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Ludovico Lipparini

17 febbraio 1800 - 19 marzo 1856
Ludovico Lipparini

Scheda

Ludovico Lipparini (Bologna, 17 febbraio 1800 – Venezia, 19 marzo 1856), dopo una prima frequentazione dell'Accademia delle Belle Arti della sua città, nel 1817 si trasferisce a Venezia per studiare nella locale Accademia con il pittore Liberale Cozza, poi con Teodoro Matteini. In questo periodo divide lo studio con Francesco Hayez, il quale lo usa come modello per la figura del messaggero nel dipinto Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri (1818). Di due anni successiva è la sua prima prova di rilievo, il Filottete ferito, eseguita in gara con altri colleghi, tra cui lo stesso Hayez.

Dal 1821 per circa due anni si svolge il viaggio di formazione tra Roma, Napoli, Firenze e Parma. Si data al 1824 il matrimonio con la pittrice di paesaggi Anna Matteini (1782-1878), da cui nasce Caterina, che avrà una carriera da soprano. Nel 1827 risulta avere studio a Bologna, in quanto "Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale dei Principi Giustiniani nel visitare che ha fatto i pubblici stabilimenti della Città si è pure degnato di onorare di sua presenza lo studio del nostro pittore Lodovico Lipparini, dove si è trattenuto non poco". Nello stesso anno espone in Accademia diverse opere tra cui Erigone (commissione di Michelangelo Gualandi),le quali piacciono "ad ogni genere di persone lavalentia ed il buon gusto dell'artista, che molti richiesero a gara di fare l'acquisto di tali dipinture; altri non appagati gliene commisero con istanza di nuove". Di questo momento sono il Giuramento degli Orazi e una Maria Maddalena orante nel deserto, che gli procurano l'acquisto da parte del principe Felice Baciocchi e la richiesta di ritratti, cui segue la nomina a socio onorario dell'Accademia felsinea di Belle arti e la stampa in suo onore di un libretto celebrativo.

Tra i quadri con soggetti di storia esegue Marin Faliero (1835), e su commissione dell'imperatore d'Austria Ferdinando Vittore Pisani liberato dal carcere (1840). Lipparini sceglie spesso soggetti di storia contemporanea dedicati alla rivoluzione del popolo greco in ricerca della propria indipendenza, tra i tanti soggeti: Una barca dei greci (commissione Maria Elisabetta di Savoia-Carignano), due versioni del Suliotto che medita sulle condizioni della patria, (1838 per il conte di Kolowrat e 1841 per la granduchessa Elena di Russia), L'Arcivescovo Germanòs pianta lo stendardo della croce sulle rupi di Calavrita (1838, per Filippo Ala Ponzone) La Morte di Marco Botzaris (per Metternich), Costantino Ipsilanti (esposto a Brera nel 1834 per Francesco Arese), A greek Warrior pondering over the wrongs an desolation of his country (esposto alla Royal Academy di Londra nel 1842), Il giuramento di Lord Byron sulla tomba di M. Botzaris (1850, per Sante Giacomelli).

L'artista viene apprezzato anche per l'esecuzione di ritratti, tra cui quelli del principe di Metternich, il maresciallo francese Auguste Marmont, il pittore Antonio Basoli (1823), Carlo Pepoli, "del professore d'agraria sig. Giovanni Contri, e della gentilissima sua sposa signora Carlotta Felicori", "il nobil Marchese Francesco Sampieri, e vicino, a lui Donna Anna de Gregori di Squillace sua gentile sposa", tre versioni del suo protettore Leopoldo Cicognara e del compositore Gioachino Rossini (una datata 1827). Con la morte del suocero Teodoro Matteini arriva nel 1831 l'occasione per sostituirlo all'insegnamento di figura nell'Accademia veneziana. Nel 1847 ottiene la cattedra di pittura al posto di Odorico Politi. Tra i suoi allievi ci sono Tranquillo Cremona (che due anni dopo la morte lo omaggia con un ritratto), Pompeo Marino Molmenti, Antonio Rotta. Alla sua morte viene ricordato sia dalla stampa italiana sia greca.


