Note sintetiche
Onorificenze
Medaglia d'Argento al Valor Militare
Postava arditamente la sua mitragliatrice allo scoperto ed in terreno difficile, proteggendo con precise raffiche di fuoco l'ala destra del battaglione; e, benché ferito tre volte, abbandonava il suo posto solo in seguito ad ordine del proprio ufficiale. - Altopiano di Bainsizza, 26 agosto 1917.
Scheda
Figlio di Dante e Giovanna Naccari, nato ad Adria (Ro) il 30 ottobre 1893, era il primo di quattro fratelli. L’8 novembre 1902 la famiglia si trasferì a Bologna; poco dopo, il 22 gennaio 1903, a 31 anni di età, morì il padre. I legami con la città natale restarono fortissimi, tanto che nel 1909 il sedicenne Coletti prese parte ad una manifestazione di piazza a Rovigo, per protesta contro la visita di stato dello Zar Nicola II in Italia. In questa occasione prese per la prima volta la parola in pubblico a nome del partito anarchico.
Nel 1911, in occasione del censimento, Coletti risultò residente a Correggio per lavoro: si trattava probabilmente di uno dei suoi primi ingaggi come violinista, lavoro che lo indurrà a condurre una vita itinerante, che, in connubio con la sua indole ribelle, lo porterà a cambiare spesso residenza, sia in Italia che all’estero. Il 18 agosto 1912 apparve un articolo a suo nome in prima pagina sul periodico anarchico bolognese “L’Agitatore”, in cui si scagliava contro l’impresa coloniale italiana in Libia. Nel 1913 fu aperto un fascicolo a suo nome presso il CPC, dove venne schedato come pericoloso anarchico. Si trattò dell’inizio di un ventennale periodo di sorveglianza; alla data dell’apertura del fascicolo, però, Coletti non si trovava più in Italia. Il 1912 infatti fu un anno chiave per la sua vita. Spinto da ideali libertari provò a raggiungere la spedizione guidata da Ricciotti Garibaldi sr in Grecia, ma senza successo. Come lui stesso scrisse in una lettera ad Oberdan Gigli, famoso anarchico italiano: “Ricorderai pure che ero fra i più ferventi propugnatori della causa albanese; ma tutto andò... male. Cercai di partire nel ‘12 per la Grecia; gli arresti continui e la prigione che m’inflissero le polizie di Bari, Lecce, Brindisi, per non lasciarmi partire mi impedirono di arrivare ove volevo”.
Frustrato da questo tentativo fallito, Coletti si trasferì in Romania. Il 17 novembre 1912 la Legazione Italiana di Bucarest segnalava infatti al Ministero dell’Interno il suo arrivo nella capitale romena. Qui Coletti tenne una buona condotta: lavorava come violinista nell’orchestra della birreria “Carpati” nel centro di Bucarest, mantenendosi con lo stipendio e non occupandosi di politica. Fu qui, dopo quasi due anni di completo anonimato, che gli giunse notizia dello scoppio delle ostilità in Europa. Scrisse sempre ad Oberdan Gigli: “Quando dalla lontana Romania (ove mi trovavo da quasi due anni) ho appreso la fine eroica del piccolo Belgio, quando sino a me giunse il grido disperato d’allarme d’un popolo oltraggiato e calpestato, quando la nobile Francia lanciava il suo urlo ai figli lontani, nel mio cuore sentii come schiantarsi le vene di dolore. […] Di lontano mi sembrava che Parigi gemesse lanciando il suo appello disperato ‘Figli di Francia, aiuta, aiuta!’”.
