Salta al contenuto principale Skip to footer content

Monumento di Gaetano Simoli

1895

Schede

“Tullo Golfarelli è anch'esso un poeta, forte. Egli ha scolpito la Libertà con la spada in mano, pronta alla difesa. Egli ha scolpito l'Umanità nella figura d'un uomo curvo e cadente che va sorretto dall'angelo... dell'Ideale. Egli ha plasmato le Erinni che sorvolano selvaggiamente il campo della strage... E' un vero grande poeta. Soprattutto egli è lo scultore degli operai, e l'opera sua può chiamarsi il poema del lavoro... Tutti possono vedere alla Montagnola un altro bassorilievo di Tullo Golfarelli: la “santa canaglia” che si getta a corsa contro i fucili spianati dagl'invasori della Patria. Altri tempi! Ora i lavoratori si avanzano cantando il loro inno. In mezzo è un vecchio falciatore. Assomiglia al nero bronzeo vecchio del destino. Vengono i lavoratori, vecchi e giovani, uomini e donne, con tridenti, forconi, picconi, badili e mazze. Ci sono anche bambini... Quel bambino aspetta nel cavo della mano il sole! Il sole che brilla lassù!... Scultore, dunque, degno di Giosue Carducci il mio Tullo Golfarelli! Ma non mai più degno di quando, lo scultore dei lavoratori, scolpì “il lavoro”, un bel giovane fabbro, una mano sull'anca, l'altra sulla mazza appoggiata all'incudine: fiero, altero, severo, sereno... In qualche modo il suo grembiule di duro cuoio ricorda il lungo scudo del cavaliere dei santi. Tutti e due sono la forza che si sa e perciò non si grida. E' questo, mio buon Tullo, l'ultimo verso del tuo poema. E questo è per certo l'ideal figura di colui in cui ravvisiamo “il grande artiere”.” Così Giovanni Pascoli si esprime in occasione dell'inaugurazione di un busto dedicato a Carducci (uno dei tanti ritratti di Carducci realizzati da Golfarelli) collocato nell'aula dell'Università di Bologna dove per oltre quarant'anni il poeta aveva insegnato. La descrizione della scultura, che ancora oggi troneggia sulla tomba Simoli, è mirabile, in perfetto stile pascoliano, e permette di cogliere appieno il ruolo artistico ricoperto dallo scultore in quello scorcio di secolo. Committente dell'opera era il fabbro del municipio di Bologna Gaetano Simoli, che aveva risparmiato una vita intera per realizzare un sogno: un monumento funebre che ne tramandasse la memoria ai posteri. Golfarelli lo ritrae in un momento di pausa dal lavoro, mentre appoggia il martello sull’incudine. Indossa indumenti semplici e modesti, costituiti da calzature chiuse da lacci, pantaloni ampi con risvolto all’orlo, una camicia ampia e semplice. L’unico indumento caratteristico del suo impiego è il grembiule in cuoio, impiegato per proteggere i vestiti dalle schegge dalle bruciature ed il proprio corpo dalle ustioni provocate dalle schegge roventi ed incandescenti prodotte dalla battitura del ferro. Simoli per la sua memoria si era rivolto all'aedo delle lotte sociali, vicino al popolo ed alle idee progressiste, a quel Golfarelli che, dopo avere viaggiato a lungo in tutta Italia e in Francia, si era stabilito tra la natia Romagna e Bologna. Sul basamento della scultura Simoli e la moglie Liberata Morini vennero ritratti in due medaglioni, in tarda età, e la scritta “Labor” venne posta ai piedi del giovane fabbro, a significare, come dice il Pascoli, l'orgoglio di classe del vecchio Simoli. Il lavoratore è ritratto in un momento di pausa dal lavoro, mentre appoggia il martello sull’incudine. Indossa indumenti semplici e modesti, costituiti da calzature chiuse da lacci, pantaloni ampi con risvolto all’orlo, una camicia ampia e semplice. L’unico indumento caratteristico del suo impiego è il grembiule in cuoio, impiegato per proteggere i vestiti dalle schegge dalle bruciature ed il proprio corpo dalle ustioni provocate dalle schegge roventi ed incandescenti prodotte dalla battitura del ferro.

Mirtide Gavelli,testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009.

Nel campo del Chiostro VII della Certosa di Bologna, «ove sono tanti i monumenti ispirati dalle tradizionali forme della pietà, del dolore e della fede», si erge una delle più celebri e rappresentative opere di Tullo Golfarelli, così densa di significati e ideali da essere stata rivendicata dallo stesso artista come una delle sculture più significative della sua creatività. Il monumento Simoli-Morini, infatti, pur ritraendo il fabbro comunale Gaetano Simoli con gli strumenti del suo lavoro, non può definirsi come semplice scultura funeraria. Essa ritrae il lavoratore fiero e severo, in cui si ravvisa “il grande artiere” pascoliano che diviene manifesto bolognese dell’orgoglio operaio ed emblema dell’esaltazione del lavoro intesa come espressione della dignità popolare, in linea con gli ideali progressisti cui Tullo Golfarelli era legato. Artista particolarmente sensibile a ideali di filantropia e alle rivendicazioni sociali, tanto da aderire alla stagione carducciana e al decadentismo pascoliano, egli rafforzò la valenza intrinseca dell’opera incidendo sul basamento la scritta latina LABOR e definendola egli stesso come la “statua raffigurante il lavoro, simboleggiato da una maschia figura di fabbro” come annota all’interno del suo album conservato al Museo del Risorgimento di Bologna, nel quale questo straordinario artista racchiuse tutte le opere della sua produzione.