Una sua biografia ci viene consegnata nel 1856 all'interno del settimanale "Le Belle Arti", edito a Milano da Vittore Ottolini: "Nacque Ludovico Lipparini in Bologna il 17 febbrajo 1800, e nacque pittore: giovanetto fu socio onorario dell'Accademia di belle arti in Bologna, e contava appena od oltrepassava i cinque lustri, che bella rinomanza erasi già acquistata con le proprie dipinture che venivano debitamente commendate. Nella pubblica Esposizione in quella città, il 29 novembre del 1827, fu particolare argomento di lode la tela di questo insigne, rappresentante Erigone, un'amante di Bacco, tutta vezzi e tutta foco, la quale, dormendo, sogna il diletto suo nume, ch'erasi trasformato in uva; lezione morale. La Gazzetta di Bologna, N. 96, del 1.° dicembre 1827, riferiva che S. Em. Rev. il sig. Cardinale dei Principi Giustiniani, nel visitare che fece i pubblici Stabilimenti della città, degnavasi pure di onorare di sua presenza lo studio del nostro pittore, dove si è trattenuto non poco, testificando a questo esimio artista, con tratti d'alta cortesia, la sua particolare soddisfazione. E presagivasi nuovo lustro a quella città dalle peregrine dipinture di lui; e la fiamma dell'onore all'animo giovanile vie più si apprese e crebbe, essendogli noto come il Giambellino, il Tiziano, il Dossi, i Caracci e Guido e Albani, Rubens, Pussino, Cignani ed altri amassero di delineare questi vaghissimi fatti mitologici, i quali formarono la delizia de' loro contemporanei, mentre pur ora tengonsi in molto pregio e sono la compiacenza delle più ricche italiane gallerie. Furono ammirati nell'Erigone que' pregi che si osservarono costantemente ne'dipinti del Lipparini, cioè soavità di contorni, i quali sebbene in parte coperti di pannolini, disegnano l'intera figura, e ne mostrano quasi tutta la forma del nudo; il colorito brillante e vivace, che fa parer viva la carne, la conveniente espressione e l'esatto disegno. Mosse grido anche il Giuramento de' tre Orazii, giuramento di non lasciare la pugna fino a che non avessero vinti i nemici fratelli, o dalla morte non fosse ad essi tolto di farlo. E raggiunse artisticamente il soggetto, s'io mi riferisco alle scritture che n'uscirono allora quando l'insigne pittore esponeva nell'Accademia lo storico quadro. Tocchiamone con brevità il soggetto, ch'è l'atto del giuramento di combattere per la salute della patria. (...) E lode ottenne il Lipparini segnatamente nel colorito. Questa venustà e lucentezza di tinte ei già l'apprese in Venezia, la cui scuola è sì decantata meritamente. Imperocchè, lo possiamo dir veneziano, giacchè in questa città prese il primo latte e vi meditò profondamente le opere di Giorgione, di Tintoretto, di Jacopo da Bassano, di Paolo Veronese e del sovrano Vecellio. Trovo in uno scritto, che le sue diligenze e sollecitudini per questi studii furono predilette all'egregio dipintore Teodoro Matteini, il quale tanto se ne compiacque, che il tenne come figliuolo. E appunto dall'usare quotidiano di questo giovane in casa di lui, nacque in Anna, sua figlia, un primiero e però ardentissimo amore verso il Lipparini, il quale discese alle sue nozze. Ed io credo che più bella ventura non gli potesse venire: qual vita più lieta, che con donna di modi e costumi sì bene accordantisi co' suoi? Convenevole ne' modi, raggentiliti da soavità del tratto e del porgere, e resi viemaggiormente piacenti da delicata avvenenza di forme, congiungea la dote, suprema pel marito, di professarne la medesima arte. E già essa ne adoperava l'ingegno proficuamente, dipingendo un quadro a paese, che, esposto, venne lodato come lavoro pien di vigore, soprattutto pel colorito vaghissimo. Così toccava il Lipparini, come ho detto, il quinto lustro. Ma non soli furono i due dipinti che abbiamo accennato. E a principio fece per istudio non pochi ritratti, ed