Fu così che Coletti partì alla volta della Francia per unirsi ai volontari italiani che si stavano riunendo sotto le insegne dei fratelli Garibaldi: “Attraverso mille peripezie, sempre solo, fra paesi sconosciuti, riuscii a guadagnare la terra di Francia. Durante il viaggio mi tormentava il dubbio ed era quello che forse non sarei arrivato in tempo per trovarmi fra i difensori di Parigi. Ma giunto a Marsiglia seppi della battaglia della Marna”. Coletti si arruolò a Montélimar nella Legione Garibaldina, venendo inquadrato come soldato semplice nell’8a compagnia del II battaglione. Il suo nome compare sia nel Rollino di R. Garibaldi jr, sia nell’elenco dei volontari garibaldini stilato da Heyriès, che riporta anche la persona da contattare il caso di avvenimenti gravi, ovvero la madre Giovanna Naccari, residente in via Lame 37 a Bologna. Nonostante giungesse dalla Romania, Coletti fece parte del primo nucleo di volontari che formavano la Legione Garibaldina. Celso Morisi al suo arrivo a Montélimar il 19 ottobre 1914, vide passare in marcia per la strada una compagnia di soldati con la divisa francese: si trattava dei volontari garibaldini, ben riconoscibili dai lembi di camicia rossa che spuntavano da sotto la casacca regolamentare dell’esercito francese. Morisi così scrisse nel suo diario: “...mi sento chiamare: Morisi! Morisi! Morisi! Guardo e riconosco un vecchio amico, col quale avevamo fatto vita comune a Bologna. Era Gino Coletti, il bravo volontario che trovandosi in Romania a suonare, a non so più quale teatro, (egli era violinista di professione) appena avuta notizia della spedizione di volontari in Francia, si era imbarcato ed era arrivato a Montélimar per ingaggiarsi. […] Gino Coletti, entusiasta come sempre, ci disse che egli si trovava bene. Si sa, la vita militare non è fatta di comodità, ma in sostanza egli affermò che li trattavano bene per il mangiare e per tutto e ci spronò ad arruolarsi”.
Fra i ranghi della Legione, Coletti partecipò agli scontri sostenuti dai volontari italiani. Nei giorni di riposo, lontano dalla linea del fuoco, spedì il 15 febbraio 1915 a “L’Internazionale”, una lettera-memorandum per l’amico Alceste De Ambris, che aveva omaggiato i garibaldini nel congresso socialista di Parma. Nell’articolo pubblicato il 27 febbraio Coletti descrisse i combattimenti nelle Argonne e raccontò diversi aneddoti; tra questi, particolarmente commovente la descrizione della morte dell’anarchico modenese Mario Perati. Tornato a Bologna nel marzo 1915, condensò i suoi ricordi di guerra in un libro oggi introvabile. Particolarmente interessanti le due appendici: una breve raccolta di aneddoti legati a singoli combattenti della Legione (che per alcuni costituiscono le uniche informazioni reperibili) e una “appendice polemica” in cui, con tono rammaricato ma al contempo acceso, l’autore si scaglia contro i detrattori di Peppino Garibaldi, in particolare i membri dell’élite del PRI che, dopo lo scioglimento della Compagnia “Mazzini”, non ebbero buone parole nei suoi confronti. Coletti, che si professava uomo d’azione, non tollerava i parolai, ma soprattutto chi giudicava i combattenti delle Argonne e i loro ufficiali senza avere preso parte ai combattimenti. Nel breve tempo che intercorse fra il rientro a Bologna e l’entrata in guerra dell’Italia, Coletti trovò impiego presso le ferrovie come supplente frenatore. Alla mobilitazione generale venne quindi dispensato al servizio militare fino al 31 luglio 1915 per la sua qualifica di lavoratore insostituibile. Allo scadere di questo rinvio, venne inviato a Verona al deposito dell’80° Reggimento Fanteria, Brigata Roma. Da qui venne poi smistato nel 64° Reggimento Fanteria, Brigata Cagliari, con il quale rimase fino al marzo del 1916, quando venne trasferito al 219° Reggimento Fanteria, Brigata Sele, appena costituito.
