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Verenin Grazia detto/a Montini

2 giugno 1898 - 31 Maggio 1972

Scheda

Verenin Grazia, «Montini», da Vittorio e Rosa Guidi; nato il 2 giugno 1898 a Rimini (FO). Nel 1943 residente a Bologna. Operaio e poi impiegato.
Anarchico in gioventù, aderì in seguito al PSI.
Alla vigilia della prima guerra mondiale fu attivista a Rimini del sindacato anarchico aderente all'USI. Per qualche tempo fu anche funzionario del sindacato anarchico a Milano.
Richiamato alle armi nel 1917 e smobilitato nel 1919, tornò a Rimini dove ricoprì numerosi incarichi nel movimento cooperativo romagnolo. Fu direttore del Consorzio cooperative agricole e di consumo di Rimini. Nello stesso periodo di tempo fece parte della segreteria nazionale dell'USI e della redazione del settimanale regionale anarchico “Sorgiamo!”.
Nel 1920 fu schedato. Nel 1922, quando il Consorzio cooperativo di Rimini fu sciolto dai fascisti, lasciò la città natale per Bologna.
Lavorò per qualche tempo all'ufficio regionale del lavoro, poi espatriò in Francia per sottrarsi alle persecuzioni politiche.
Tornato a Bologna all'inizio degli anni Trenta, intraprese l'attività di rappresentante di commercio, senza abbandonare l'impegno politico. Fu proprio in quel periodo che, lasciato il movimento anarchico, aderì al PSI.
Nel settembre 1942 fu tra coloro che riorganizzarono la federazione provinciale socialista e prese parte alla riunione che si tenne nello studio di Carmine Mancinelli, in via Castiglione 23, nel corso della quale furono gettate le basi per la ripresa dell'attività politica. Nel giugno 1943, unitamente a Mancinelli, rappresentò il PSI nel Fronte per la pace e la libertà, il primo organismo unitario dell'antifascismo bolognese costituito prima della caduta della dittatura.
Nei primi giorni dell'agosto 1943 partecipò alla riunione che si tenne nello studio di Roberto Vighi, in via Santo Stefano 18, presente Pietro Nenni, per l'unificazione del PSI e del MUP e la conseguente nascita del PSUP, poi PSIUP. Il 25 agosto successivo fu uno dei sette delegati bolognesi che parteciparono alla riunione di Roma al termine della quale fu decretata la fusione nazionale tra PSI e MUP.

Pochi giorni dopo, con l'inizio della Resistenza armata, fu designato dal partito - unitamente a Fernando Baroncini e Alberto Trebbi - a far parte del CLN provinciale, la cui prima riunione si tenne il 16 settembre 1943.
Trasferitosi momentaneamente in Romagna - dove prese parte alla organizzazione di una brigata partigiana sull'Appennino tosco-romagnolo - tornò a Bologna nell'inverno 1943-44 per assumere la segreteria del CLN regionale dell'Emilia-Romagna. Incarico che mantenne ininterrottamente sino alla Liberazione e che faceva di lui il massimo esponente del CLN.
Nel giugno 1944 assunse, contemporaneamente, la carica di vice commissario politico nel CUMER. Nello stesso periodo di tempo fece anche aprte del gruppo dirigente del partito.
Nel settembre 1944, quando Antonio Zoccoli assunse la presidenza del CLN regionale, conservò la segreteria e divenne il coordinatore delle numerose commissioni di lavoro (economica, giuridica, lavoro ecc.) costituite all'interno del massimo organismo politico della Resistenza. In particolare si interessò dei problemi finanziari e tenne stretti collegamenti con alcune banche bolognesi per avere - debitamente autorizzati dal governo centrale - i finanziamenti indispensabili per il buon funzionamento dell'esercito partigiano. Con Giovanni Bordoni, della commissione economica del CLN, redasse alcuni documenti sulla situazione alimentare e sullo stato delle industrie bolognesi, che avrebbero dovuto essere la base, nel dopoguerra, della ricostruzione.
Unitamente a Giuseppe Bentivogli e a Vighi - il quale fu l'estensore materiale - studiò e approntò il progetto di legge, cosiddetto del «maltolto», per restituire alla cooperazione i beni patrimoniali e immobiliari espropriati dal fascismo. Pur essendo aderente alla corrente di sinistra - che, all'epoca, era favorevole alla più stretta unità d'azione tra socialisti e comunisti - nel settembre 1944 non esitò a opporsi e a sventare una gravissima decisione militare presa unilateralmente dal PCI bolognese.
Senza consultarsi e senza avvertire il CLN regionale e il CUMER - i soli organismi che potevano farlo - il 22 settembre 1944 aveva diffuso un proclama con il quale i bolognesi erano invitati a promuovere il giorno 25 lo «sciopero generale insurrezionale» nella città e nella provincia di Bologna. La decisione comunista era almeno intempestiva perché le truppe alleate erano ancora distanti da Bologna, a parte il fatto che si sarebbero fermate nei pressi di Pianoro qualche settimana dopo. Ma era soprattutto contraria allo spirito unitario che animava sia il CLN che il CUMER, ai quali tutti i partiti avevano demandato i pieni poteri per la conduzione della guerra di liberazione e antifascista. Per questo, nella sua qualità di segretario del CLN regionale, intervenne personalmente presso Ilio Barontini, Giuseppe Dozza e Paolo Betti - i massimi dirigenti del PCI bolognese - e ottenne la revoca del gravissimo provvedimento. Se fosse stata tentata, l'insurrezione si sarebbe trasformata in un disastro perché gli alleati avevano già deciso di interrompere l'avanzata su Bologna - pur senza avvertire il CLN, il quale fu informato solo il 13 novembre con il «proclama Alexander» - dove giungeranno nell'aprile. Il 21 aprile 1945 fu tra i massimi dirigenti dell'insurrezione popolare.
Dal CLN fu incaricato di assumere la dirigenza dell'ufficio regionale del lavoro. Riconosciuto partigiano con il grado di maggiore nel CUMER dal 9 settembre 1943 alla Liberazione.
Il 25 settembre 1945 nominato emembro della Consulta..
Ha pubblicato: Studio sulla Resistenza emiliana, in “La Squilla”, pubblicato a puntate dal n. 43 del 1955 al n. 37 del 1956; Bologna socialista nella lotta di liberazione, in «Almanacco socialista 1946», Milano, 1946; La liberazione di Bologna, in Storia dell’antifascismo italiano, a cura di L. Arbizzani e A. Caltabiano, Roma, Editori Riuniti, 1964, vol.II, pp.301-8. Testimonianza in RB1 [O]