Schede
Le testimonianze delle grandi civiltà del mondo antico, così come i resti di culture minori, ci sono note attraverso la scoperta di aree cimiteriali. Queste ci hanno permesso, attraverso i manufatti, di conoscere il grado culturale, la vita, la religione e la concezione di oltretomba. Tutte quelle aree di sepoltura non furono mai scelte a caso, nemmeno nella preistoria, che anzi ci ha lasciato importanti segni lapidei quali i menhir e i dolmen e quindi i “giardini dei silenziosi” furono, sono e saranno un messaggio per le generazioni future. I primi segnacoli furono il tumulo, forma geometrica del primitivo recinto funerario, quindi la piramide, che divenne il segnacolo funerario più conosciuto e pregno di significati.
Senza analizzarne i motivi, la sepoltura ha costituito, fin dai tempi remoti, l’operazione culturale e religiosa più integrale e con maggiori implicazioni emotive. Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, tramite il Comitato Nazionale per lo Studio e la Conservazione dei Giardini Storici, con il II Convegno Nazionale di Studi inerenti quel tema storico culturale, tenutosi presso la Villa Reale di Monza nel 1992, l’architetto romano A. Del Bufalo sottolineò la stretta relazione fra le ville e i giardini storici ed i cimiteriali monumentali. In quella sede congressuale si prendeva ufficialmente coscienza che i cimiteri monumentali italiani non potevano essere ignorati, sia per il loro elevato numero di circa 8000 aree, sia come potenziali siti museali, sia, in generale, per la loro posizione di cerniera in aree urbane, sovente caratterizzate dalla vicinanza di Ville urbane ed extraurbane. Sono strutture con un impianto architettonico a volte complesso, ma comunque vive dal punto di vista storico-artistico ove gli autori di sculture, pitture e apparati decorativi, in varie epoche hanno espresso la propria genialità e bravura tecnica, adeguandosi alle correnti stilistiche a loro contemporanee. Fu da quel congresso che si palesò la necessità di fornire ai potenziali visitatori pubblicazioni e guide esperte che mettessero in giusto risalto le pregevoli testimonianze del passato. Contemporaneamente si evidenziava l’istanza di una catalogazione del patrimonio artistico presente in quei luoghi della memoria, con il palese fine di una conservazione, restauro e salvaguardia antifurto.
Operazione da anni avviata dagli Enti Amministrativi bolognesi per l’Area della Certosa, uno fra i più importanti esempi cimiteriali esistenti sul territorio nazionale ed anche europeo. Magnifico contenitore museale del neoclassicismo, colmo di monumenti improntati al nuovo imperante stile poi evolutosi nelle differenti interpretazioni del romanticismo. Infatti anche se fu propugnata dal Senato Bolognese la realizzazione di quattro cimiteri extra moenia, fin dal 22 giugno 1784, solo nell’anno 1800 la Commissione di Sanità del Dipartimento del Reno optò per un’unica area cimiteriale con la presenza di una camera mortuaria realizzata nell’anno successivo. Operazione amministrativa che seguiva il progetto e la pronta realizzazione in Palermo del primo cimitero italiano “moderno” (1783), voluto dal principe Domenico Caracciolo Vicerè di Sicilia (1715-1789), noto illuminista ed amico, nei suoi anni parigini, di Diderot e d’Alembert. Fu lui che propose l’impostazione architettonica classica cimiteriale, ravvisata da “gran strada alberata, […] da un quadro lungo cinto di muraglie, con quattro gran porte ai quattro fianchi, in cui stanno disposti 200 archi, […] e dientro ogni arco vi è una cappelletta con un altare ed una sepoltura; nello spazio di mezzo al detto porticato, che regna all’interno, vi sono 360 sepolture per il popolo, in cui la povera gente sarà gratis sepolta senza spese funebri. […] La prima spesa dello stabilimento di un’opera così grande […] si ricava dalla concessione rispettiva delle dette cappellette, le quali molte case dei nobili per le loro famiglie hanno preso una delle medesime, e così tutti li conventi e monasteri dei regolari e tutte le maestranze etc: e ciascheduno deve costruirla a sue spese per acquistarne la proprietà, […]”. In queste righe inviate ad Angelo Fabbroni il 19 giugno 1783, si può vedere la futura impostazione architettonica del cimitero neoclassico petroniano realizzato da progetto dell’arch. Ercole Gasparini (1781-1829) e poi dall’arch. Angelo Venturoli (1749- 1821)