Promosso caporale maggiore, il 2 luglio 1916, sul Pasubio, Coletti riportò durante un combattimento una seria distorsione al piede destro, che gli costò un ricovero di oltre due mesi. Ristabilitosi, venne indirizzato alla scuola mitraglieri di Brescia, da dove uscì con le mostrine bianco-rosse della 1095a Compagnia Mitraglieri Fiat, aggregata al 38° Reggimento Fanteria, Brigata Ravenna. Promosso Sergente, partecipò alla battaglia della Bainsizza sul fronte isontino, meritando una Medaglia d’Argento al Valor Militare il 26 agosto del 1917, durante l’azione per la conquista di monte Jelenik, con questa motivazione: “Postava arditamente la sua mitragliatrice allo scoperto ed in terreno difficile, proteggendo con precise raffiche di fuoco l’ala destra del battaglione; e, benché ferito tre volte, abbandonava il suo posto solo in seguito ad ordine del proprio ufficiale”. Durante l’azione, infatti, Coletti veniva ferito gravemente alla gamba sinistra. La nuova convalescenza per la ferita durò fino al marzo 1918 quando fu infine reincorporato nel 1° reparto Mitraglieri.
Il 24 ottobre 1918, a pochi giorni dalla fine delle ostilità sul fronte italiano, venne trasferito al 31° Reparto d’assalto, un reparto di Arditi. La sua permanenza in questa ristretta élite di combattenti lo influenzò per il resto della vita. Promosso Sergente maggiore, fu mandato in congedo illimitato nell’ottobre del 1919.
Si trasferì poi a Milano, aderendo alla nascente Associazione fra gli Arditi d’Italia (AFAI), nella quale confluirono sia ex combattenti che rappresentanti del movimento futurista. Il gruppo milanese dell’AFAI divenne ben presto un punto di riferimento politico cittadino, entrando in contatto con il nascente movimento fascista. Vera e propria appendice combattentistica del partito politico futurista, vicinissimo a Mussolini e ai suoi seguaci, l’AFAI divenne il braccio armato di questi movimenti: furono infatti gli arditi a portare avanti l’assalto alla sede del giornale socialista “L’Avanti!” nell’aprile 1919. Coletti orbitava intorno a questa realtà, partecipando sicuramente alle manifestazioni di piazza e ai blitz violenti del gruppo di arditi locali.
A Milano Coletti conobbe certamente anche Mussolini stesso. All’inizio del dicembre 1919, con una lettera autografa, il giovane rodigino invitò il futuro capo del governo a promuovere una commemorazione dei caduti garibaldini nelle Argonne, che ebbe luogo il 28 dicembre al Conservatorio Giuseppe Verdi e vide la partecipazione dei rappresentanti del Fascio di Combattimento di Milano e dello stesso Mussolini. Non fu l’unica volta che Coletti cercò la partecipazione di Mussolini per promuovere eventi pubblici a ricordo della “rossa avanguardia delle Argonne”.
L’impegno di Coletti però non fu solo di natura istituzionale. Edmondo Mazzucato, romagnolo, ardito e sansepolcrista, anch’egli proveniente dall’anarchismo, nelle sue memorie ricordò la sua partecipazione all’agguato del 16 aprile 1920 al direttore de “L’Avanti!” Giacinto Menotti Serrati, reo, agli occhi dei suoi aggressori, di aver permesso la pubblicazione di articoli offensivi nei confronti degli arditi.
Il tracollo elettorale subìto dal fascismo alle elezioni politiche del 16 novembre 1919 sembrò stroncare sul nascere molte delle velleità del movimento. Anche l’AFAI accusò il duro colpo perdendo gran parte del prestigio politico acquisito e soprattutto la stragrande maggioranza dei propri iscritti e seguaci (all’inizio del 1920 la sezione meneghina contava appena 14 iscritti). Promosso nuovo segretario politico della sezione, Coletti intraprese un’energica azione di rifondazione dell’arditismo locale. Sciolse l’AFAI e fondò l’ANAI, Associazione Nazionale fra gli Arditi d’Italia. Inizialmente l’ANAI strinse una collaborazione sempre più stretta con i Fasci di Combattimento, un legame però che doveva solo essere pratico e non di natura idealista. Coletti intese la sua ANAI come un vero e proprio organo combattentistico tout court, nel quale probabilmente voleva far rinascere quello spirito che aveva visto fra i garibaldini, mantenendola il più possibile estranea al coinvolgimento politico. Nel proprio congresso nazionale del marzo 1921 l’ANAI ribadiva la propria indipendenza ed autonomia politica, dichiarandosi più vicina politicamente a D’Annunzio che a Mussolini. Quando si consumò la frattura fra i due a proposito dell’annessione di Fiume al Regno d’Italia, Coletti guidò una delegazione in visita al vate nel suo ritiro di Gardone Riviera. In questa occasione D’Annunzio auspicò una sempre maggiore collaborazione fra i suoi legionari e gli arditi, e l’organo di stampa dell’ANAI divenne un vero e proprio bollettino ufficiale del vate.
