Scheda
"Fu uno de’ nostri che portò nell’arte le innovazioni dell’Hayez e del Bezzuoli: professore all’Istituto di Belle Arti in Bologna. Ha in Pinacoteca: “Mosè che innalza il serpente di bronzo” (fatto nel 1850) e l’altro “Esmeralda nella sua prigione.” Dipinse tra gli altri quadri S. Giuseppe Colasanzio per commissione del canonico Calzolari per le Scuole pie nel 1851. Nel 1863 Galileo, di commissione del Marchese Luigi Pizzardi, Tasso ed Eleonora, Dante e Beatrice, Lia ed altri." Tratto da "La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi", Bologna, 1888. Muore il 22 giugno 1899, e sepolto alla Certosa di Bologna, Loggiato delle tombe n 245.
Giulio Cesare Ferrari (Bologna, 1818 - ivi, 1899), nipote di Jacopo Alessandro Calvi, detto il Sordino (Bologna 1740-1815), nasce il 27 aprile del 1818 e si iscrive in Accademia nel 1831. Nel 1836 espone dei paesaggi ad olio alla mostra accademica; nota Michelangelo Gualandi (1793-1887): "I paesini esposti bene mostrano avere avuto i rudimenti nell'Arte dal celebre Fantuzzi [Rodolfo (1779-1832), n.d.r.] del quale è imitatore". Ottiene anche premi scolastici in elementi di Figura (1836), sala delle Statue (1838), Pittura (1840), Nudo (1840). Nel 1842 espone due copie ad olio da Correggio e Perugino. Nel 1843 è a Venezia nei mesi di giugno e luglio e copia Veronese. Il primo quadro importante di pittura storica di Ferrari è Un fatto delle illustri famiglie Mariscotti e Bentivoglio, che presenta a Modena nel 1844 e che può essere considerato frutto della scelta di seguire le lezioni di Adeodato Malatesta (1806-1891) insieme ad Alessandro Guardassoni e a Pietro Montebugnoli. Il dipinto fa oggi parte della Collezione storica del MAMbo di Bologna ed è stato esposto al pubblico nel 2014. A Bologna porta nel 1846 un quadro d'invenzione ad olio rappresentante Cristo, Santa Filomena e S. Pantaleone e tre ritratti ad olio, tra i quali il Conte Benati in abito da Maggiordomo. Nel 1847 espone ancora un soggetto biblico: Agar in atto di dissetare il figliuolo Ismaele nel deserto e Tobiolo (commissione di Giuseppe Gandolfi), un Riposo della Santa Famiglia e un Autoritratto a mezza figura. Nella primavera ed estate del 1847 si trova a Firenze per studiare presso la scuola di Giuseppe Bezzuoli (1784-1855) e completa la sua formazione con un soggiorno di un anno a Roma tra la primavera del 1848 e quella del 1849. Tali esperienze traspaiono dal Mosè e il serpente di bronzo (Bologna, Pinacoteca Nazionale, ora in deposito alla Camera dei Deputati) del 1850 che vince il premio grande del concorso accademico: nonostante ciò la Commissione non manca di criticare la composizione riscontrando la mancanza di unità di soggetto: “[...] poche figure che si volgono a Mosè, pochissime anzi niuna, delle principali al serpente, sola àncora di salvezza. La fede era il perno della composizione”. Ferrari preferisce evidenziare il pathos e la teatralità e lo fa attraverso gruppi di figure staccate, riprendendo la composizione che Francesco Hayez (1791-1882) sceglie per La sete dei crociati (1850, Torino, Palazzo Reale), dipinto che ispira anche il suo compagno di studi Alessandro Guardassoni.
