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Giovanbattista Bassi

1784 - 1852

Scheda

Giovanbattista Bassi nacque a Massa Lombarda, in provincia di Ravenna, nel 1784. Dopo un breve apprendistato nella città natale, l’artista studia paesaggio presso l’Accademia di Bologna, dal 1800 al 1807, nell’orbita di Vincenzo Martinelli. Un primo viaggio a Roma, nel 1808, in compagnia di Giuseppe Tambroni si rivela senza conseguenze per la sua evoluzione artistica. La Veduta della Madonna di San Luca del 1802 e la Veduta del Foro romano del 1809 (ambedue nel Municipio di Massa Lombarda; cfr. Giambattista Bassi. Pittore di paesi, 1985, pp. 91 e 97) denunciano infatti un’identica misura mentale, ancora tutta settecentesca, nell’impaginare i monumenti all’interno di scenari paesaggistici d’invenzione. Rientrato a Bologna, partecipa nel 1810 all’esposizione dell’Accademia (altre sue presenze alle mostre accademiche sono segnalano nel 1809, 1816, 1817 e 1818) e vince il concorso per l’Alunnato romano nella classe di architettura. L’intima amicizia con il segretario dell’Accademia, Pietro Giordani, e con l’influente Francesco Rosaspina ha certamente pesato nell’assegnazione a Bassi dell’importante pensione. Tale circostanza ci illumina inoltre sul giro di relazioni intessuto dal giovane pittore romagnolo a cavallo del primo e del secondo decennio tra Bologna e Roma. Giordani prima di tutti, che seguirà gli inizi della sua carriera artistica con affettuosa e quasi paterna premura, Tambroni, destinato a giocare un ruolo di primo piano, come console del Regno d’Italia, sulla vita politica e artistica della Roma napoleonica, Palagi, che in un breve volgere d’anni raggiungerà un prestigio in grado di contrastare, nella stessa Roma, il predominio di Camuccini, ma anche Landi, Giani e Canova. Si delinea quindi intorno a Bassi un milieu artistico e umano affollato dai più convinti ed entusiastici sostenitori del Neoclassicismo, inteso anche nei suoi significati ideologici e politici, che a Bologna stava lottando strenuamente conto le nostalgie seicentesche della parte più retriva dell’ambiente accademico. Ritornato a Roma nel 1810 partecipa come allievo, insieme a Minardi, Hayez e De Min, per fare solo qualche nome, alla vita dell’Accademia d’Italia di Palazzo Venezia, che raccoglieva i vincitori degli Alunnati romani delle Accademie del regno napoleonico. Sotto la protezione di Canova e grazie all’attivismo di Palagi, l’equipe di Palazzo Venezia, guidata dalla sagacia politica di Tambroni,  acquista immediatamente, per mantenerlo fino al 1815, il ruolo di punta avanzata nel panorama dell’arte italiana di quegli anni. Un radicale salto nell’evoluzione stilistica di Bassi avviene nel 1811, quando in occasione di una visita alla collezione del generale Miollis, governatore di Roma, vede le opere di Granet, Bouget e Chuavin. Sulla scorta della lezione di Valencinennes, i paesaggisti francesi avevano avviato un attento studio della realtà fenomenica, eleggendo contemporaneamente il dato osservabile, senza rielaborazioni condotte in studio, a soggetto di un vedutismo inteso modernamente. Per Bassi la scoperta assume il valore di una folgorazione che determina l’atteggiamento mentale con il quale l’artista porterà avanti, fino alla metà del secolo, la propria visione «neoclassica» del paesaggio. Nel gennaio del 1811 il pittore indirizzava a Rosaspina una lettera nella quale si legge, con l’entusiasmo della scoperta, il desiderio di affrontare l’apprendistato «sul vero»: «Aspetto con impazienza un po’ di buon tempo per poter copiare la natura. Vi assicuro che ne sono ansiosissimo» (Giambattista Bassi, cit., p. 84). Un maturo raggiungimento di tale tirocinio è la Foresta presso un corso d’acqua (Copenaghen, Thorvaldsen Museum; cfr. Giambattista Bassi., cit. p. 103) firmata G.B. Bassi f. sul vero 1816, nel quale l’assenza umana dallo scenario paesistico esalta il senso d’immersione nella natura, studiata con passione in ogni sua minima peculiarità. A partire da quest’anno Bassi esegue una serie di dipinti di alta tenuta, che lo impongono a pieno titolo tra i paesaggisti francesi e nordici stabilitisi a Roma, ricordati da D’Azeglio nelle sue memorie come «generazione del ’14». Per Bassi è un momento di successo e di importanti committenze, soprattutto da parte di stranieri che porteranno i suoi dipinti e la sua fama in tutti i paesi europei. Tra tutte si ricorda solo la richiesta fatta dal russo Pietro Davidov, segnalata dal «Diario di Roma» il 4 febbraio 1821, due due paesaggi a Bassi, Voogd, Teerlink, Chatel, Chauvin e Matveev. Rispetto a questi ultimi il pittore romagnolo sembra più attento alla descrizione della natura in quanto tale, limitando al massimo le presenze architettoniche e umane. Principale oggetto dell’interesse di Bassi è infatti lo studio della luce nel suo rivelare, secondo le ore del giorno, la realtà cromatica delle forme naturali. Mantenendo sempre una rigorosa fedeltà «all’imitazione esatta, minuta del vero, senza mettervi né per l’argomento, né per la forma, né per l’effetto ombra d’immaginativa» (M. D’Azeglio, I miei ricordi, in P. Barocchi, 1972, p. 141). Bassi si troverà, nel corso degli Anni Trenta, emarginato dall’evoluzione in senso «romantico» del paesaggio italiano. Puntale conferma in tal senso ci viene della recensione alle sue opere apparse a Milano all’esposizione di Brera del 1838. Per l’occasione Opprandino Arrivabene scriveva: «L’effetto che produssero codesti quadri fu assai freddo, e ciò s’io non erro per diverse ragioni. Anzitutto essi appartengono puramente al genere de’ paesaggi: non sono un composto di vedute, di prospettive, di marine, di piccolo quadro storico e che so io come i quadri di tanti altri de’ nostri pittori: ma sono puri e semplici paesi, o a dir meglio boscaglie e nulla più. Un pezzo di casa rusticana o una chiesuola tra le fronde, e poi fronde e alberi e fronde ancora… Degli alberi che non ci destano reminiscenze, un cielo qui mal noto non potevano interessare gran fatto» (O. Arrivabene, 18138, p. 122). Il tentativo dell’artista di adeguarsi al nuovo gusto, arricchendo di contenuti letterari e storici i propri paesaggi, è documentato da un articolo di Tito Barberi, apparso nel numero di luglio-ottobre 1844 del «Giornale arcadico di Scienze, Lettere e Arti», nel quale viene tessuto l’elogio di tre tele di Bassi aventi per soggetto: Il bagno delle ninfe, ispirato da un idillio di Gessner, Caino e Abele e la Morte di Pia de’ Tolomei, secondo la lettura di Sestini. Il pittore affidava però il suo testamento pittorico ai temi sui quali si era esercitato fin dalla gioventù e che gli avevano meritato una fama internazionale. Due mesi prima della morte di Bassi, il 10 maggio 1852, Basilio Magni aveva letto all’Accademia Tiberina un suo discorso, prontamente pubblicato dall’ «Album di Romagna», sopra la Veduta della cascata delle Marmore e la Veduta del lago di Castel Gandolfo, appena ultimate dall’artista. Dalle parole di Magni, Bassi emerge come un campione della «classica scuola», proprio per la sua maniera di dipingere la natura rimanendo sempre ossequioso alle regole di fedeltà al vero, e quali «venner tantosto da sozza luce romantica infette miseramente e deturpate… (da)…taluni che non stanno contenti alla casta bellezza della natura perché si danno a svergognarla con falsi e sfacciati colori (B. Magni, 1852, p. 5). Si conclude così tardivamente, con la morte di Bassi, la parabola di un principale filone del vedutismo neoclassico, che, iniziato dalla lezione di Valenciennes, aveva trovato negli artisti riuniti a Roma fertile terreno di coltura e nell’esperienza romana di Corot il momento di più alto livello qualitativo. Ancora all’interno di questo importante capitolo del paesaggismo europeo bisogna ricondurre le belle vedute dei dintorni romani segnati dalle distruzioni belliche, dipinte da Bassi intorno al 1849 (Roma, Museo di Roma; cfr. Giambattista Bassi, cit., pp. 132-139). (Testo tratto da Claudio Poppi, in Collezionisti a Bologna nell’Ottocento. Vincenzo Valorani e Luigi Pizzardi, 1994, pp. 96- 98).