un Filottete che sta medicandosi la ferita, figura grande due terzi del vero, e questo quadro fu acquistato dall'illustre cav. Jacopo Treves. In Roma ed in Napoli, allorchè recavasi a studiarvi i monumenti immortali dell'arte, ebbe la felice circostanza di ritrarre diversi personaggi, e di copiare il ritratto del pontefice Pio VII, conducendo due copie di quello del Canova, già dipinto dal cav. Lawrence. Non è da tacersi che una di queste copie, acquistata dal Vallardi di Milano, ebbesi in tanto pregio da non temere il confronto dell'originale del celebre Inglese. A Napoli, quando nell'anno 1821 vi erano ferme le milizie austriache, ritrasse alcuni ufficiali dello stato maggiore, e particolarmente il generale Koller. Trovandosi nel 1822 a Venezia ad inspirarsi ne' sommi di questa scuola, copiò altri ritratti, ridipinse in più brevi dimensioni gli Orazii; indi la Maddalena penitente, cui acquistava il principe Bacciocchi. E per questo principe delineò il ritratto della principessa Elisa sua sposa, il quale gli fu dato a rappresentare da uno dipinto in Francia, lasciando libertà al pittore di variarne gli accessorii. Dipinse Giuseppe Barbieri, grande più che mezza figura, seduto, pensante, con il capo rivolto al sinistro braccio, nella cui mano tiene la Gerusalemme di T. Tasso, appoggiando il destro ad un tavolino. Pubblicandosi a Milano le Opere scelte dell'illustre oratore, la prefazione ci avverte venir il volume adorno col bello intaglio del ritratto tolto dal bellissimo e somigliantissimo del Lipparini, dal quale egli stesso tolse il busto di sì grand'uomo per commissione del sullodato cav. Jacopo Treves. Dopo questi lavori, lasciò per poco Venezia, e portò il piede a Firenze con l'intendimento di studiarvi ed ammirare Fra Bartolomeo e gli altri celebri maestri di quella scuola. Nel suo ritorno soggiornò in Bologna, ove il primo lavoro fu l'immagine del prof. Antonio Basoli, l'anno 1823. Durante quest'anno, si trasferì a Parma per istudiarvi le pitture del Correggio. Trovandosi novellamente a Venezia, nel 1825 dipinse il Cicognara, suo secondo padre, figura quasi intera come il naturale. Ritrasse il conte Leopoldo Cicognara nell'attitudine di distendere il braccio verso le ginocchia; sono le gambe sovrapposte l'una all'altra, e tiene appoggiato il braccio sinistro ad una sedia, d'onde scende un mantello a larghe pieghe; ha nella destra un libro, e il volto piegasi verso la spalla sinistra: al lato destro sopra d'un tavolino sta il busto di Beatrice scolpito dal Canova, ed i libri di Winckelmann e d'Agincourt, cui volle seguire lo scrittore nella sua storia della scultura, ed è posseduto dalla contessa Contarini nata Bentivoglio, nipote della contessa Cicognara. Produsse tre volte lodatamente il Rossini, e per la chiesa della Madonna della Salute in Venezia fe' un S. Matteo in forma di lunetta; figurò l'Evangelista seduto, cogli occhi intenti a guardare un angelo, che a lui d'incontro accenna di numerar con le dita le Persone della SS. Trinità. Sostiene il santo con la mano sinistra una tavoletta su cui è in atto d'incidere collo stilo , che tiene in mano, le parole del suo Vangelo. Fe' ancora una piccola tela, avente le figure alte circa un piede, e rappresentante il pittore Francesco Francia, mentre è visitato da Giovanni II Bentivoglio. Sommo pittore era il Francia, anzi l'emulo dell'Urbinate; ed aveagli il Bentivoglio commesso di condurre una tela pel suo altare nella chiesa di S. Giacomo Maggiore di Bologna; quando alla vista del lavoro compiuto, tanta fu la maraviglia eccitatagli nell'animo dalla perfezione, che volle, oltre il convenuto, generosamente compensarne l'artista. Nè il Vasari, nè il Lanzi ci toccano il dono specificatamente; ma secondo il costume de' tempi, è a presumersi che fosse una collana d'oro. E il lavoro del Lipparini ne fu lodatissimo.

