Note sintetiche
Scheda
Nato ad Imola (Bologna) il 29 novembre 1851 da Pietro e Rosa Tozzi. Frequentò le scuole elementari ed il ginnasio comunale, dove cominciò a porsi «nella forma più istintiva» domande sull'uguaglianza umana. Negli anni del liceo, quindi, Costa si avvicinò al pensiero positivista e materialista. Il 17 dicembre 1870 si iscrisse all'Università di Bologna come “studente libero”, non avendo la possibilità di pagare regolarmente le tasse d'ammissione: contestualmente, per mantenersi, trovò lavoro come scrivano in un'agenzia assicurativa della sua cittadina. Fu in questo ambiente che Costa si avvicinò per la prima volta all'Internazionale: compì il suo noviziato tra Imola e Bologna, nell'eccitazione per la Comune di Parigi e grazie al contatto con Giosuè Carducci, che lo prediligeva fra i suoi allievi. Tra le sue frequentazioni, Costa annoverava anche svariati popolani bolognesi dal passato garibaldino: assieme ai più audaci di questi partecipò alla costituzione del Fascio operaio – che da Bologna si diffuse poi in tutta la Romagna, nelle Marche e in Toscana – un'associazione intrisa di contenuti socialisti e di simbologia massonica. Il socialismo, nel pensiero politico di Costa, era da intendersi come «un grande movimento umano» e non di classe: «Era l'uomo. L'umanamento dell'uomo. E poiché non erano, generalmente, condizioni economiche che muovevano, non bisogno, ma principî astratti, [il socialismo, nda] si muoveva da essi (da problema morale)». Poiché inoltre il socialismo costiano era considerato come un movimento che oltrepassava il partito, risalendo «logicamente», «naturalmente», «al concetto anarchico il più completo, il più umano», fu perfettamente comprensibile il suo incontro con Michail Bakunin, la cui anarchia respingeva «il governo dell'uomo sull'uomo come schiavitù».
Nel volgere di un paio d'anni, Costa ascese al ruolo di attivissimo organizzatore dell'Internazionale, nella regione che diede l'unica vera base di massa a quella che per molti anni fu la vera e propria avanguardia del movimento operaio: la Romagna. Al congresso di Bologna degli internazionalisti emiliani e romagnoli egli si espresse in favore delle posizioni bakuniniane, rifiutando nettamente i propositi di unificazione delle forze democratiche (lanciati contestualmente da Giuseppe Garibaldi e fortemente sostenuti dal garibaldino ed internazionalista mirandolese Celso Ceretti). L'attività svolta da Costa in questo lasso di tempo fu a dir poco intensa: fu eletto infatti alla carica di segretario del congresso costitutivo della Federazione italiana dell'Internazionale presieduto a Rimini da Carlo Cafìero, nonché a quella di segretario della commissione di corrispondenza della Federazione stessa. All'inizio del 1873 organizzò il I Congresso di detta Federazione, venendo arrestato poco dopo. Rilasciato nel luglio, Costa ebbe modo così di presenziare alla fondazione della Federazione dell'Internazionale dell'area romagnola e di quella umbro-marchigiana. Nel settembre era a Ginevra, dove fu eletto alla presidenza del VI Congresso dell'Internazionale bakuniniana: l'imolese ebbe una parte di rilievo nell'assise, sottolineando la priorità da assegnare all'azione rispetto ai problemi teorici ed opponendosi alle tendenze “operaistiche” presenti nell'associazione stessa, in quanto non bisognava incorrere in alcun tipo di «distinzione classistica». Disse al proposito il Costa: «Io non conosco che due categorie di uomini, quelli che vogliono la rivoluzione e quelli che non la vogliono. E vi sono dei “borghesi” che vogliono la rivoluzione certo con maggiore energia e serietà che non certi operai».