Dipinti di Giovanbattista Bassi si segnalano presso diversi musei dell’Emilia-Romagna: il Mambo (Veduta delle cascatelle di Tivoli), il Museo d’Arte della Città di Ravenna (La roccia, il Bosco di Papigno, Castel Gandolfo), la Pinacoteca Comunale di Faenza (Paesaggio con ruderi), il Centro Culturale Carlo Venuturini di Massa Lombarda (Autoritratto, Abele morente, Veduta del Monte Aventino con il monastero di Santa Balbina). Quattro paesaggi  sono custoditi al Thorvaldsen Museum di Copenaghen e al Museo di Roma (Trinità dei Monti e l’Accademia di Francia). Parte della produzione grafica dell’artista è rintracciabile presso il Centro Culturale Carlo Venturini di Massa Lombarda e la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. 

Ilaria Chia 

Bibliografia: Collezionisti a Bologna nell’Ottocento: Vincenzo Valorani e Luigi Pizzardi, catalogo della mostra a cura di Claudio Poppi (Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, marzo - maggio 1994), Bologna, 1994;  Claudio Poppi, L'Ottocento ritrovato, Casalecchio di Reno, 1988; Concetto Nicosia (a cura di), Giambattista Bassi (1784-1852). Pittore di paesi, Bologna, 1985;  Pinacoteca comunale di Ravenna : collezione moderna ‘800-‘900, Ravenna, 1990;  Caterina Spada, Le opere grafiche e pittoriche della Collezione Comunale di Massa Lombarda, Cesena, 1999.