L’intero complesso si può considerare un vero trattato d’architettura classica supportato da raffinati esempi di arti decorative e il Chiostro Terzo con i suoi archi è, per noi, preziosa testimonianza culturale perché conserva i monumenti più antichi eseguiti con tecniche pittoriche e scultoree. L’impostazione decorativa delle pareti, date in concessione ai privati cittadini, si rifà sovente all’idea progettuale e decorativa di Mauro Tesi (1730-1776) per lo studio del monumento al conte veneziano Cesare Algarotti (1712-1764) che, per controversie con gli eredi, fu differentemente realizzato in Pisa. Fortunatamente i suoi disegni e le incisioni, che ne divulgarono le Idee, ebbero grande fortuna divenendo per altri artisti un naturale punto di partenza progettuale. Le più antiche Funebri Memorie sono dipinte con fantasiosa ricchezza tali da campire l’intera parete e il visitatore può apprezzare un gusto estetico aristocratico che dalla policromia neoclassica tardo settecentesca in brevissimo tempo si adeguò al nascente rigore neoclassico, scelto dalla nuova società napoleonica assurta al potere con i commerci e le forniture militari. Furono questi nuovi borghesi a richiedere quadrature di architetture in ordine dorico che contenevano sarcofagi, obelischi, steli ed urne di gusto antiquario, tutte composizioni che rispecchiavano l’apprezzata produzione artistica dei due imperituri artisti bolognesi Pelagio Palagi (1775-1860) e Antonio Basoli (1774-1848). Entrambi furono degni rappresentanti della grande scuola bolognese di architettura e prospettiva, che con estrema inventiva e nuove forme tradussero l’opera bibienesca e tesiana in forme doriche, avendo eco non solo in patria ma anche in lontane terre straniere. Le opere incisorie, raccolte in album, fecero fortuna presso le Accademie di Belle Arti ed all’estero e nel milieu des connesseurs d’antiquitès et d’architecture, che avevano compiuto il classico Grand Tours in Italia. Percorrere, dunque, quei porticati e soffermarsi lungamente nello studio di quelle Memoriae Pictae, così come fecero loro, porta il visitatore studioso non solo all’apprendimento dell’arte, ma anche ad una logica percezione di tipologie originate dalle differenti interpretazioni degli artisti.
Le composizioni prospettico-architettoniche sono il frutto di una precisa volontà della committenza e dell’interpretazione data dall’artista che in Bologna aveva trovato sicuramente un felice supporto culturale presso la celebre Accademia Clementina di Belle Arti. Qui si propone, come agevole chiave di lettura interpretativa, una visione comunque prospettica dove il monumento funebre (piramide, sarcofagi, obelischi, steli ed urne) è posto in cinque differenti tipologie di collocazione spaziale: posto nella natura, fra fughe prospettiche d’architetture, all’interno di un vano, al centro di una composizione architettonica absidata o come elemento centrale per un impianto di facciata.
Alla prima tipologia di monumento funebre immerso nella natura, basato su una concezione ancora settecentesca, appartiene il monumento per il celebre paesista bolognese Vincenzo Martinelli. L’opera pittorica fu eseguita fra il 1807 e il 1808 dal paesista Luigi Busatti e dal figurista Pietro Fancelli. Mentre il primo si esprime nella tradizione decorativa settecentesca, il secondo trae ispirazione da una musa dolente di matrice tesiana o comunque simile all’idea del bolognese Carlo Bianconi incisa dal Volpato nel 1769. La composizione è da scomporre nel seguente modo: in primo piano una bella figura di dolente, posta su un triclinium, vestita all’antica che porge lo sguardo verso un genio il quale affianca un bassorilievo con ritratto in medaglione del defunto e che indica con la mano sinistra un sarcofago posto su piedistallo. In secondo piano un sarcofago è posto su basamento con gradini, ed è vicino ad alberature ed un frondoso salice lo sovrasta. In lontananza, fra le verzure del paesaggio, compare la turrita Bologna. L’impostazione architettonica del sarcofago e i classici decori scultorei si rifanno alla trattatistica antiquaria del XVIII secolo ma con un abbinamento naturalistico d’oltralpe riferibile, per il salice piangente, ad opere anglosassoni o francesi dell’ultimo quarto del secolo XVIII. Ma nella complessa composizione, sul sarcofago con acroteri campeggia una grande croce greca che contrasta col manufatto lapideo sottostante e con l’impostazione scenica che normalmente altri artisti contemporanei trattarono in chiave di culto laico, a volte impostato con toni cupi in ossequio allo stile spesso sempre privilegiato oltremanica. Conferma ne siano le composizioni di Palagi, del Basoli prima della Restaurazione o dell’artista parmense Girolamo Gelati del 1818 per Angelo Mazza, che scelse come motto concorsuale, di Prospettiva e Ornato, il verso 151 dei Sepolcri: “A egregie cose i forti animi accendono l’urne de’ forti”. Particolarmente interessante può considerarsi, per una concezione ancora settecentesca del paesaggio e per la policromia, il più tardivo decoro pittorico eseguito nel 1812 per il sepolcro Laderchi Pepoli.