Il 1874 fu l'anno del primo tentativo insurrezionale degli internazionalisti italiani: Costa fu il principale organizzatore del moto, che doveva avere luogo a Bologna con la presenza dello stesso Bakunin, ma per via della scarsissima adesione popolare e per le strette maglie della sorveglianza poliziesca il tentativo fallì ancor prima di cominciare. Costa fu arrestato e la sparuta colonna di internazionalisti romagnoli guidati da Antonio Cornacchia venne catturata senza opporre resistenza. L'anarchico russo, invece, si dileguò nell'anonimato con cui era giunto. Il fallimento dell'azione, scandito dagli arresti e dalle persecuzioni delle forze dell'ordine, provocò la paralisi dell'intero movimento internazionalista: in particolare, Andrea Costa passò diciannove mesi in carcere, in attesa del processo che si celebrò solo nel marzo 1876. Egli utilizzò quella tribuna per ripercorrere la storia dell'Internazionale, affermando infine che «Non è già l'emancipazione della classe operaia solamente quella per cui noi ci adoperiamo, ma l'emancipazione completa del genere umano». Andati assolti tutti gli imputati, egregiamente difesi dall'avvocato democratico Giuseppe Ceneri, il movimento poté godere di una fase di ripresa, grazie anche alla caduta della Destra storica. Dopo il fallimento del moto di San Lupo (Benevento) guidato nell'aprile 1877 da Cafìero ed Errico Malatesta, Costa riparò in Svizzera per sfuggire all'arresto dovuto ad una nuova serie di persecuzioni poliziesche che portò alla disgregazione dell'intera organizzazione. In questo lasso di tempo si susseguirono alcuni incontri decisivi per l'evoluzione politica e personale dell'imolese: sul versante personale vi fu quello con la giovane rivoluzionaria russa Anna Kuliscioff, alla quale egli rimase affettivamente legato fino al 1885 (nel 1881 nacque la loro figlia Andreina), mentre dal punto di vista politico influì certamente il contatto con l'ambiente del socialismo internazionale (in particolare con il francese Jules Guesde). Arrestato a Parigi nel marzo 1878, in carcere maturò in Costa un approfondito ripensamento delle sue teorie, che lo portò ad avvicinarsi una volta uscito di prigione all'evoluzionista transalpino Benoît Malon (già protagonista del distacco delle organizzazioni italiane dalle teorie bakuniniane).
La vera e propria “svolta”, come venne poi definita, avvenne con la lettera del 27 luglio 1879 pubblicata su “La Plebe” ed indirizzata Ai miei amici di Romagna: con essa Costa propose di accantonare le prospettive rivoluzionarie ed insurrezionali immediate, per puntare invece al radicamento del movimento socialista tra le masse popolari. L'imolese proponeva di fatto di perseguire un socialismo di tipo legalitario: «essere un partito d'azione non significa voler l'azione ad ogni costo e ad ogni momento. La rivoluzione è una cosa seria». L'appropriazione delle esperienze del populismo rivoluzionario russo – che si sostanziò in un richiamo anche formale dell'“andata al popolo” dei “narodniki” (it.: populisti): «Noi trascurammo così fatalmente molte manifestazioni della vita, noi non ci mescolammo abbastanza al popolo; e quando, spinti da un impulso generoso, noi abbiamo tentato di innalzare la bandiera della rivolta, il popolo non ci ha capiti e ci ha lasciati soli. […] Compiamo ora ciò che rimase interrotto, rituffiamoci nel popolo e ritempriamo in esso le forze nostre» – si accompagnò all'acquisita convinzione che la lotta per il miglioramento delle condizioni politiche ed economiche dei lavoratori fosse un presupposto indispensabile per ogni azione rivoluzionaria. Questi nuovi orientamenti del socialismo costiano – su cui avverrà poi la ricostituzione dell'Internazionale in Italia – vennero propugnati attraverso organi di stampa da lui stesso fondati in questo periodo: la “Rivista internazionale del socialismo” (1880) e l'“Avanti!” (1881, con il sottotitolo “Periodico socialistico settimanale”).
Favorevole alla partecipazione alle competizioni elettorali, dopo che anche la conferenza dei socialisti romagnoli si espresse positivamente in questo senso, Costa si candidò alle elezioni politiche dell'ottobre 1882 per il collegio di Ravenna: eletto, fu il primo deputato socialista a varcare la soglia della Camera dei Deputati del Regno d'Italia. La sua attività parlamentare fu caratterizzata da un'intransigenza sul campo dei principî, accompagnata però da spregiudicate alleanze con l'Estrema borghese al fine di attuare anche in Italia un'avanzata legislazione sociale. Triumviro del Fascio della democrazia assieme a Giovanni Bovio e Felice Cavallotti, Costa avversò sempre in maniera intransigente ogni avventura di tipo coloniale: a lui il proletariato italiano deve l'immissione di questo tema nel suo patrimonio simbolico e di lotta. In parallelo alla sua attività da deputato, Costa portò avanti il progetto di costruire un partito rivoluzionario in cui si raccogliessero tutte le tendenze del movimento operaio italiano: nell'agosto 1881 si tenne a Rimini un convegno di organizzazioni a lui vicine, durante il quale vennero gettate le basi del Partito Socialista Rivoluzionario Italiano (PSRI, che formalmente fu fondato al congresso di Forlì del 1884). Nonostante l'impegno costiano però, esso rimase sempre una forza politica a base poco più che regionale. Per tutti gli anni Ottanta furono continui i contatti tra il deputato imolese e gli operaisti milanesi, con il progressivo avvicinamento tra il suo partito ed il Partito Operaio Italiano, che di contro causò la rottura dell'alleanza con la sinistra borghese del Fascio della democrazia. Il tentativo promosso da Costa di addivenire all'unificazione delle forze operaie, socialiste ed anarchiche non avrebbe sortito effetti concreti, anche se la scelta di Mantova per il congresso del PSRI nel 1886 fu significativa, in quanto la città lombarda era all'epoca centro di un forte movimento contadino di ispirazione socialista.