Questo rapporto stretto fra gli arditi e D’Annunzio fu visto come un vero e proprio tradimento da parte di molti all’interno del neonato PNF. Dall’ANAI presero presto le distanze molti dei vecchi compagni politici di Coletti, che prese inoltre una drastica decisione che sanciva ancora più nettamente il distacco degli arditi dal fascismo: gli iscritti all’ANAI che erano al contempo tesserati dei Fasci di Combattimento dovevano dimettersi da quest’ultimo, pena l’espulsione. Fu così che l’ANAI perse molti dei propri membri.
Nel 1922 si consumò una scissione interna. Gli espulsi dall’ANAI, ritenendo troppo importante la presenza di un organo rappresentativo degli arditi a fianco del fascismo, fondarono la FNAI, Federazione Nazionale Arditi d’Italia, che, col tempo, divenne sempre più importante, assorbendo anche gli iscritti ANAI. Lo stesso giorno della marcia su Roma, Coletti scrisse uno dei suoi ultimi articoli su “L’Ardito” asserendo che: “Siamo convinti che un singolo partito […] non possa unire in salda forza tutte le parti sane del paese, non solo: ma neghiamo ad un qualsiasi gruppo politico, anche se potentissimo, il diritto di dominare sugli altri. […] Noi uniti alla parte audace e perennemente giovane del fascismo rivoluzionario, seguiremo la nostra via, incuranti d’ogni ostacolo”.
Era un ultimo appello al ritorno alle giornate del 1919, quando il fascismo si professava forza politica repubblicana e sindacalista. Coletti e la sua ANAI, in definitiva, non avrebbero seguito Mussolini nella sua parabola politica da sinistra a destra. Si trattava di parole pesanti nella congiuntura politica del momento, ed anche coraggiose, data la loro “pericolosa” puntualità storica, esattamente in coincidenza con la presa di potere del fascismo. Parole che avrebbero posto, una volta per sempre, Coletti fuori dalla politica. Il 25 dicembre 1922, sempre dalle pagine de “L’Ardito” l’ultimo appello di Coletti, con un deciso richiamo romantico alla sua esperienza con la camicia rossa: “Siamo d’avviso che l’ardito debba restare, come il garibaldino del secolo scorso, la più bella e la più eroica espressione del cittadino, che, nei momenti in cui la Patria è in pericolo o una causa santa richiede il braccio dei forti e dei generosi, lascia gli strumenti del lavoro per brandire il fucile”. L’ANAI venne ben presto assorbita dalla Federazione Nazionale dei Legionari Fiumani per poi progressivamente sparire. Il suo organo di stampa, “L’Ardito” venne espropriato, e divenne il bollettino ufficiale della FNAI. Coletti perse definitivamente la sua influenza politica. Isolato e senza lavoro a Milano, ripose simbolicamente il pugnale da ardito e rispolverò il suo vecchio violino.
Nel 1929 si trasferì a Sanremo dove trovò ingaggio nell’orchestra del Casinò municipale. Nei suoi confronti si inasprì il controllo delle forze dell’ordine, che per diversi anni lo avevano dimenticato. Gli aggiornamenti della prefettura di Imperia ne tracciarono però un ritratto molto dimesso: “Il 1° novembre 1929 venne scritturato nell’orchestra del Casinò municipale, in qualità di secondo violino e percepisce la paga da lire 40 a lire 50 al giorno. E’ ammogliato con una vedova di guerra [Elmina Rossi] ed ha un figliastro di circa 20 anni col quale non va d’accordo. Non ha altri proventi che la paga giornaliera del Casinò, con la quale provvede al mantenimento della sua famiglia. Conduce vita ritiratissima, non ha amici ed è di carattere piuttosto riservato. Non porta distintivi di sorta. Il Coletti, presso il Casinò municipale, è considerato persona intelligentissima”.
