamati, con un nomignolo rimasto famoso, “Armiamoci e partite”. Il bersagliere Mario Monterumisi la guerra la fece veramente, guadagnandosi un encomio che recita: “È autorizzato a fregiarsi della medaglia istituita a ricordo della guerra 1915-1918”. Nel retro del foglio si legge, scritto a matita, “Zamboni”, che sembra un inciso per non dimenticare il nome di Anteo Zamboni, il giovanissimo presunto attentatore di Mussolini linciato a Bologna a metà degli anni ‘20.
Mario visse il tormento che seguì la fine della Grande Guerra: doveva essere fecondatrice di una Europa più giusta, felice e moderna, ma così non fu. Prevalsero gli egoismi feroci dei vincitori che si azzannarono per spartirsi le spoglie dei vinti. Questo marasma genererà in Italia e in Europa la illusione pericolosa dell’uomo forte al comando, da noi Benito Mussolini; una convinzione che ebbe conseguenze disastrose con risultato finale la seconda guerra mondiale che finirà solo con le atomiche sul Giappone.
L’uomo solo al comando, prepotente o guascone che sia, non risolve mai le debolezze della democrazia, semmai tende ad ucciderla. Solo l’intervento consapevole dei popoli promuove soluzioni positive. È possibile che questa situazione abbia creato grande turbamento in uno spirito libero come Mario Monterumisi, che tuttavia non subì mai il fascino lugubre delle camicie nere fasciste; nessuno della sua famiglia risulta essere mai stato iscritto al partito fascista. Anzi a Bologna nel corso di una manifestazione cui parteciparono fazioni contrapposte, Mario distrusse una immagine del Re d’Italia. Per questo dalla polizia fu arrestato, ammonito e diffidato dal frequentare la città. All’inizio degli anni ‘30 a Medicina, anche fra i socialisti si andarono costituendo i primi nuclei di resistenza al fascismo, di cui un autorevole esponente fu Agostino Marzadori, con cui dovette avere contatti Mario Monterumisi. Il quale amava definirsi ”pacciardiano” come qualifica del suo antifascismo. Il repubblicano romano Randolfo Pacciardi fu una figura forte dell’antifascismo, che accorse in Spagna a difesa della Repubblica aggredita dal generale Franco e vi fu autorevole comandante di un corpo delle Brigate Internazionali antifranchiste.
Sconfitta la Repubblica Spagnola, riparò in Francia, poi negli Stati Uniti, dove continuò ad operare nel fronte antifascista degli italiani in esilio. Mario fu ancora richiamato alle armi dal 1941 al 1942 e destinato al fronte yugoslavo, dove ebbe certamente modo di constatare l’infamia di quella guerra. Un medicinese suo coetaneo, Italo Luminasi, comandato nello stesso fronte, passò con i partigiani di Tito e morì combattendo con loro. Questa esperienza dovette confermare in Mario la decisione di impegnarsi nella lotta per la liberazione dal fascismo. Dopo la caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, fece parte del gruppo di antifascisti (insieme ad Argentesi, Baroncini, Trippa, Bartolini e Timoncini) che riuscì nella straordinaria impresa di mettere al sicuro il grano giacente nei depositi che fu assegnato alla popolazione nella misura di due quintali a persona, quantità sufficiente a superare l’imminente inverno, impedendo così ai nazifascisti, tornati dopo l’8 settembre, di farne razzia. Fra l’aprile e il maggio 1944 Mario Monterumisi partecipò al costituito C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) di Medicina in rappresentanza del Partito Repubblicano, assieme a tre rappresentanti del Partito Comunista e a due del Partito Socialista.
Nello stesso periodo Monterumisi fu coinvolto in una vicenda di rilevante importanza morale ed umana, la salvaguardia della incolumità di un luminare della scienza medica, il prof. Alessandro Dalla Volta, mantovano di origine ebraica, vicenda ricordata ampiamente in questa rivista "Brodo di serpe" nel numero del 2015. Protagonista di questa operazione fu Raffaele Poli, figura nota a Medicina, amico fraterno di Orlando Argentesi, figlio dei proprietari della “Lenzi e Poli”, impresa di lavori stradali, nota nel dopoguerra come “Asfalti Sintex”. La sua officina riparazioni di Medicina fu luogo di formazione di antifascisti come, oltre a Orlando, Romeo Rambaldi e Carlo Bragaglia; anche il giovane Duilio Argentesi, che qui lavorava nelle ore libere dallo studio, lo ricorda nelle sue memorie. Poli guidò con sagacia tutta l’operazione a protezione del prof. Dalla Volta avvalendosi anche del concorso prezioso di Mario Monterumisi. Difficile trovare le tracce del dispiegarsi di questa rete protettiva: aiutare un ebreo in quel tempo comportava il rischio della vita, meglio silenzio e omertà anche in famiglia. Questo vale anche per il ruolo svolto da Monterumisi, il cui impegno risulta confermato dai ricordi dei protagonisti; la nipote del professore scrive infatti: “...è quindi assolutamente verosimile, per la verità io lo credo quasi sicuramente, che a Mario Monterumisi fosse stato affidato il compito di accompagnare il nonno nei suoi spostamenti”.
Il 19 aprile 1945 il comandante inglese di Medicina passò i poteri amministrativi al C.L.N., nominando una prima Giunta Comunale provvisoria con Sindaco Marcello Bragaglia della quale faceva parte Mario Monterumisi, che rimase in carica fino al ritorno di Orlando Argentesi. Il 23 aprile sarà nominata la Giunta Comunale definitiva, così composta: Sindaco Orlando Argentesi, Vicesindaco Bruno Baroncini, Assessori effettivi Giuseppe Bartolini, Gaetano Rossi e Mario Monterumisi, Assessori supplenti Agostino Marzadori e Gino Zanardi: tre comunisti, tre socialisti e un repubblicano. Quando questi uomini salirono lo scalone del palazzo municipale intorno fumavano ancora le macerie morali e materiali del fascismo e della guerra; per guidare la città furono scelti i migliori, tra questi Mario Monterumisi. Tra gli atti della sua funzione di amministratore ne compare uno con il quale si sospendono i diritti civili ad un noto fascista locale, diritti che lo stesso riacquisterà con la famosa amnistia del Ministro della Giustizia Palmiro Togliatti del 22 giugno 1946.
Con le prime elezioni amministrative del marzo 1946 Monterumisi si ritirò dall’impegno politico e amministrativo, come fecero molti resistenti che tornarono alle proprie professioni. Forse lo turbava anche il clima che si stava creando: sempre più poteva succedere che due partigiani che avevano combattuto insieme, ritrovandosi si dessero del fascista l’un l’altro. Il settarismo è una pericolosa malattia, a volte devastante.
Mario lavorò poi a lungo a Bologna presso la cantina Alberoni, ma il seme gli sopravvisse a lungo: il figlio Bruno sarà consigliere comunale col partito socialdemocratico negli anni ‘80 e consigliera comunale sarà anche la nipote Luciana Monterumisi, figlia di Fredo della Lisetta, la famosa gelataia di Piazza Garibaldi. Ho accettato volentieri l’invito a tracciare questo profilo perché viviamo in una comunità che forse tende a dimenticare parte della sua storia. Una comunità che non viva anche nei ricordi del passato rischia di trovarsi dimenticata.
Renato Santi
Testo tratto da "Brodo di serpe - Miscellanea di cose medicinesi", Associazione Pro Loco Medicina, n. 14, ottobre 2016.