Schede
Il francese Pierre Jules Théophile Gautier (Tarbes, 30 agosto 1811 – Neuilly, 23 ottobre1872), fu pittore, scrittore e critico letterario appartenente alla cultura romantica. La sua complessa produzione intellettuale ed artistica fu di ispirazione per i successivi sviluppi della cultura europea, quali il Simbolismo ed il Decadentismo. Ricevette numerosi riconoscimenti pubblici, tra cui nel nel 1862 la presidenza della Société nationale des Beaux-Arts. L'artista compì il suo viaggio in Italia insieme all’amico Louis de Cormenin nel 1850 e le sue impressioni venivano pubblicate nel giornale francese La Presse. Tra le sue tappe non mancò una breve sosta a Bologna. Raffaele Belluzi nella pubblicazione Bologna, Album - Storico, edito a Bologna nel 1882 dallo Stabilimento Tipografico Successori Monti, ha raccolto la parte riguardante la città felsinea. Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.
Bologna è città porticata, come quasi tutte le altre città di questa parte d'Italia. Tali portici riescono comodi per porsi al riparo dalla pioggia e dal sole; ma essi trasformano le vie in lunghi chiostri, i quali assorbono la luce e danno alla città un aspetto freddo e monacale. La via Rivoli a Parigi informi circa la gaiezza di tale sistema. Scendemmo ad un albergo qualunque ove, mercè una mimica commovente, ci riescì fatto d'ottenere una cena in cui figurava con vantaggio la mortadella, la bondiola ed il salame di Bologna, come richiedeva il colore locale. Dopo cena si escì: una specie di burlone dalla faccia scolorita e grassa, con basette a spazzola, gingilli d'orpello e pastrano che richiamava alla mente, in guisa meravigliosa il tipo del padre Cavalcanti nel romanzo di Alessandro Dumas, si mise sulle nostre peste e ci tenne dietro, benchè mutassimo passo e direzione ad ogni piè sospinto al fine di sviarlo. Seccati da così fatta manovra, gli significammo di scegliere altra strada, e questo in modo brutale anzi che no, prendendolo per una spia, ma esso dichiarò che non ci abbandonerebbe affatto, la sua pretesa ed il suo diritto quello essendo di servire da guida ai viaggiatori. Laonde gli appartenevamo e trovava indelicato il sottrarsi così alla tassa ch'ei prelevava sovr'essi. Eravamo ladri che lo defraudavamo del suo avere, che gli strappavamo il pane di bocca, che gli carpivamo il danaro di tasca. Egli aveva contato su noi per far la festa ad un fiasco di Piccolit o d'Aleatico, per comprare un fazzoletto a sua moglie ed un anello alla sua amante. Eravamo infame canaglia a sconvolgere in tal modo i suoi progetti di benessere e di felicità domestica. Porgeremmo un mal esempio ai viaggiatori avvenire, ed era risoluto di non indietreggiare d'un sol passo. Voleva condurci sino alla diligenza, di cui il fanale risplendeva poco lungi da noi e di là in via des Galeries, dove ci trovavamo. Non abbiamo mai visto briccone più ostinato né più stupidamente caparbio. Dopo i più energici sagrati ed i “Va all'inferno” i meglio accentuati da parte nostra riprincipava da capo le sue proposte, come se non avesse detto nulla, pretendendo che ci saremmo smarriti senza più, e ch'ei non soffrirebbe ciò per nulla al mondo.
Credemmo allora essere giunto il momento di porre in opera i grandi mezzi. Ci ritraemmo alcun poco, ed invocando mentalmente la memoria di Lecour, il nostro professore di bastone e di ciabatta, ci accingemmo ad eseguire così stupenda moresca da far invidia al caporale Trimm, per la complicazione dè suoi moti e delle sue volute, chiamati col nome di rosa coperta in termine d'arte. Quando il mariuolo vide il giunco rilucere come lampo e fischiare come serpe a tre dita dal suo naso e dalle sue orecchie, diè indietro brontolando e protestando non essere naturale che viaggiatori ammodo rifiutassero i servigi d'una guida istruita e garbata che dimostrava Bologna con immensa soddisfazione degli inglesi. Il rimborso di non avergli fracassato il cranio ci punge talvolta nelle nostre notti insonni, ma forse ci si avrebbe molestati per questa buona opera e fatto pagare simile zucca per una testa. Chiediamo venia ai viaggiatori, ch'egli avrà per certo annoiati in seguito, di non averlo accoppato. E' una mancanza a cui rimedieremo, se per avventura ripasseremo da Bologna. Avevamo una commendatizia per Rossini, il quale sfortunatamente, era assente e non doveva ritornare che entro alcuni giorni. E' peccato il non conoscere il viso d'un grande ingegno contemporaneo. Per quanto si può conviene vedere la forma esterna di queste belle anime, ed allorquando sentiamo la Semiramide, il Barbiere di Siviglia, Guglielmo Tell, ci duole assai il non poter annettere all'idea di Rossini se non la stampa dello Scheffer e la statua a tiranti in marmo che ingombra l'ufficio del controllore nel vestibolo dell'opera a Parigi.
