Schede
Pur non essendo tra i più vasti, il Chiostro VI è il più monumentale tra i campi porticati della Certosa, chiuso scenograficamente sul lato nord da una Galleria, sormontata al centro da una cupola riccamente decorata da affreschi sul lato interno. Il complesso viene realizzato a partire dall'anno 1900 su progetto di Filippo Buriani, il quale si era avvalso della collaborazione di Attilio Muggia per la realizzazione del soffitto in cemento armato della Galleria. Originariamente la parte centrale era occupata da un campo di sepoltura comune e l'aspetto attuale si deve agli interventi del 1932/33. Gran parte dei monumenti sono stati eseguiti nei primi tre decenni del '900 da alcuni tra i migliori scultori locali. Tra questi una delle opere più belle è certamente la Cella Magnani di Pasquale Rizzoli, perfetto esempio del gusto Liberty italiano.
Alla fine della Grande Guerra in tutti i paesi coinvolti nel conflitto si avvertì la necessità di ricordare i soldati morti, per celebrarne il valore e per elaborare anche collettivamente il lutto delle famiglie. Così, sin dal 1919, in ogni città, paese, quartiere o parrocchia d’Italia cominciarono a comparire lapidi, cippi, sculture o monumenti. A Bologna già nel 1920 venne bandito un concorso, cui vennero presentati 28 progetti, che però non ebbe seguito. Il 12 giugno 1925, all’interno del complesso delle chiese di Santo Stefano, venne invece inaugurato il Lapidario dei caduti bolognesi: 64 lapidi con i nomi dei 2.536 cittadini morti per cause di guerra negli anni dal 1915 al 1920 (per legge sono considerati Caduti per la Patria tutti i morti per conseguenze di guerra anche negli anni 1919 e 1920). Alla fine degli anni Venti, per necessità interne alla gestione della Certosa, si ritornò all’idea di erigere un monumento e si identificò come luogo idoneo il campo interno del Chiostro VI progettato da Filippo Buriani ed Arturo Carpi, e dove già l’anno prima, il 28 ottobre 1932, era stato inaugurato il monumento ai martiri della rivoluzione fascista, progettato dall’architetto Giulio Ulisse Arata, con sculture di Ercole Drei. Inaugurato il 4 novembre 1933, 15° anniversario della Vittoria, il monumento accoglie i resti di 2.906 soldati italiani (di cui circa 500 bolognesi di città e provincia) e di 140 austroungarici. E’ costituito da due corpi circolari interrati uniti da un corridoio. All’esterno, due calotte in pietra d’Istria levigata, in corrispondenza dei locali sotterranei, recano al sommo le sculture di Ercole Drei, due grandi soldati che montano idealmente la guardia al sacrario. Scendendo le scale, due rampe speculari, ci si trova all’interno: alle due calotte esterne corrispondono due ipogei, rivestiti in diversi marmi, che prendono una flebile luce da due calottine centrali in alabastro. Nella parte alta degli ambienti circolari, iscrizioni ricordano le più importanti battaglie del conflitto. Alle pareti, a sinistra e a destra per chi scende le scale, sono collocate due grandi iscrizioni: rispettivamente la dichiarazione di entrata in guerra siglata dal re Vittorio Emanuele II il 24 maggio 1915 e il Bollettino della Vittoria firmato da Armando Diaz il 4 novembre 1918. I loculi si rincorrono in moto circolare nei due ipogei, seguendo una numerazione progressiva, cui corrispondono per la maggior parte i defunti collocati in ordine cronologico (morti del 1915, 1916, 1917 e 1918). Verso la fine trovano posto i resti di soldati traslati in anni posteriori dai luoghi originari di sepoltura al fronte. A metà del corridoio che congiunge i due ipogei l’8 agosto 1940 il regime fascista, nel tentativo di collegare il Risorgimento alla guerra in corso, collocò un sarcofago con le spoglie del padre Ugo Bassi, tolto alla sepoltura di famiglia che lo aveva ospitato dal 1860.
