Schede
Dal foglio sepolcrale della famiglia risulta che l’ 11 ottobre del 1904 Aristide Rizzi acquistò una cappella nel Cimitero della Certosa di Bologna (ubicazione ingresso alla III sala del Colombario, lettera B). Un articolo sul Resto del Carlino pare essere la prima testimonianza relativa alla decorazione della cappella realizzata da Roberto Franzoni: “Presso il Colombario, all’ingresso sud, di fianco alla tomba del Carducci, il giovane e valente pittore e decoratore Roberto Franzoni sta ultimando a buon fresco la cappellina dedicata dal Rizzi al Fossi”. Questo articolo ha anche permesso la datazione dell’opera attestando lo stato dei lavori, all’epoca (1908), non ancora terminati. Si tratta di un trittico dipinto sulle tre facciate di una piccola cappella, erroneamente definito a buon fresco, in realtà eseguito a tempera con probabile legante a colla su disegno a spolvero (tecnica deducibile dalla craquelure riscontrata in alcune zone e dall'osservazione diretta durante l'intervento). Sull'intonachino del pannello centrale, tuttavia, sono ancora riconoscibili giunte di giornata funzionali alla composizione (le figure di Cristo, della Vergine, del grande fascio di fiori in primo piano), tipiche della tecnica ad affresco; i pannelli laterali hanno invece un' unica giunta orizzontale, all'altezza dei piedi degli angeli.
Sulla parete centrale abbiamo una Madonna, colta in un’espressione tra il pensoso dolore e l’estasi mistica, con le mani giunte in preghiera, poggiate sul volto lievemente piegato verso sinistra, sovrastata da un Cristo a braccia aperte. Le vesti delle due figure paiono unirsi in un unico ondeggiante e avvolgente panneggio con sfumature monocromatiche, giocate tutte su toni freddi che vanno dal verde al grigio. L’ uniformità della cromia delle piatte campiture è improvvisamente interrotta da un’esplosione floreale: nella parte medio bassa di tutte e tre le pareti compaiono i crisantemi, motivo ricorrente nelle opere di Franzoni. Questi fiori, dipinti con tecnica magistrale, attestano l’inequivocabile paternità dell’opera, quasi più della firma del pittore posta in basso a destra. A quanto risulta dal bozzetto, alle spalle del Cristo dovevano figurare sei angeli, tre per lato, dei quali non è rimasta traccia, fatta eccezione per un accenno di velati panneggi tra cui, a fatica, si distinguono una spalla, un braccio e parte di una mano. Il confronto tra il bozzetto e i dipinti ci mostra alcune differenze nella stesura definitiva dell’opera: i pannelli laterali sono invertiti, e le figure ‘angelicate’ sono ridotte e semplificate sia nel numero che nei dettagli; tuttavia proprio il bozzetto è stato utile per l'interpretazione dei lacerti di pittura nelle parti più degradate: le foto già pubblicate a partire dagli anni '80 ritraggono infatti esclusivamente il pannello centrale, già ampiamente lacunoso. La parete sinistra della cappella è quella che ha subito i danni maggiori dal punto di vista del degrado che ha reso pressoché illeggibile tutta la parte superiore. Sempre dal bozzetto, si è dedotto che la decorazione avrebbe dovuto consistere in tre angeli musicanti, di cui, purtroppo, sono rimasti solo parte di uno strumento a corda e le vesti svolazzanti. Nella fascia bassa, nonostante il velo di efflorescenze saline, restano ben visibili i crisantemi.
La parete destra, invece, si è conservata quasi intatta differendo dal bozzetto solo per la presenza di un angelo in meno. La prima delle tre figure ‘cantanti’ tiene in mano un libro, verso cui tende anche la seconda come volesse leggerlo anch’essa, poggiando una mano sul braccio dell’altra; la terza, leggermente distaccata dal gruppo, piega la schiena indietro in una posa flessuosa e sensuale, quasi danzante, tendendo completamente il braccio verso la spalla del secondo angelo quasi a volerlo distrarre dalla lettura: tutto sembra ‘muoversi’ da destra verso sinistra, su un piano etereo al di sotto del quale sono dipinti appunto i crisantemi. Gli angeli, dotati di sembianze femminili dalle leggiadre movenze fin troppo sensuali, mostrano dolcissimi profili dalle labbra socchiuse e rappresentano l’elemento che, probabilmente, rende eclatante la commistione di sacro e profano in questo suggestivo esempio di Liberty funerario. I pannelli dipinti sono contornati da cornici in stucco, realizzate con elementi a stampo su struttura in arelle, assemblati a gesso e dorati in opera, mentre le riquadrature al di sotto delle cornici e il soffitto sono monocromi (verde acqua il soffitto, verde scuro e intenso le parti a contatto con il pavimento). All’interno del piccolo spazio si accede tramite una bassa cancellata in ferro battuto con dettagli dorati e fiori e cuori stilizzati, realizzata dalla manifattura bolognese Sante Mingazzi. Gli arredi originali sono finemente lavorati con incisioni floreali e dorature; il pavimento è in marmo rosso Verona, mentre la soglia, l’architrave e le spallette (anche queste incise e dorate) sono in marmo bianco di Botticino. Pur in assenza di una documentazione certa, la lettura unitaria dell'insieme e la ripetizione degli stessi motivi decorativi su oggetti diversi della cappella, fa supporre che il progetto complessivo sia opera del Franzoni.
Un dato interessante è che tra le fonti in cui è citata, la cappella Rizzi più che come un preziosissimo esempio di Liberty emiliano viene menzionata per il pessimo stato di conservazione in cui versava prima del recente intervento di restauro: “La composizione – purtroppo attualmente assai degradata per la caduta di intere zone di colore – si snoda lungo le tre pareti senza soluzione di continuità, pur nella presenza della cornice dorata con motivi di girasoli…”; “ del 1908 è la commissione della Cappella Rizzi alla Certosa di Bologna , un’opera oggi in pessimo stato di conservazione…”; “molte di queste testimonianze sono andate perdute anche in tempi recentissimi. Ci riferiamo in particolare alla decorazione pittorica della cella Rizzi (1908), dovuta a Roberto Franzoni (...), un tempo ricca di ori e colori e ridotta oggi, per il pessimo stato di conservazione, a una debole traccia”. Emilio Contini nel catalogo del 1977, in cui è stato esposto il disegno preparatorio per l’affresco in Certosa, invece commenta: “Nel 1908, con le decorazioni della Cappella Rizzi per la Certosa di Bologna, affronta il soggetto sacro, con un Trittico tra il mistico alla Puvis De Chavanne, l’allegorismo grafico desunto dal Segantini de L’Angelo annunziatore o da Khnopff, punta verso più aggrovigliate soluzioni, che però non sono le più naturali in Franzoni”.
Sara Baldoni
Estratto dalla ricerca svolta in occasione del restauro della Cella Rizzi alla Certosa (2010)