Molto ancora ci resta a dire di questo esimio, rapito immaturamente alla gloria dell'arte, all'Accademia ed agli studenti che ne vanno dolentissimi; ed io cerco, quanto posso, di ristringere il mio dire. Fu, dai PP. Cappuccini della città sua natale, commessa l'effigie del B. Giovanni di Acri, e l'uomo straordinario ritrasse il sembiante di quel santo, rapito in estasi dolce, mentre riposa soavemente gli occhi nel cielo della speranza; ed è espresso nel volto l'amore cocente che al Crocefisso portava, cui stringe in petto con le braccia incrociate; poi colori quattro piccoli quadri con temi tolti dalle stampe che Tonny Johannot incise sopra i dipinti fatti da Scheffer nel 1826 pel gabinetto di M. Coutan. Nell'anno 1851 dipinse Socrate che rimprovera Alcibiade, Caino e il Martirio di alcune Vergini. Poichè si sentì maggior lena, saliva all'altezza della pittura storica, dipingendo Socrate che rimprovera Alcibiade; e tali sono i pregi ond'è fornito, che l'annoverarli e lodare il dipinto adequatamente potrebbe parere piuttosto esagerazione. Quel quadro fregia le stanze del cav. Jacopo Treves, che indi vie più si strinse con nodi d'amicizia al Lipparini, e lo incoraggiava ad imprese maggiori, ei profondo conoscitore degl'ingegni e magnanimo sempre nel proteggerli. Chi ha viscere di cittadino non può parlare di lui indifferentemente. Fu sempre indi amico del Lipparini, a tale che non seppe lasciare il letto del moribondo amico, sino a che non ebbe esalato l'estremo sospiro. Questi tratti di carità fraterna, mentre onorano dall'un canto il genere umano e ci porgono documenti della sua dignità, ci compensano delle piaghe che ci apre nell'anima la malevoglienza di alcuni. Fu nominato in questa Accademia professore di Elementi (8 ottobre 1838), indi di pittura (12 giugno 1847), nella qual cattedra durò mentre che visse. Ebbe dalla consorte una figlia, cui maritava con l'egregio artista, stipendiato dalla Corte di Parma, sig. L. Rossi, il quale, molto dovendo all'illustre defunto, lo ricambiava d'amore, ed oggi prova dolorosamente qual uomo ha perduto. Discendo rapidamente ai quadri storici, e i moltissimi per ora ristringo, a motivo della brevità del tempo, al Vittor Pisani, al Giuramento di lord Byron sulla sepoltura di Bozzari e al Marin Faliero. Nella disfatta di Pola (V. Gemme d'arti italiane, 1855) furono distrutte a Venezia presso che tutte le forze navali, e fu per poco cagione della sua totale rovina. (...) Tal è il fatto generale del quadro del prof. Lipparini, quadro commesso dall'augusto nostro Imperatore, e destinato per le pubbliche gallerie. Il punto storico poi scelto al dipinto, fu quello del comunicarsi a Dio, che fa Vittor Pisani, prima di comandare all'armata. La pittura non è come la poesia, la quale, per una successione di suoni, presenta il fatto distesamente agli occhi dell'intelletto e della fantasia; l'arte del dipingere non permette all'artista di porgere delineati tutti gli accidenti che sogliono accompagnare un fatto, ma scegliendo un punto o una porzione, delinea questo punto dettagliatamente. L'eccellenza pertanto dell'artista sta nello scegliere questo punto pittorico e principale, che riassuma tutto il carattere storico e generale; tal che non vi manchi, per dir così, il suo passato, e nella mente di chi rimira il dipinto, vengano a ravvivarsi successivamente le idee che la storia o la tradizione v'impresse. Il sentimento, che viene suscitato dal quadro del Lipparini, è commisto al sentimento dell'eroe, quale la storia ci tramanda Vittor Pisani; e una forte ispirazione e una quiete domina mirabilmente la tela. La testa e tutta la persona del protagonista, inginocchiato e curvo appie' dell'altare, ci rammenta l'eroe cristiano: al tracciar del pennello del Lipparini, quasi a misterioso richiamo, è sorto dall'antico avello Pisani. Ad alcuni piacciono, non ignoriamo, le esagerazioni ed una sterminata indefinita sapienza, e vorrebbero quello che non ammette, nè può ammettere l'arte. L'occhio affisandosi su questo quadro, va in cerca del doge, cui vorrebbesi necessario alla solennità della cerimonia; ma l'illustre dipintore, attenendosi alla storia di Giacomo Nani, ci addottrina tacitamente che il doge, Andrea Contarini, mentre durò il rito divino, erasi recato altrove adoperandosi per la partita del generale. Nè a caso e senza pensiero batte la luce del sole sul volto del sacerdote e dell'eroe; ma con ciò si volle dinotar l'atto mistico, penso. Ed espressa stupendamente è la meraviglia degli astanti, all'udir la voce di Vittore, che, prima di ricevere la comunione, si volge alla moltitudine tra cui forse celavasi alcuno de ' suoi nemici, siccome avviene; e disse che, mediante quel tremendo sacramento, sua intenzione era di attestare solennemente la riconciliazione con la sua patria e con quelli che fossero stati a parte ed anche autori della sua condanna. Parecchi degli astanti sono colpiti da stupore al suono inusitato delle parole; ed altri, immersi con la mente e col cuore nella religione, rimangono prostrati a terra, siccome null'altro li tocchi; mentre presso alla soglia della Cappella ducale havvi chi impone silenzio al popolo clamoroso, che faceva echeggiar di Viva Vittor Pisani le volte della loggia ducale. Gli ultimi momenti del doge Marin Faliero sono una perfezione d'arte e di sentimento. Il Lipparini, nel condur la sua tela, volle attenersi alla credenza comune, al romanzo, e imitò il sommo poeta inglese. Ma il prode vecchio, sdegnoso dei lacci che sempre più stringeva il Consiglio maggiore, cospirava enormemente a danno della Repubblica, e per questo perdette miseramente la vita, per mano del carnefice, sulla scala ove i dogi s'incoronavano, e l'immagine di lui sta coperta di un velo negro con la iscrizione nota ad ognuno. All'artista era in arbitrio di scegliere, e s'attenne al fatto scenico e artistico, e di questo fissò il punto più drammatico e più tremendo; cioè quando il doge scaduto, tutto pieno del pensiero e dell'angoscia della perduta dignità, è compreso da que' gravissimi sentimenti ond'è agitato chi ondeggia tra la vita e la morte, chi bee gli ultimi sorsi di vita, ed ha sotto degli occhi la scure e il patibolo. Però trovasi un frate, che lo ravvia ai conforti del cielo. Io chiamerei pensiero di fantasia baironiana e pur vero, quel cadere a' piedi del vecchio doge e implorarne perdono, l'addolorata e bellissima donna sua. Tale potea addivenire, se fingesi che per lei, per l'onore di lei, fosse il vecchio ribellante alla Repubblica e quindi decapitato. Parliamo per ultimo de' greci argomenti, a cui pareva nato espressamente l'uomo che lagrimiamo estinto.

