Schede
A Domenico Maria Canuti (Bologna, 1626 - ivi, 1684) spetta la più astratta tra le scene del ciclo cristologico, quella del Giudizio Finale, eseguita su una enorme tela (cm 450x350), con una grande risoluzione scenica e dove, per la prima volta, l’artista pone la firma e la data in basso al centro “DOM. M. CANUTI DALL’OLIVA 1658”. Le cronache settecentesche ci segnalano l’offuscamento dei colori a causa della scarsa attenzione del pittore nel preparare la tela il quale, non a caso, si specializzerà nell’affresco. Il restauro eseguito da Katia Ronzani (1986) ha consentito una corretta lettura dell’opera, dalla quale è emersa una tavolozza che rende il Canuti, ancora debitore degli esempi di Ludovico Carracci.
L’iconografia della scena del Giudizio Finale è tratta dal Vangelo di Matteo: Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. (Mt. 25,31-33). ”E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna" (Mt. 25, 46).
Il Canuti resta fedele al testo religioso, ponendo in alto al centro la figura di un Cristo giudice del bene e del male, supportato da una fitta schiera di beati e di angeli che portano in salvo i giusti, condannando gli altri. L’opera si presenta con un turbinio di figure disposte su l’intero supporto visivo, un insieme di anime in una dimensione atemporale, nella quale i beati si elevano verso il divino e i dannati restano ancorati alla terra e si schiacciano all’estremità del dipinto, quasi a cercare una via di fuga dall’inesorabile giudizio. Nella tela certosina Canuti crea un momento di grande partecipazione tra l’osservatore e il soggetto. Lo spettatore è coinvolto e trascinato all’interno del quadro; soprattutto nella figura all’estrema sinistra, la quale con il gesto del braccio alzato e con lo sguardo rivolto all’esterno, sembra invitarci ad entrare nel dipinto. L’affollata composizione e la vorticosità di corpi, esplica il gusto del Canuti alla maniera barocca, ponendo una chiara differenza tra il Giudizio e le altre tele dei bolognesi in Certosa, eseguite seguendo i teneri umori reniani.
Benedetta Campo
Novembre 2011