Sembrava proprio che nel suo ritiro sanremese Coletti, a 36 anni, avesse abbandonato ogni aspirazione politica. Nonostante questo la sorveglianza nei suoi confronti continuò: chiamate al commissariato, domande ai datori di lavoro, perquisizioni nella sua abitazione, interrogatori ai famigliari. Il 3 marzo 1931 Coletti prese carta e penna e scrisse di persona una lettera a Mussolini nella quale si lamentò delle strette misure di sorveglianza riservategli, dichiarando di essersi da tempo definitivamente disinteressato alla politica “più per la coscienza d’aver terminato un compito che per le grandi amarezze e sofferenze ch’essa mi ha procurato. […] Il sistema di vita che conduco non deve e non può avere misteri per nessuno, specialmente per coloro che hanno il facile compito di vigilarmi. […] La mia condotta, almeno da sei anni a questa parte, non giustifica neppure lontanamente nessuna di tali misure, non solo; ma le rende addirittura paradossali. Esse, inoltre, minacciano seriamente quel modesto posto ove, con molto sudore, mi guadagno per alcuni mesi all’anno uno scarsissimo pane”.
Forse per intervento diretto di Mussolini, Coletti venne radiato dal novero dei sovversivi nel 1933. Il suo nome però riapparve nel 1935 fra i volontari milanesi in partenza per la guerra d’Etiopia in un articolo su un numero speciale de “L’Ardito” sul quale, ironia della sorte, Coletti aveva a lungo scritto negli anni ‘20. Probabilmente si trattò di una sorta di percorso di espiazione impostogli per redimere il proprio passato (una coincidenza non casuale, come si può notare anche dalle biografie di altri garibaldini, fra le quali Beno Gessi e Giuseppe Spazzoli - v. schede). Anche sul suo foglio matricolare è riportata questa notizia. Venne inquadrato con il grado di Sergente maggiore, con cui era stato congedato nel 1919, nel 320° battaglione di Camicie Nere, divisione Tevere, che si chiamava “Arditi d’Italia” e, nella propria simbologia, si rifaceva proprio all’epopea degli arditi del 1915-1918. Coletti giunse a Mogadiscio il 4 gennaio 1936, con il piroscafo “Lombardia” partito da Napoli. La sua esperienza di guerra durò poco più di un anno. Il 9 febbraio 1937 sbarcava nuovamente a Napoli a bordo del piroscafo “Liguria”.
La redenzione di Gino Coletti dal suo passato era ufficialmente avvenuta: il suo debito con il regime era stato pagato. La sua vicenda storica sembrò nuovamente chiudersi, con la radiazione dal novero dei sovversivi, la sua pacificazione col regime ed una vita libera dai controlli della PS. Invece, di lì a pochi anni, dei quali non si sa nulla, lo si ritrova nel 1943 fra i ranghi di un reparto del Corpo Italiano di Liberazione (CIL), sorto dopo l’armistizio di Cassibile fra l’Italia e gli Alleati. Si trattava di reparti dell’esercito italiano che accettarono di servire sotto il comando alleato durante la campagna d’Italia. Coletti, nuovamente, entrò a far parte di un reparto dal forte richiamo simbolico: il IX Battaglione Arditi, così chiamato direttamente dal generale Messe, comandante del CIL, che durante la Grande Guerra aveva comandato l’originario IX Reparto d’assalto, famoso per i combattimenti sul massiccio del Grappa. Coletti venne inquadrato con il grado di Tenente, nella 102esima compagnia, al comando del capitano Tiezzi. Non esistono testimonianze precise o documenti su questa nuova esperienza. Solo una foto lo ritrae con la divisa e il basco del CIL, mentre esamina con il maggiore Edoardo di Stefano, comandante del 68° Reggimento Fanteria, gruppo di combattimento Legnano, lo stendardo spiegato del IX Battaglione Arditi. Non è dato sapere se Coletti prese parte fin dall’inizio alla formazione di questo corpo, nella Sardegna liberata, né se partecipò all’intera campagna d’Italia, che portò il IX Battaglione a risalire la penisola e a liberare Bologna, sua città di adozione. Dalla fine della guerra di lui si perdono le tracce. Compiuti 52 anni nel 1945, probabilmente si ritirò a vita privata in quella Sanremo dove viveva ancora la moglie, e qui si spense alla soglia degli 83 anni. La sua tomba presso il cimitero di Valle Armea, a Sanremo, è povera e spoglia. Nel piccolo portafiori metallico è deposto, da chissà quanto tempo, un piccolo mazzetto secco, indice di una visita ormai lontana. A giudicare dalla sua sepoltura, molto semplice e spartana, sembra proprio che Coletti abbia trascorso una vecchiaia umile, di lavoro e fatica, condita solo dai ricordi di una vita intensissima.