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Una accorata descrizione della sistemazione dei caduti prima dell'esecuzione del Monumento ci viene da Gida Rossi in Memorie di una vecchia zitella: "Il 24 maggio 1918, dopo aver celebrato alla scuola l'entrata in guerra, vollero portar fiori sulla tomba dei caduti al nostro Cimitero Monumentale. Ma quel reparto non apparve degno dei Caduti. Abbandonato all'iniziativa privata, ed essendo i morti di tante regioni lontane, non poteva esser curato(...) Sorse il Comitato per la cura e l'abbellimento delle tombe di guerra. Fece il progetto il pittore Casanova: piccole lapidi per ciascun morto, con l'insegna della Croce Rossa, un'aiuola all'intorno e piante di alloro al limite del recinto. E giovinette e signore al lavoro.(...) Le allieve-maestre scrissero allora alle famiglie lontane; ci fu una corrispondenza serrata di lacrime e di sorrisi.(...) Il campo fu ufficialmente inaugurato il 2 Novembre '18, la grande vigilia. Nevicava, era tutto bianco. I fiori sporgevano appena il capo dal candido strato, gli allori erano cupi fra le macchie bianche. Fu celebrata la Messa all'aperto. Scendeva il Divino nell'Ostia Consacrata, e scendevano dal cielo falde di neve. Si posavano su tutto, sulle mani del celebrante, sulle teste scoperte, sul santo altare, sulle sante bandiere. Bianco su bianco, fede su fede.(...) Il lungo corteo si mosse poi per gli ampi loggiati verso la Chiesa. Le musiche intonarono l'inno di Oberdan; risonarono gli antri delle note gravi. Passarono i Mutilati e le bandiere, i generali e i soldati, e passaron le Madri, che forse sorridevano per la prima volta. In mezzo passava la nostra gioventù; la magnifica promessa dell'avvenire".
Al centro del grandioso Chiostro VI, il 28 ottobre 1932 venne inaugurato il monumento ai martiri della rivoluzione fascista, progettato dall’architetto Giulio Ulisse Arata (1881-1962), e con sculture di Ercole Drei (1886-1973). Il chiostro VI venne realizzato a partire dal 1901 e venne terminato negli anni venti del secolo; l'area centrale inizialmente era adibita alla normale inumazione a terra con lapidi a stele, e quindi è plausibile che nel progetto originario non fosse previsto la presenza 'ingombrante' di altri complessi monumentali. Il fascismo bolognese volle celebrare la marcia su Roma con la solenne traslazione, nel nuovo sacrario della Certosa, delle salme dei caduti per la causa del fascismo. Il sacrario si presenta come un vasto ipogeo sovrastato dall'Ara dei Caduti. La struttura architettonica povera di decorazioni e dai volumi semplici e dall'aspetto monolitico fu tra i progetti che l'architetto Arata ritenne tra i più riusciti del suo ampio catalogo di opere. Particolarmente felice è la collaborazione con lo scultore Ercole Drei, che seppe inserirsi armonicamente con le due grandiose allegorie della Forza (a sinistra) e della Gloria (a destra). La struttura fu costruita grazie ad una sottoscrizione pubblica ed è interamente eseguita in travertino di forte spessore, quando non monolitico. Nel corso del tempo il monumento non ha subito nessuna modifica ad eccezione dell'epigrafe a rilievo che si trovava sulla facciata principale, con tutta probabilità distrutta immediatamente dopo la fine del secondo conflitto mondiale. Il testo era: CADUTI PER IL FASCISMO / BOLOGNA MEMORE QUI LI RACCOGLIE / E LI ONORA IN ETERNO. Il monumento ai martiri del fascismo non venne collocato casualmente al centro del Chiostro VI: qui si trovavano già moltissime memorie dedicate ad alcune glorie recenti della storia locale: Edoardo Brizio, Vittorio Puntoni, Augusto Righi, Giovanni Capellini e quindi sarà parso naturale voler creare una sorta di Pantheon della storia cittadina. Questo aspetto trova conferma nella successiva traslazione del premio Nobel Giosue Carducci - il cantore dell'Unità d'Italia - nel campo di fronte al Chiostro VI nel 1935; e di Ugo Bassi - martire del Risorgimento italiano - all'interno del Monumento ai caduti della Grande Guerra nel 1940. Tutti questi avvenimenti volevano idealmente proporre alla popolazione una ideale prosecuzione delle dolorose tappe che portarono l'Italia all'unificazione con l'ambizione imperiale del fascismo.