Nel 1880, Costa aveva dato alle stampe il Sogno, una visione utopistica della cittadina di Imola, redenta in un prossimo futuro dall'avvento del socialismo. L'opuscolo cominciava così: «M'ero coricato stanco e malinconico. […] E sognai... La nostra Imola non era più quella. Tutti i sudici vicoletti erano spariti; di tutte le vecchie catapecchie non si vedeva più traccia. Né mura, né porte, né cancellate dividevano ormai più i sobborghi della città. Ognuno entrava ed usciva liberamente senza che le guardie daziarie ficcassero il naso nelle sporte. Fontane e giardini ornavano le piazze. La rocca era stata atterrata dalle fondamenta. San Cassiano era ancora in piedi; ma, in luogo delle messe e delle benedizioni, vi si davano accademie di musica e di canto e il popolo vi si raccoglieva per discutere le cose del Comune. I Cappuccini erano stati convertiti in un'ampia casa di educazione. Nelle chiese e nei conventi stavano i Collegi delle arti. In San Domenico era l'esposizione permanente de' prodotti del giorno. […] Come godeva passeggiando solo e sconosciuto per le vie della città! Non una guardia, non un soldato, non un prete né un mendicante! I cittadini vestivano su per giù allo stesso modo.... Non è questa una città che si chiama Imola? Io vivevo in un tempo in cui Imola era ben diversa da ciò che è adesso. Allora vi erano de' signori e de' poveri; e parlando, si diceva lei, voi o tu secondo la condizione di quegli a cui si parlava; a lato dei palazzi vi erano casupole e catapecchie indecenti; a lato delle chiese sorgevano i postriboli; e, se ti scostavi dalle vie principali, trovavi dei vicoli che facevano paura... da un secolo già queste cose sono sparite... la grande rivoluzione internazionale estirpò dalla terra gli ultimi avanzi della barbarie!». Questo opuscolo, pubblicato inizialmente sull'Almanacco popolare (1881) e poi nel 1900 nella collana “Biblioteca Educativa Sociale” per i tipi di Nerbini (Firenze), esprimeva «le attese e le speranze di liberazione del rivoluzionario proprio alle soglie di un'attività pratica condotta anche attraverso le istituzioni, quasi a sottolineare la non estraneità dei due momenti dell'impegno sociale: quello immediato, della resistenza, del sollievo ai più deboli, della ricerca del lavoro per i braccianti disoccupati, e quello alto e ideale dell'avvenire» (Zangheri 2003, p. 456).
Nelle campagne della sua Romagna Costa continuò parimenti a dedicarsi allo sviluppo del movimento cooperativo e di resistenza, legato in particolare ai braccianti del ravennate. Nondimeno, decisivo fu il suo impegno in seno al Partito Socialista Rivoluzionario Romagnolo nel focalizzare tutto l'interesse verso le amministrazioni locali, ed in particolare per i comuni: «Noi vogliamo rivendicare al popolo il comune […] vogliamo che il comune, casa nostra, sia altresì cosa nostra», affermò a Ravenna nel novembre 1883. In un Regno d'Italia fortemente accentrato e burocratico, Costa – così come numerosi altri socialisti – guardava al comune come “alla” comune, ovvero «la possibilità, certo utopisticamente ma fortemente e sinceramente sentita, di trasformare e ristrutturare dal basso la società, investendola nella sua cella più elementare e vicina, per aggredire in essa i rapporti socialmente e politicamente dominanti» (Zangheri 2003, p. 457).
Con il congresso di Ravenna del PSRI del 1890 fu chiaro che l'esperimento socialista rivoluzionario romagnolo era ormai in una fase di irrimediabile declino, e lo stesso ruolo di Costa – di fronte alla fondazione del Partito dei Lavoratori Italiani, l'affermarsi della socialdemocrazia tedesca come partito guida del socialismo europeo e la nascita sotto la sua egemonia della Seconda Internazionale – cominciò a divenire sempre più marginale: «La personalità di Costa, con il suo eclettismo sul terreno dei principi, o per dire meglio con l'ampiezza della sua visione ideale, con la sua istanza largamente unitaria e la sua concezione del partito come federazione di autonome società operaie, socialiste e anarchiche, non poteva non scontrarsi con le nuove tendenze del movimento operaio europeo». Al congresso fondativo del PSI nel 1892 Costa ed i suoi seguaci non condivisero la definitiva rottura operata nei confronti degli anarchici, non aderendo al nuovo partito – con cui anche i socialisti romagnoli, infine, si fusero. Nel 1907 Costa intervenne al congresso di Stoccarda della Seconda internazionale, mentre nel 1909 fu eletto vicepresidente della Camera dei Deputati (presidente Giuseppe Marcora, dell'Estrema, già garibaldino nel 1859-60-66).