Giacomo Bollini
FONTI E BIBLIOGRAFIA: G. Coletti, Peppino Garibaldi e la legione garibaldina. Episodi, aneddoti, tipi e figure, appendice polemica, Bologna, Stabilimento Poligrafico Emiliano 1915, p. 16; Id. Due anni di passione ardita, cronistoria dell’Associazione Nazionale fra gli Arditi d’Italia 1919-1921, Milano, Libreria Editrice de l’Ardito 1921; F. Cordova, Arditi e legionari dannunziani, Roma, Manifesto Libri 2007, pp. 30, 46, 51, 54, 74-75, 84, 90-92, 100-103, 113; Dizionario biografico degli anarchici italiani, Pisa, BSF 2003, ad nomen; R. Garibaldi, I fratelli Garibaldi dalle Argonne all'intervento, [Milano, Tip. Camba Livio] 1933, p. 223; H. Heyriès, Les Garibaldiens de 14. Splendeurs et misères des Chemises Rouges en France de la Grande Guerre à la Seconde Guerre Mondiale, Nice, Serre Editeur 2005, p. 498; A. Luparini, Gli anarchici interventisti e il fascismo. Il caso di Gino Coletti in una lettera a Mussolini in “Nuova storia contemporanea”, 3(1998); E. Mazzucato, Da anarchico a sansepolcrista, Milano, Marangoni editore 1934, pp. 189-192, 223, 229, 240; G. Rochat, Gli arditi della grande guerra: origini, battaglie e miti, Gorizia, Libreria editrice goriziana 2009, pp. 138-140, 143, 146, 151-155, 170; Gli Arditi del IX reparto d’assalto nella liberazione di Bologna, Bologna, Comitato per le celebrazioni del ventesimo anniversario della Resistenza 1965; Arditi milanesi volontari in “L’Ardito d’Italia”, num. sp. 1935; E. Parodi, A Gardone Riviera. Gli arditi a rapporto dal Comandante in “L’Ardito” (30 aprile 1921); G. Coletti, Chiarimenti sull’equivoco ardito-fascista in “L’Ardito” (28 ottobre 1922 e 25 novembre 1922); M. Antonioli, Nazionalismo sovversivo. Lettera di Gino Coletti a Oberdan Gigli in “Rivista storica dell’anarchismo”, 1(2002); Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, b. 1403, Coletti Gino (1913-1933); Archivio di Stato di Bologna, Distretto Militare di Bologna, Ruoli Matricolari, 1893, Coletti Gino di Dante. Per la motivazione della medaglia http://decoratialvalormilitare.istitutonastroazzurro.org/.
Scheda originariamente pubblicata in Tra Nizza e le Argonne. I volontari emiliano romagnoli in camicia rossa 1914-1915, a cura di M. Gavelli e F. Tarozzi, "Bollettino del Museo del Risorgimento", aa. 2013-2016, pp. 160-168.