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Schede

E’ quasi senza storia il rapporto di Hayez con Bologna, se questa Ruth, che gli fu ordinata dal bolognese Severino Bonora, è la sola sua opera presentata alle esposizioni in accademia, e in epoca molto avanzata (1853); né il suo nome si trova nelle sempre più fitte liste dei soci d’onore, compilate fino al 1859.

Il fatto è che un’accademia chiusa rigidamente sul duplice fronte purista e romantico, volle rimarcare anche con piccoli e poveri segnali la sua distanza dal padre riconosciuto della pittura romantica; né il binomio Hayez – Palagi, che nel corso degli anni ’20 polarizzò il dibattito artistico milanese, poté attenuare un ostracismo mosso da ragioni di fondo e mantenuto con rigore. Nel ’26 il Conte di Carmagnola dipinto a Roma dal bolognese Napoleone Angiolini non poteva essere più distante dal quadro di Hayez che cinque anni prima aveva commosso Milano. Se sulla fine del quarto decennio qualche accento di maggiore libertà si trova nei pittori più giovani, segnatamente nel forte Serrazanetti, che costruisce il fondale del suo Ezzelino da Romano come un ‘largo’ hayeziano, è vero che la cosa restò poi senza seguito apprezzabile, salvo che, molto dopo, nei più maturi dipinti di Giulio Cesare Ferrari; né parve incidere più a fondo la sporadica presenza di un altro Milanese di qualità, Giuseppe Sogni, che a Bologna espose nel ’34 e poi insegnò fra il 1836 e il ’38. Quando Hayez presentò la Ruth, era esaurita da tempo la sua carica innovatrice; e nondimeno l’impressione fu enorme, e non senza tracce di rilievo su un giovane almeno, Antonio Rosaspina, che se ne uscì poco dopo con una grande immagine di bagnante in una versione edulcorata e diminuita del non dimenticato modello.

“Ma ciò che attraeva gli sguardi si era uno stupendo quadro dell’Ajez di Milano, rappresentante la Ruth, quando povera e derelitta vedova andava a spigolare nel Campo di Booz”. Così il notaio Enrico Bottrigari, a consuntivo di una esposizione non molto brillante, quella del 1853, dove si fecero notare il Ferrari, Campedelli e, colla serie di vedute dell’Archiginnasio, il giovane Tomaselli. Tra i non bolognesi l’altro nome di spicco era quello di Pietro Tenerani, che figurava con un lavoro di circostanza, il busto in marmo di Giovanni Marchetti, destinato all’Archiginnasio.

La Ruth era una commissione del bolognese Severino Bonora, che poi dispose per la sua cessione al Comune. In base a tali elementi si deve correggere l’opinione corrente, che la vuole dipinta nel 1835, sull’autorità dei tardi e spesso non fidati elenchi del Carotti. L’analisi stilistica del resto non smentisce una collocazione negli anni ’50, quando divenne più intensa, e non senza intima drammaticità, la mediazione dell’Hayez sul nudo femminile. Il Nicodemi assegnava a quel periodo un dipinto ora disperso “col vecchio Cenci che osserva, di notte, al lume di una lucerna il corpo seminudo della figlia Beatrice dormiente”. E’ la riprova esterna di quanto il tema premesse all’artista e di come potesse intorbidarsi di valori psicologici anche tortuosi e certamente molto complessi; le Rebecche, le Malinconie, le Desolazioni e le Maddalene di questi anni confermano la fedeltà tematica ad un motivo che diventerà poi centrale, ma banalizzandosi alquanto, nella pittura europea degli anni seguenti, ‘in primis’ coi lavori di Bouguereau e Gérome che si videro con assiduità nei Salons del Secondo Impero. Anche per questa via si conferma la contiguità morale di Hayez coi suoi più grandi coetanei, da Ingres a Delacroix a Brjullov. In opere come queste, destinate generalmente ad una circolazione più riservata, l’artista ribadisce, perfino esemplarmente, il suo interesse “per la grazia spontanea, che è gran parte e condimento della bellezza” e non per “la grazia di convenzione, quella che la donna impara, o da se stessa si dà, che principia dall’essere uno studio e finisce coll’essere un segreto”, secondo quel che asseriva, moraleggiando, un estimatore contemporaneo, il Toccagni. In questa immagine per tanti versi memorabile sorprende, come nei ritratti maggiori, il timbro di verità empirica o naturale e, per contro, la mirabile unità del sentimento. Lo stile fa venire alla mente le parole che, a proposito del suo Foscari, lo stesso Hayez scriveva l’anno dopo all’amico Andrea Maffei: “Io ho cercato in quella grandezza e dimensione di figure una certa finitezza, ma non volli che questa desse durezza di esecuzione”.

Francesco Hayez (Venezia, 10 febbraio 1791 – Milano, 12 febbraio 1882), Ruth, 1853. Olio su tela, cm. 138 x 100
Bologna, Collezioni Comunali d’Arte.

Renzo Grandi

Testo tratto dal catalogo della mostra 'Dall'Accademia al Vero. La pittura a Bologna prima e dopo l'Unità', Bologna, Grafis, 1983. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti