Scheda
Renato Dall'ara (1892 - 1964) nel 1934 sceglie quasi per caso di occuparsi del Bologna Calcio quando, tramontata la stella di Leandro Arpinati, il Regime fascista deve trovare una guida sicura per una delle più solide istituzioni cittadine. Il 26 gennaio 1934 Renzo Lodi scioglie la “Bologna sportiva” e Gianni Bonaveri, uomo di Arpinati, lascia il Bologna Calcio nelle mani di un commissario straordinario che si chiama, appunto, Renato Dall’Ara.
Ha quarantadue anni, un viso rubizzo, l’inclinazione naturale alla battuta greve, ma di cui bisogna fare attenzione a prendere sottogamba. Emiliano doc (è nato a Reggio Emilia il 10 ottobre 1892), dal niente è diventato florido industriale della maglieria. Ha il bernoccolo per capire le cose e le persone. Gli piace soprattutto il gentil sesso, gli piace vivere bene, non risulta si intenda di sport. Sembra quasi di passaggio, lì per lì, invece diventerà un’istituzione. A capire dove è stato paracadutato ci mette pochi mesi.
Una stagione di assestamento, poi importa Michele Andreolo dall’Uruguay con un colpo di fortuna e il Bologna ricomincia a vincere alla grande. Passa per pitocco perché è solito costringere i giocatori a trattative estenuanti per i reingaggi annuali (allora funzionava così, altro che procuratori), passa per un sempliciotto perché la sua parlata è infarcita di attentati alla grammatica e alla sintassi, spesso farcite da spassose citazioni maccheroniche: «Sine qua non, siamo qua noi!», «Fiat lux, faccia lui!», «Tot capita, capitano tutte a noi», «Il nostro campione è assente perché accorso al capezzolo della moglie malata». In breve il suo fiuto diventa infallibile e a guidarlo c’è una passione ben dissimulata ma genuina. Avaro? Macché. Nemico degli sprechi, piuttosto, come spiega Bruno Roghi negli anni Cinquanta: «È il presidente a vita del Bologna e il resto è noto. Questo “resto” sta nella notoria equivalenza che esiste tra la larghezza ridanciana delle sue inesauribili facezie e la ristrettezza punto ridanciana del collo della sua borsa. Dall’Ara è attaccato al bilancio come la puntina da disegno al foglio del geometra e questo paragone è assai più onorevole dell’altro, volgarmente mormorato dai maligni secondo il quale Dall’Ara è attaccato al bilancio come il pidocchio al materasso. La verità è che il giocondo e curvilineo cocchiere della diligenza felsinea è tra i pochissimi presidenti di società calcistiche che considerano lo sperpero come il malanno più grave che affligge l’ambiente nazionale dei calciatori, in notevole misura provocandone l’abbassamento di tono in chiave di moralità».
Il suo Bologna nel dopoguerra fatica a ritrovare la strada dello scudetto, ma naviga quasi sempre a quote medio-alte. E incessanti sono i tentativi del presidentissimo di rilucidare il blasone. Prende come allenatore Giuseppe Viani intuendone le doti di grande uomo di calcio, con cui tra l’altro instaura un solido legame fatto anche di confidenze un po’ sbracate; prende campioni o presunti tali in sequenza, sempre con l’obiettivo di restaurare l’antica grandezza. E all’inizio degli anni Sessanta cuce anno dopo anno il suo capolavoro, fatto di un settore giovanile di eccellenza e di una rete di osservatori efficiente che gli consente di accaparrarsi giovani importanti.
Il resto, ce lo mette il suo bernoccolo per gli affari.
Si innamora di Harald Nielsen e di Helmut Haller in anticipo su tutti, comprende anche la grandezza di Fulvio Bernardini pur non potendone soffrire il distacco un po’ snob. E quando sta arrivando al traguardo, una lite furibonda nella sede milanese della Lega Calcio con Angelo Moratti sull’entità dei premi-partita per lo spareggio gli ferma il cuore, già provato da precedenti infarti.
È il 3 giugno 1964. Quattro giorni dopo, il Bologna trionfa nel catino infuocato dell’Olimpico nello spareggio-scudetto e la presenza più palpabile è proprio quella del grande assente. Renatone, pur con la sua fama di tirchio non ha mai ceduto un campione, è riuscito a tenere alto il vessillo rossoblù anche negli anni del dominio del calcio metropolitano: trent’anni di regno, un primato assoluto, con una sala trofei piena di luccichii: cinque scudetti, una Coppa Media Europa, il Torneo dell’Esposizione di Parigi, una Mitropa Cup, una Coppa Alta Italia.
Renato Dall'Ara riposa nel semplice sarcofago decorato con una riproduzione delle formelle di Lorenzo Ghiberti per il battistero di Firenze, in una suggestiva posizione, proprio a ridosso dell'ingresso ottocentesco della Certosa, dai bolognesi chiamato dei Piagnoni o Piangoloni. Nel trentennale della morte, gli verrà intitolato lo stadio Comunale.
Carlo Felice Chiesa
Testo ricavato da Il secolo rossoblu. L'enciclopedia e la storia dei cento anni di Carlo Felice Chiesa e Lamberto Bertozzi, Carlo caliceti, Gianfranco Civolani, Minerva Edizioni, Bologna, 2009