Un' osservazione puerile forse, ma che abbiamo già fatta né nostri viaggi è questa, che si potrebbe dietro il numero dei barbieri contenuti in una città o paese, farsi un criterio sul più o meno d'incremento della civiltà. A Parigi ve ne sono pochissimi, a Londra punto. La patria de' rasoi si fa la barba da per sé. Senza volere accusare la Romagna di barbaria, è giusto il dire che in nessuno altro luogo ci occorse vedere una così grande quantità di barbieri come a Bologna, in una sol via se ne contano più di una ventina in ispazio ristrettissimo, e, ciò che è più grazioso si è che i cittadini Bolognesi portano la barba. E' la gente di campagna che forma la clientela di questi frater i quali hanno la mano leggerissima, come avemmo a sperimentarla sulla nostra pelle, senza possedere peraltro la destrezza degli spagnuoli i primi barbieri dell'universo da Figaro in qua. Nel venir fuori dal barbiere, prendemmo a casaccio una via che ci condusse subito nella piazza ove tentennano già da parecchi secoli, senza però cadere mai, la torre degli Asinelli e la Garisenda, la quale ebbe l'onore di fornire un'immagine a Dante. Il sommo poeta paragonò Anteo chinandosi a terra alla Garisenda, e ciò prova che l'inclinazione della torre bolognese, risale altre il decimoterzo secolo.
Quelle torri, viste al chiaro di luna, presentano l'aspetto più fantastico che dir si possa; la loro strana deviazione, smentendo tutte le leggi della statica e della prospettiva, dà le vertigini e fa parere fuor di piombo tutte le abitazioni circonvicine. La torre degli Asinelli misura trecento piedi di altezza; la sua inclinazione tre piedi e mezzo. Tale prodigiosa altezza la fa apparire snella, e non potremmo meglio confrontarla se non se ad uno di quegli immensi fumaioli di Manchester e di Birmingham. Essa si slancia di sovra una base merlata ed ha due piani del pari merlati, il secondo un po' rientrante; dal pinacolo che la sovrasta scende giù un' armatura di ferro che viene a riallacciarsi alla base dell' edifizio. La Garisenda, circa la metà della torre degli Asinelli, pende spaventosamente e fa sembrare quasi diritta la sua vicina. Quantunque essa strapiombi così da più di seicento anni, non piace però trovarsi dal lato verso cui s'inclina. Direste che l'istante della sua rovina è giunto e che sta per schiacciarvi sotto i suoi ruderi. E' un moto d'infantile paura a cui riesce difficile il sottrarsi. Un'idea bizzarra e grottesca, che ritrae benissimo l'effetto stravagante di queste torri, ci venne nel mirarle, e la comunicammo al nostro compagno di viaggio: sono due monumenti che sono andati a trincar fuori porta e che ritornano traballanti appoggiandosi l'uno contro l'altro.
Se lo splendore della luna consentiva di vedere la torre degli Asinelli e la Garisenda, esso non era bastevole per poter esaminare al museo le pitture del Guido, dei tre Carracci, del Domenichino dell'Albani ed altri grandi maestri della scuola bolognese, ed andammo, con sommo nostro dispiacere a coricarci in uno di quegli enormi letti italiani, entro cui starebbero agiatamente i sette fratelli del piccolo Poncet e le sette figlie dell'Orco, in uno ai padri ed alle madri loro; vi si può dormire in tutti i sensi, per il lungo e per il largo, diagonalmente, senza mai venir giù. Alle quattro della mattina ci alzammo sonnolenti per prendere la diligenza di Firenze, e ci accorgemmo di un tal quale movimento di truppa. Si stava allestendo una esecuzione capitale. Si era sul procinto di fucilare una ventina di persone per motivi politici. Noi lasciammo Bologna con questa penosa impressione, che avevamo d'altronde già provata a Verona, a Ferrara, e che ci attendeva ancora a Roma: ma l'idea di valicare gli Apennini in una bella giornata di settembre dissipò tosto così lugubre sensazione!