L’occasione in cui Giovanni Pascoli poté dare piena gloria all’opera fu in occasione dell’inaugurazione di un busto di Golfarelli dedicato a Carducci nell’aula dell’Università di Bologna dove per oltre quarant’anni il premio Nobel aveva insegnato. Non è un caso, dunque, che il poeta di Barga, amico e grande sostenitore del nostro, descrivendo questo monumento, lo definisca come “scultore degli operai” e la sua opera come “poema del lavoro”, paragonando peraltro il Fabbro al San Giorgio di Donatello «per la vigoria composta a dignità». Volendo riportare quanto pubblicato nel 1896 sulla rivista “Il Resto del Carlino”, egli «plasmò con la sua mente quell’operaio nella forma più perfetta, che più si accosta alla forma ideale del lavoratore: e modellò un bel giovane alto e forte, ma pur gentile nei lineamenti corretti, nella fisionomia tranquilla, che in un momento di sosta, poggiando il martello sull’incudine, la sinistra sull’anca, guarda innanzi a sé serenamente, fidente nell’avvenire, perché fatto sicuro dell’energia sua dalle vittorie già ottenute. Il grembiule, l’incudine, il martello son di fabbro, ma quel giovane nel pieno vigore della sua virilità non rappresenta soltanto l’artefice di cui porta i segni esteriori, ma il lavoro stesso nella sua maestà». Ancora una volta, dunque, l’arte fu pari alla sua civile missione, poiché dinnanzi a quest’opera «le menti pensano “omnia vincit Labor” […] la sua scultura è vita, è pensiero», ed è ricca di sottintesi politici, come si legge sulle pagine della rivista “Sorgiamo”, espressione del movimento socialista, in un articolo del 30 novembre 1912 firmato da Alfeo Bedeschi, allievo del Golfarelli, rinvenuto nell’album dell’artista. L’abilità del Golfarelli nel raffigurare il popolo e i lavoratori coscienti del proprio valore e volenterosi di riscattarsi e affermarsi nella storia, fu probabilmente la ragione per la quale il committente scelse di affidare la realizzazione dell’opera ad un’artista che notoriamente gravitava attorno agli stili e alle iconografie tipiche del realismo sociale. Gaetano Simoli, infatti, fu uomo operoso e col suo lavoro acquistò una modesta agiatezza, risparmiando quanto necessario per realizzare il sogno di un monumento che ne tramandasse la memoria. Nonostante la morte avvenuta il 4 maggio 1889 all’età di settant’anni, l’avvocato Icilio Arturo Loli in qualità di suo esecutore testamentario, acquistò nel 1894 dal Municipio di Bologna un posto sepolcrale nell’area esterna del Chiostro VII, con l’obbligo di erigere entro due anni un cippo isolato a memoria dei coniugi estinti, per il quale scelse di rivolgersi proprio al Golfarelli. In seguito, il 9 marzo del 1896, le due salme furono esumate dal precedente sepolcro, come si evince dai permessi di seppellimento ottenuti dal cimitero bolognese. Nell’ottobre del 1895 il monumento risultava già terminato e visibile nello studio dello scultore in Via degli Angeli n° 20, in quello che in precedenza era stato anche l’atelier di Enrico Barberi. La grande figura marmorea, che riproduce con l’evidenza del vero il giovane artigiano nel pieno delle forze, s’innalza su un basamento nel quale, oltre alla firma dell’autore e al motto LABOR, spicca il medaglione in bassorilievo con i ritratti particolarmente somiglianti del Simoli e della sua consorte Liberata Morini, scolpiti entrambi in tarda età. La piena adesione alla poetica realista del Golfarelli, nella quale tanto influì la figura di Vincenzo Gemito, si traduce qui in un monumento che colpisce per la qualità e fierezza che esprime, pur apparendo nell’insieme molto pacato e senza che la compostezza espressiva tolga verità e schiettezza all’immagine del fabbro.