Alla seconda tipologia di memoria funebre posta fra fughe prospettiche d’architettura appartiene quello Ignazio Magnani eseguito da Giuseppe Muzzarelli e da Pietro Fancelli, che concepirono una prospettiva di cortile aperto dove la struttura muraria è alleggerita da nicchie sovrastate da un elegante fregio in bassorilievo di fiori di acanto. Il monumento è un insieme di differenti elementi di Antiquaria, frutto di una buona conoscenza della trattatistica settecentesca e piranesiana, infatti consiste in un sarcofago a superfici strigillate posto ai piedi di un’ara che funge da basamento ad una scultura allegorica della Giustizia. Il fronte dell’ara presenta, all’interno di serti di alloro e quercia, il medaglione con profilo del defunto interpretato all’Antica. Sopra al sarcofago sono posti, come simbolo di provata erudizione, due leoni “in guardia” ad una fumosa lucerna ad olio posta su libri e documenti cartacei. Questi particolari allegorici ci rammentano composizioni simili utilizzate nelle illustrazioni dell’editoria francese illuminista. Di simile gusto è anche un progetto di Giuseppe Fancelli per un monumento funebre, in cui sono già riportate le misure per la trasposizione pittorica e che si conserva nelle collezioni Carisbo.
Alla terza tipologia di monumento funebre all’interno di un vano appartiene, ad esempio, quello per il rinomato giureconsulto Eligio Nicoli morto a 64 anni nel 1807, eseguito dall’ornatista Lodovico Lambertini e dal figurista Giuseppe Ramenghi, che realizzarono una prospettiva di galleria chiusa dove la volta a botte a lacunari è sorretta da quattro pilastri angolari e da dieci colonne in stile dorico. I gradini che conducono al prestigioso vano sono interrotti nella mezzaria da una scultura che rappresenta la Giustizia. Questa è posta su un basamento dove, sempre in scultura, due geni alati, uno in atto di scrivere la gloriosa memoria, l’altro con volto coperto e rivolto verso il basso piange il defunto, affiancano una rettangolare memoria lapidea. Sul fondo, in parte celato dal monumento, si intravede un portale sovrastato da una rappresentazione del defunto in cattedra durante una lezione. Una attenta lettura compositiva di questo dotto dipinto murale conferma come la lezione prospettico rinascimentale sia stata fortemente compresa e come sia stata utilizzata più volte la figura geometrica del triangolo. Per il gusto eclettico, invece, si cita la perduta memoria dipinta per Giovanni Lambertini, nipote del pontefice Benedetto XIV, dove la presenza di diverse partiture stilistiche lascia storditi. Anche in questo caso, come nel precedente, seguendo le idee dei nuovi tempi politici, di cui la Certosa in modo particolare ne è storico contenitore, non compaiono segni di religiosità, ma al contrario simboli riguardanti gli studi e la professione del defunto, con eventuali segni di appartenenza alla libera muratoria. Altra variante di questa tipologia, probabilmente rimasta allo stadio di idea, è pensata da Giuseppe Fancelli in un pregevole disegno acquerellato, anche questo conservato nelle collezioni Carisbo.
Alla quarta tipologia di monumento funebre al centro di una composizione architettonica absidata corrisponde il monumento eseguito nel 1803 dall’ornatista Petronio Rizzi e dal figurista Bartolomeo Valliani al celebre medico Carlo Mondini, emerito professore di Anatomia che successe al Galvani. Con gusto tardo settecentesco la figura dolente della Medicina, drappeggiata all’Antica, è posta su una scalea accanto al basamento di un obelisco, monumento collocato in un’abside il cui catino è aperto superiormente. La struttura portante sorretta da colonne e capitelli in stile ionico, molto utilizzato insieme ai festoni e alle greche nella Francia pre-rivoluzionaria. Il muro di fondo è movimentato da nicchie in chiaro-scuro. Questo è uno dei pochi monumenti che presenta la croce come simbolo religioso che assume, col sottostante medaglione con profilo del Mondini ancora in parrucca, una simbolica valenza di geroglifico. Nelle varianti di questa impostazione di architettura absidata si possono ricordare i monumenti di Giovanni Fabbri e di Sebastiano Tanari affetto da incontrollata fantasia. Per la tipologia di un monumento collocato in un’abside bisogna attendere la colta e calibrata inventiva di Pelagio Palagi il quale espresse i suoi talenti per il monumento a Girolamo Bolognini Amorini.
Alla quinta tipologia di memoria funebre, come impianto di facciata, corrisponde quello atipico per Girolamo Legnani che si rifà a partiture architettoniche e decori egizi, però stranamente abbinati a retrostanti murature a conci con fughe, tipiche del manierismo cinquecentesco. Due telamoni abbinati a colonne spezzate sostengono, col copricapo egizio, un architrave arricchito nella cimasa da due sfingi. L’interno del vano è caratterizzato da una profonda scalea di sei gradini dove un sarcofago di tipo romano, addobbato con festoni, è posto in un arcosolio. La piccola croce graffita posta nel fronte del sarcofago fu, probabilmente, eseguita nel periodo della Restaurazione, per addolcire l’evidente lessico decorativo massonico.
Vincenzo Lucchese
Testo tratto dal catalogo della mostra "Luce sulle tenebre - Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna", Bologna, 29 maggio - 11 luglio 2010.