Eletto era l'ingegno e l'animo, squisito il gusto, profonda e svariata la dottrina, per cui facea piacere (cosa insolita al più degli artisti) l'intrattenersi con lui favellando d'arti belle, di poesia e di lettere, come quegli che conobbe personalmente e assistette al parlar facondo di Leopardi, di Costa e di Giordani. Era voto comune che ciascun anno le pubbliche mostre di belle arti andassero adorne di peregrini dipinti di lui; ma ciò donavasi all'affetto e all'amore che portava a' prediletti suoi alunni, tra' quali il Carlini, il Bello, il Rota, il Moretti-Larese e lo Stella ed altri: e questo amore il conducea spesso dopo le lezioni di scuola, nello studio di que' distinti giovani, onde arricchirli de' suoi preziosi ammaestramenti. Ma affaticava di troppo la vita; nè dalla lunga e grave malattia dell'anno scorso, mai potè riaversi; ed ci non pensava a ristorare le forze affralite , sicchè giaque vittima dell'arte e del dovere. Scriveasegli da Pordenone affrettando la restituzione del quadro, di cui voleva giovarsi per ultimare l'opera che aveva ancora tra mani; e il pensiero e l'affanno del lavoro gli aumentava la ferocità del morbo; per cui il 19 del corrente mese, la morte lo rapiva a Venezia e all'Italia, all'Accademia, ove difficilmente si porrà degno successore. Oh! perchè se fatale gli doveva riuscire la troppa fatica, perchè non si ridusse nel proprio studio? essendochè allora, datogli più libero il giorno, avremmo veduto ripetersi i miracoli del suo pennello il Marino Faliero, la Morte di Marco Bozzari, il Giuramento di Byron sulla tomba del novello Leonida (il qual Giuramento rimase lì, e rattrista la sala con la propria bellezza pugnante coll'idea tetra, che quella mano che vi lavorava è rigida!). Avremmo veduto ripetersi le tante barche montate da' Greci, sì ch'ei pareva assolutamente nato per imprimere, dipingendo, ai personaggi della Grecia moderna il tipo nazionale e monumentale. Nel Giuramento del grande poeta britanno (con cui lavò le proprie colpe), in questa mirabile tela, moltissimi sono i personaggi, e però diverse le passioni e gli affetti, onde appaiono agitati: ma il carattere del protagonista balza alle lodi generalmente impartite al Professore Beseghi all'occhio subitamente, e per poco non ascolti e non ti passano nell'animo profondamente le parole ed il giuramento, che vuolsi essersi fatto dal sommo Inglese, di consacrare le sostanze e la vita pel bene di quella nazione. Vero è che dal senso di grandezza e di alto amore che inspira nella storia la scena che qui veggiamo dipinta, è tutt'altro che lontana questa mirabile tela, per chi almeno è convinto essere la verisimiglianza l'anima dell'arti. Le carni aduste de' Greci, di questa forte generazione d'uomini duri alla guerra ed alle fatiche, il volto abbronzato, l'attitudine e la dispostezza guerresca, qui spiccano al vivo artisticamente ritratte; tali il cielo, l'acqua e i campi di Grecia. Ma, ripetiamolo, l'aspetto aperto, gagliardo e slanciato di lui che rappresentava in quel punto la dignità delI'uomo, ce l'offriva eminentemente l'ottimo artista".

dicembre 2024.