Morì all'età di 59 anni all'ospedale di Imola il 19 gennaio 1910.
La camera ardente del 22 gennaio successivo fu molto partecipata, ed al termine un lungo corteo funebre si sviluppò per le vie della cittadina. Presso la Fornace Gallotti era stato eretto un palco dal quale parlarono, in ricordo dell'estinto, il presidente della Camera Marcora, il sindaco di Imola Molinari, l'on. Leonida Bissolati (direttore dell'Avanti!) e l'assessore comunale Alfredo Xella. Trasportato in treno a Bologna, nel capoluogo felsineo al mattino del 23 gennaio vi fu un'ultima commemorazione – prima che la salma venisse cremata – durante la quale parlò Genuzio Bentini. Giunto all'Ara crematoria, il presidente della Società di Cremazione precisò che, nonostante Costa non fosse loro socio, essi non avrebbero accettato alcun compenso: inoltre, il nome del deputato socialista fu vergato in rosso nel Registro dei Cremati. Assistettero all'operazione in qualità di testimoni diversi suoi compagni di fede, tra i quali Arturo Zambianchi, Argentina Altobelli, Anselmo Marabini, Romeo Galli e Giuseppe Raffaele Serrantoni. Raccolte le ceneri in un'urna di marmo verde, questa fu poi deposta nella Sala della Pietà, quindi il giorno successivo fu trasportata presso il Cimitero del Piratello (Imola), dove venne collocata – nel corso di una cerimonia strettamente privata – in quello che oggi è il Famedio degli imolesi illustri. L'epigrafe, redatta da Giovanni Pascoli, recita: «MDCCCI – MCMX / CENERE / È IN QUEST'URNA / DELL'INCENDIO D'AMORE / CHE DA QUANDO DUE SELCI LO DESTARONO / NELLE GELIDE SPELONCHE / ARDE INCONSUMABILE IN MEZZO AI TERRESTRI / SEMPRE, PIÙ FORTE PIÙ VASTO PIÙ ALTO / LIBERANDO DALLE GRAVI SCORIE PRIMIGENIE / LA SANTA UMANITÀ PURA / FIAMMA / FU QUESTA CENERE DI QUELL'INCENDIO / VIVA FIAMMA CHE SOPPRESSA E BATTUTA / DIVAMPÒ SEMPRE PlÙ BELLA AL VENTO / NOI LA CHIAMAMMO / ANDREA COSTA». Nel maggio 1919 il Comune di Bologna dedicò ad Andrea Costa la via denominata “Sant'Isaia”, sia per la parte interna che per quella esterna alla cinta muraria della città. Con l'avvento del fascismo, una delibera podestarile del 1934 (allora reggeva Bologna Angelo Manaresi) volle epurare la figura del padre del socialismo ripristinando per il tratto interno il vecchio nome, sostituendolo invece per quello esterno con il richiamo al Duca d'Aosta – che probabilmente per «la sua assonanza con la denominazione precedente, si dovette ritenere di più facile adozione nell'uso comune» (Fanti 1974, pp. 282-283). Solo nel 1948 fu ripristinato il toponimo legato ad Andrea Costa, ancora legato al tratto esterno della via – «facendo salvi, in tal modo, i diritti della storia antica e recente» (Fanti 1974, p. 283).
Andrea Spicciarelli
BIBLIOGRAFIA: A. Costa, Ai miei amici di Romagna in “La Plebe” (3 agosto 1879), pp. 1-2; A Imola in “Avanti!” (23 gennaio 1910), pp. 1-2; L'apoteosi di Andrea Costa. La imponente manifestazione del proletariato romano in “Avanti!” (24 gennaio 1910), p. 1; R. Casari et al. (a cura di), Testo letterario e immaginario architettonico, Milano, Jaca Book 1996, p. 247; M. Fanti, Le vie di Bologna. Saggio di toponomastica storica e di storia della toponomastica urbana, Bologna, Istituto per la storia di Bologna 1974, pp. 282-283; M. Gavelli, F. Tarozzi, «Anche sotto l'ombra dei cipressi»: la Società di Cremazione a Bologna (1884-1914) in “Bollettino del Museo del Risorgimento” (1987-1988), pp. 133-134; R. Zangheri, Costa, Andrea in Dizionario biografico degli anarchici italiani, vol. I, Pisa, BFS Edizioni 2003, pp. 453-459.