Schede
Raffaele Faccioli era entrato nel Collegio Venturoli nel 1858 nel quinto alunnato, termine con cui si definiva ogni nuovo gruppo di allievi, tutti giovani ragazzi bolognesi provenienti da famiglie indigenti, che dai dodici anni compiuti fino ai venti potevano frequentare il Collegio. Questi requisiti erano stati stabiliti dallo stesso Angelo Venturoli nel suo testamento, con il quale destinò la sua eredità per la creazione di questo istituto per garantire ai giovani talentuosi, ma meno fortunati, un’ adeguata istruzione artistica. Gli allievi avevano l’opportunità di studiare nel Collegio, seguiti da professori ex-collegiali o da docenti dell’Accademia di Belle Arti; a loro non era inoltre preclusa la possibilità di iscriversi ai corsi accademici. Ciò che contraddistingueva l’ambiente didattico del Collegio Venturoli era, rispetto all’Accademia, non solo la maggiore libertà lasciata agli allievi e un costante aggiornamento nei confronti delle nuove tendenze in campo artistico, ma anche una formazione culturale accanto a quella artistica, entrambe ai più alti livelli.
L’esperienza di Raffaele Faccioli è un valido esempio per comprendere le opportunità offerte dal Collegio Venturoli. Inizialmente attratto dalla scultura fu allievo, in Collegio, di Federico Monti, ma successivamente si convertì alla pittura formandosi sotto la guida di Luigi Busi; dal 1863 al 1865 si iscrisse all’Accademia dove per due anni frequentò il corso di Anatomia e per tre quello di Pittura, allievo dei professori Ferrari, Pedrazzi e Puccinelli. Ma sarà soprattutto l’insegnamento di Busi ad avvicinare Faccioli al verismo. La sua formazione artistica non si concluse nel 1865, anno in cui “sortì” dal Collegio. Nel 1855, grazie al lascito del mercante Luigi Angiolini, il Collegio Venturoli istituì la Pensione a lui intitolata, che rappresentava per questi giovani l’occasione per proseguire la loro formazione nelle principali città d’arte d’Italia: Faccioli assieme al compagno di Collegio e di studi Luigi Serra si aggiudicarono la pensione e partirono nel 1866 per Firenze, dove furono allievi di Altamura, per poi continuare il loro perfezionamento a Roma.
L’opera, inedita, Caino dopo l’uccisione di Abele fu realizzata nel 1864, un anno prima di lasciare il Collegio; tuttavia il Canonico Augusto Romagnoli, futuro rettore del Collegio, nel suo volume La Storia delle Arti del Disegno del 1888, attribuisce al 1865 l’esecuzione del dipinto (data che è indicata nella cornice), forse facendo riferimento all’anno in cui venne lasciato al Collegio da Faccioli come saggio finale. Era obbligatorio infatti che ogni allievo, prima di lasciare il Collegio appena compiuti i venti anni, lasciasse un saggio, che poteva trattarsi di un’opera realizzata appositamente o eseguita anni prima. Raffaele Faccioli decise di lasciare questo dipinto, come si legge nella dichiarazione redatta anni dopo dal rettore Augusto Romagnoli, sulla base delle memorie del suo predecessore Giulio Evangelisti, e riportata nel “Campione degli Alunni nel Collegio Venturoli 1858”, nella pagina relativa a Faccioli. Questi registri, oltre ai dati forniti all’atto dell’iscrizione al Collegio, riportavano spesso anche una dichiarazione finale che riassumeva il percorso e i risultati raggiunti dall’allievo, talvolta con informazioni interessanti e meno note. Di Faccioli infatti si legge che “lasciò per saggio al Collegio “Caino dopo l’uccisione di Abele””.
In quest’opera il giovane Faccioli mostra Caino solo, come colto nell’atto di nascondersi dalla vista del Signore o di coprirsi la fronte con il segno da Lui apposto affinché tutti lo potessero riconoscere. Accanto alla posa accademica, frutto degli insegnamenti ricevuti, colpisce l’intensità dello sguardo di Caino, che sembra evocare il drammatico dialogo con Dio (Gn, 4,9-15). Questo dipinto è uno delle numerose opere di soggetto storico e religioso realizzate durante gli anni di studi - come testimoniato nei diari mensili che gli allievi erano tenuti a scrivere -, mentre negli anni successivi Faccioli si dedicò raramente a opere di tema religioso, raggiungendo la notorietà in particolare per opere veriste e soggetti di gusto borghese carichi di patetismo.
Valentina Andreucci
Testo tratto dal catalogo della mostra "Angelo Venturoli - Una eredità lunga 190 anni", Medicina (Bo), aprile-giugno 2015.