Ferrari risulta un pittore moderno, ma emerge in lui anche un lato prudente, conservatore, in special modo quando si tratta di affrontare dipinti d'altare, ricevendo nel 1851 una critica del tutto negativa per Il santo Calasanzio in mezzo ai suoi allievi, commissionato per le Scuole Pie e che espone insieme a cinque ritratti ad olio di cui due a figura intera. Poppi sottolinea questa doppia anima di pittore che deve muoversi su registri diversi in una città non veramente aperta alle novità artistiche e che dunque si destreggia tra commissioni religiose e la nuova classe dirigente che guarda al gusto romantico che viene dalla Lombardia. Nel 1852 diventa socio d'onore dell'Accademia. Ancora nel 1853, all'esposizione accademica presenta La portatrice d'acqua, un'Addolorata e quattro ritratti a olio - altro genere in cui è versatissimo e in cui riceve numerose commissioni - di cui uno "a figura intera grande al vero". Gatti ricorda i suoi “ritratti lodati” e Guidi, nel 1867, recensendo l'Esmeralda sul "Gazzettino delle Arti e del Disegno", definisce “[...] il suo autore un bravo ritrattista come ne fanno prova i tre ritratti, due di uomini ed uno di donna, che si trovano in un’altra sala dell’esposizione”, confermando così le sue qualità in quest'aspetto della sua carriera di cui così poco si conosce. Così è ricordato da Masini (1862): “pittore gustoso che tocca gli accessori con mirabile valentia specialmente ne' ritratti”.
Più studiata, per forza di cose, la sua pittura romantica dal registro sentimentale, della quale è comunque l'esponente più rappresentativo a Bologna. In tale produzione, che si colloca soprattutto negli anni Cinquanta, rientrano alcuni dipinti presentati con continuità alle esposizioni della Protettrice: La figlia di Jefte (1854), acquistata dalla Società Bolognese e che fa scrivere a Severino Bonora (1801-1866) che Ferrari è un artista in ascesa, Tasso ed Eleonora d'Este, 1856; Linda di Chamounix, 1857, commissionata appunto da Bonora. Nei primi anni Sessanta risente fortemente dell'esempio di Hayez la sua Esmeralda nella torre di Notre-Dame (1863), che sarà acquistata poi dalla Pinacoteca dell'Accademia come esempio di pittura moderna. A tale anno risale anche la consegna del Galileo Galilei commissionato per il salone del Risorgimento di Luigi Pizzardi (1815-1871), non di grande successo critico: “L'espressione della testa è alquanto ignobile, ma sembra bene abbastanza espresso l'atto della meditazione: buono è il disegno di tutta la figura, molto in rilievo: […] ma in tutto l'assieme, il colorito ci sembra un poco freddo” e Bottrigari scrive di come "la testa del Galilei pecchi un poco di esagerazione, sia per la fronte troppo sporgente che pel naso troppo camuso". Claudia Collina ollina motiva queste particolarità come dovute da una parte una ricerca del “Vero” nella testa e nelle mani di Galileo – scelta che si distacca nettamente dall'Esmeralda e dal patetismo romantico per cui solitamente è ricordato Ferrari – e, per quanto riguarda la cromia fredda, a un'influenza del già citato Puccinelli, presente, fra l'altro, nel Salone di Pizzardi, con Carlo Alberto a Oporto (1865, Bologna, Museo Civico del Risorgimento).
Ferrari, affianca all'attività di pittore quella di docente: insegna all'Accademia di Belle Arti di Bologna dal 1860 fino al 1895, prima come sostituto e poi dal 1877 come aggiunto all'insegnamento di Figura insieme ad Antonio Muzzi. Tra i suoi studenti ci sono Luigi Busi, Raffaele Faccioli e Luigi Serra. Nel 1870 all'Esposizione Nazionale di Parma mostra ancora una volta la sua inclinazione per la scuola moderna, come membro della commissione giudicatrice, allineandosi, alle opinioni della scuola toscana. Le ultime cose ricordate di Ferrari - tra le quali Pia de' Tolomei e Lia - non si distaccano comunque dai soggetti femminili dal trattamento pittorico un poco freddo che avevano fatto la sua fama tra gli anni Cinquanta e i primi anni dell'Unità, i “parecchi quadri storici e romantici accolti con grande favore” per i quali in genere è ricordato. Di questo tipo di tele è comparso sul mercato un Dante e Beatrice firmato e datato 1871 (Bonhams, 3 marzo 2021, n. 116). Ferrari è stato anche membro della Società Francesco Francia di Bologna che si è sostituita nelle funzioni alla Società Protettrice. Muore il 22 giugno 1899.
Isabella Stancari
Testo tratto da: Isabella Stancari, 'Il Primo album fotografico Belluzzi e i pittori bolognesi della Seconda metà del secolo XIX', Bollettino del Museo civico del Risorgimento, Bologna, anno LXIII - LXVI, 2018 – 2020, Bologna, 2022.