Come giustamente osserva il poeta Giuseppe Martinozzi nei suoi versi: «Oh; sarà mai, che quella imperiosa / forma di giusto, naturale impero, / in che guardando, il Fabbro tuo si posa, / blandite piamente in Cimitero / le speranze dei morti, radiosa / splenda nel volto al popolo nostro impero? / Sarà, se venga dì, che l’amorosa / visione che spinge il tuo martello / a discovrir co’ il lucido scalpello / nel marmo, ov’è l’imagine nascosa, / e sì t’agita il cuor, che non hai posa / e in te l’evochi con tenace appello, / né sorriso d’amor più ti par bello / sin che vinta non hai l’idea ritrosa, / spinga ogni amante di giustizia vero / a plasmare di sé quella che adora / né trova intorno, imagine di bene: / e, artista della vita, ora per ora / traduca in atti il genial pensiero, / martellando del mal su le catene». Già allora fu chiaro come questo Fabbro, da solo, legittimasse il Golfarelli tra i pochi eletti scultori d’Italia perché «Eletti coloro che al loro sentimento di omaggio pei defunti danno forma degna all’arte» (“Il Resto del Carlino”, 1896). Il successo di questa realizzazione, infatti, fu tale che nel 1896 il Comune gli commissionò il bassorilievo per la Scalea della Montagnola, anch’essa incentrata su quelle tematiche popolari, tanto care e congeniali al Golfarelli, che delineano una perfetta immagine di uomo e artista figlio del suo tempo, annoverandolo tra i più importanti e meritevoli scultori emiliano-romagnoli a cavallo tra Otto e Novecento. Il messaggio sociale così emblematico fu tale che nel 1900, in occasione della II Esposizione Provinciale Operaia di Bologna, Ludovico Ramponi se ne ispirò per la realizzazione della cartolina celebrativa. La notorietà dell’opera travalicò poi il contesto locale, tanto che sia il Fabbro che il suo Inno dei lavoratori vennero pubblicati nel 1908 sulla rivista “Emporium” a corredo dell’articolo Il lavoro nella igiene e nell’arte di Giovanni Franceschini. Golfarelli nell’Inno fa un chiaro omaggio al celebre dipinto Il Quarto Stato di Pelizza da Volpedo (1901), proponendo però una folla rumorosa e – potremmo pensare – quasi pronta alla rivolta. Un utile confronto può essere fatto poi con il Monumento all’operaio cattolico di Roma, scolpito da Annibale Monti e inaugurato il 19 marzo 1904. Il risultato è l’espressione del desiderio delle associazioni cattoliche mondiali di dare un volto all’enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Considerando le somiglianze è ovvio pensare che lo scultore cremonese conoscesse il Fabbro felsineo – che lo precede di un decennio – ma d’altra parte se ne differenzia per ovvi motivi ideali e politici, tanto che la statua romana innalza con il braccio destro una croce su cui l’uomo volge pacato lo sguardo.

Emanuela Lamborghini, testo tratto da: Silvia Bartoli, Paolo Zanfini, Tullo Golfarelli (1852 - 1928), Minerva Edizioni, 2016. Fonti: BMRBo, Album Golfarelli; ASCBo, Fogli seppellimento Simoli-Morini; ACBo, Foglio sepolcrale tomba Simoli. Bibliografia: G. MARTINOZZI, Il fabbro. Statua di Tullo Golfarelli nel cimitero di Bologna, Bologna, Stab. Tip. Zamorani e Albertazzi, 1896; “Il Resto del Carlino”, manca giorno e mese 1896; G. FRANCESCHINI, Il lavoro nella igiene e nell’arte, “Emporium”, XXVIII (1908), n. 167, pp. 367-382 : 369 e 378; G. PASCOLI, Il maestro e poeta della terza Italia. Discorso pronunciato per il solenne conferimento dei premi Vittorio Emanuele II e Giuseppe Ceneri il 9 gennaio 1906, Bologna, Succ. Monti, 1906; R. PIERI, Lo scultore Golfarelli fra il Pascoli e il Carducci, catalogo della mostra di Cesena, Galleria comunale d’arte Palazzo del Ridotto (4–26 febbraio 1989), Cesena, Wafra, 1989. (Edizioni della Pinacoteca Comunale di Cesena, 4); A. BOTTARELLI, Lo scultore Tullo Golfarelli (Cesena 1835-Bologna 1928). L’attività bolognese, “Strenna storica bolognese”, XLI (1991), pp. 75-84; R. MARTORELLI, Cento anni di scultura bolognese. L’album fotografico Belluzzi e le sculture del Museo civico del Risorgimento, “Bollettino del Museo del Risorgimento di Bologna”, LIII (2008), pp. 87-89, 149; M. GAVELLI, Tomba di Gaetani Simoli e Liberata Morini, in La Certosa di Bologna. Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra di Bologna, Museo Civico del Risorgimento (25 maggio–15 luglio 2009), a cura di R. MARTORELLI, Bologna, 2009, pp. 228-229; Luce sulle tenebre. Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna, catalogo della mostra di Bologna, Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna - Casa Saraceni (29 maggio - 11 luglio 2010), a cura di B. BUSCAROLI e R. MARTORELLI, Bologna, Bononia University Press, 2010; A. FILIPPICCI BONETTI, L’Arte dei Monti di Cremona vissuta tra famiglia e bottega, Cremona, Il Prato, 2010.