Schede
Tra le molte opere funerarie eseguite per la Certosa di Bologna Carlo Monari è incaricato anche di eseguire il Monumento di Saverio Muratori, collocato in una cappella della Galleria degli Angeli, acquistata dalla moglie nel 1879. Il dedicatario era stato un instancabile protagonista dei moti indipendentisti dell’Italia centrale: fece parte di coloro che marciarono su Roma nel 1831 e successivamente insieme al fratello Pasquale fu tra gli organizzatori del moto di Savigno dell’estate del 1843. A seguito del fallimento di questo e di altri movimenti insurrezionali, decise di espatriare lasciando per un lungo periodo la sua città d’origine. Tornò a Bologna solo dopo che il processo di unificazione della penisola fu completato.
Sulla lapide della sua tomba l’epigrafe delinea brevemente il suo profilo di patriota: “SAVERIO MURATORI / CHE PER L’INDIPENDENZA D’ITALIA / SOFFRÌ IL CARCERE E L’ESILIO […]”. Così, infatti, prende avvio l’iscrizione posta sotto il tondo marmoreo che raffigura il dedicatario nella parete laterale della cappella commissionata, a distanza di alcuni anni dalla morte, allo scultore Carlo Monari dalla moglie Teresa Muratori Rossi, ritratta successivamente di fronte al marito con le medesime scelte compositive. L’artista immagina, all’interno della piccola cella, un figura stante raffigurante un giovane genio-angelo vigilante, dai lunghi capelli, posto ad limen, con le mani aperte, alle cui spalle su un peduccio decorato è collocato l’introspettivo busto-ritratto di Saverio Muratori incorniciato da una cimasa, riccamente ornata con uno stemma di famiglia. La figura, attualmente mutila dell’avambraccio sinistro (ora collocata nella Chiesa di San Girolamo della Certosa), è il centro dell’intera composizione e sintetizza in modo esauriente i caratteri stilistici dell’autore che innesta sulla matrice classica, appresa durante l’alunnato con Cincinnato Baruzzi, i modi propri del nuovo linguaggio verista.
Il restauro del 2010 ha rivelato raffinatezze estreme e virtuosismi tecnici nel trattare la materia, sia con delicate patinature nei capelli e nel panneggio, sia utilizzando strumenti diversi per conferire al marmo finiture differenti che accentuano gli effetti chiaroscurali. L’opera può essere osservata da molteplici punti di vista, essendo evidente la rottura della forma chiusa e l’avvio al movimento suggerito in tutte le parti del corpo. Nell’immagine inoltre si assiste all’intrecciarsi e sovrapporsi di modalità espressive appartenenti a contesti rappresentativi e generi diversi tra loro, è proposta una figura che appartiene all’immaginario religioso, ma è trattata con le fattezze fisiche tipiche delle divinità mitologiche. L’angelo-genio incarna tutti i sentimenti di incertezza e di angoscia caratteristici degli ultimi decenni dell’Ottocento, perdendo quell’aura di rassicurazione tipica dei periodi precedenti: la croce, infatti, che tiene appesa al collo, appare girata nella parte posteriore come per negare metaforicamente le risposte sulla morte date dalla religione, così come allo stesso modo le mani aperte alludono ad uno stato di impotenza e lo sguardo rivolto verso il basso irradia un profondo sentimento di inquietudine che avvolge l’intera composizione.
Adriana Conconi Fedrigolli
Testo tratto da: Buscaroli B., Martorelli R. (a cura di), Luce sulle tenebre: tesori preziosi e nascosti della Certosa di Bologna, catalogo della mostra, Bologna, Bononia University Press, 2010.