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Caronte

Schede

Ed ecco verso noi venir per nave / Un vecchio, bianco per antico pelo, / gridando: ‘Guai a voi, anime prave! / non isperate mai veder lo cielo: / i’ vegno per menarvi a l’altra riva / ne le tenebre etterne in caldo e ‘n gelo. (Dante, Inferno III, 82-87)

“Chi è e che cosa rappresenta Caronte? Il traghettatore che conduce all’altra riva sembra esprimere l’aspetto possente dell’energia vitale che investe l’uomo quando, sfuggito all’ignavia, si abbandona al flusso della libido che lo dominerà secondo la forma dell’istinto. Caronte è un vecchio (“bianco per antico pelo”), antico come l’umanità quando emerse dall’incoscienza dell’Eden. Appare urlante e minaccioso su una barca che galleggia sull’acqua, quasi a rappresentare l’umanità trascinata e sconvolta dal flusso impetuoso delle passioni. Riconosce però immediatamente che Dante è vivo e lo invita a non confondersi coi morti. Fino a che l’uomo, con ripetute esperienze, non impara ad armonizzarsi con l’onda dell’energia vitale, avrà sempre Caronte minaccioso davanti a sé. L’inconscio ha proprio questa funzione compensatoria: il medesimo problema si ripresenta nei sogni e nella vita fino a che l’uomo non ne ha preso coscienza e non lo ha superato nella esperienza concreta. Spesso, quando si presenta l’opportunità di affrontare i nostri malesseri psichici – per esempio attraverso terapie analitiche – scappiamo subito via rifugiandoci nella nevrosi e nell’autocommiserazione, piuttosto che affrontare la responsabilità di noi stessi.” Così scrive Adriana Mazzarella, la psicoanalista junghiana alla quale ho dedicato la mostra “Frammenti danteschi”, a proposito del personaggio di Caronte nella Commedia dantesca, in un suo contributo a una precedente mostra di Galleria Baroni, “Il volto e la maschera”.

Caronte dimonio, con occhi di bragia, / loro accennando, tutte le raccoglie, / batte col remo qualunque / s’adagia. (Dante, Inferno, 109-111)

E davvero questo Caronte di Tullo Golfarelli (Cesena, 1852 – Bologna, 1928) in terracotta colorata a finto bronzo e firmato sul retro, ha gli occhi di bragia, spaventosi, inquietanti, al punto che i signori da cui lo acquistai più di dieci anni fa lo avevano relegato in cantina, perché i nipotini si spaventavano quando entravano in casa e se lo ritrovavano all’ingresso. Lo stesso effetto esso faceva nel mio appartamento: gli ospiti più giovani apparivano timorosi nel passare davanti a questo busto quasi ingombrante, che polarizzava tutto lo spazio. E’ il timore che prova Dante quando si trova di fronte a Caronte e per sostenere questa presenza deve fare appello a una volontà più forte, che possa aiutare il suo io personale. Per portare a termine il viaggio dovrà affidarsi a un nuovo principio di salvezza, con la morte dell’io individuale attraverso quella del Cristo portatore di fede. Per salvarsi Dante non potrà affidarsi al “legno” di Caronte, ma dovrà affidarsi a quello della croce (morte-rinascita) per risorgere nell’Essere Assoluto. Il legno di Caronte è quello che lo traghetta per compiere il viaggio infernale; il legno della croce è quello che gli dà la fede per poter compiere l’intero viaggio fino all’Essere Supremo. Come altre volte, dalla mitologia classica greco-romana, Dante prende un personaggio inserendolo nella Commedia e nella sua visione cristiana medievale.

L’opera, esposta in occasione della mostra “Frammenti danteschi”, è documentata in una fotografia d’epoca conservata al Museo del Risorgimento di Bologna. Così mi ha scritto l’amico Alfonso Panzetta, professore di scultura all’Università di Bologna, quando gli ho inviato l’immagine del busto: “Lo conoscevo da una foto d’epoca conservata nell’album di Golfarelli di proprietà del Museo del Risorgimento di Bologna, ma non sapevo dove fosse…..ora lo so!”

Sergio Baroni

Courtesy Galleria Baroni Milano