Salta al contenuto principale Skip to footer content

La tecnica della pittura tra fine settecento e primi ottocento

1780 | 1850
Luigi Lolli

Dettagli

La nascita dell'Accademia di Belle Arti rappresenta non solo un momento fondamentale nella storia della pittura italiana tra Sette e Ottocento, una rivoluzione nell'organizzazione culturale delle arti visive ma ancora l'instaurazione di una prassi radicalmente nuova di tramando del sapere artistico. La relazione interna alla bottega artigiana del Rinascimento, il rapporto maestroallievo, si viene trasformando in funzione aperta, nel moltiplicarsi delle influenze su di uno stesso soggetto. Riguardo al solo aspetto tecnico della pittura, la certezza pragmatica che derivava dall'osservazione e dall'insegnamento diretto del maestro diviene ora raccolta e compendio delle più varie esperienze. Ciò che sino alla fine del XVII sec. resta relegato nel chiuso delle botteghe, nelle fitte pagine dei manoscritti più o meno segreti, è ora argomento di pubblica disquisizione sulle pagine di quei giornali che la nascente industria culturale andava spargendo per ogni dove'. La riproposta degli antichi trattati, dei libri di ricette, dei dizionari di pittura e la nascita o rinascita di una specifica manualistica tecnica testimoniano la vastità sempre crescente di interesse del pubblico dei nuovi artisti, ivi compresa la grande schiera dei dilettanti di pittura'.

L'Accademia diviene il luogo privilegiato della conservazione delle opere e delle tecniche. Nelle Pinacoteche e nell'insegnamento didattico il perpetuarsi della tradizione non è pedante ripetizione di precetti ma continuo evolversi di pratiche differenti. Quali fossero all'interno delle varie scuole dell'Accademia gli insegnamenti tecnici forniti agli allievi è difficile da ricostruire: sono noti peraltro, da alcune lettere, la costanza e l'impegno profusi nell'attività in Accademia da Francesco Albèri, da Pelagio Palagi, e altri. La pratica della copia dall'antico posta in relazione alla nuova struttura della Pinacoteca era senza dubbio fondamentale: perifrasi di quel viaggio romano a cui di buon grado si erano sottoposti tutti i grandi artisti del passato. Alla copia del reperto archeologico si affianca ora con maggior decisione la copia dei «grandi classici »; il lungo percorrere le città, alla ricerca di quanti capolavori vi fossero disseminati, diviene lento procedere tra due ali di opere poste a confronto nei più austeri corridoi dell'Accademia.

Inevitabile quindi che, accanto al paragone formale, all'accostamento dei più vari stili, risaltasse e stimolasse anche la diversità delle rese materiche, le innovazioni tecniche, l'impasto delle diverse tradizioni. Certo all'allievo è richiesto non solo di fornire una copia conforme alla composizione originale ma ad essa simile anche per risultato tonale; già nel 1856 P. Selvatico afferma: «I più fra gli artisti, fino proprio si può dir jeri, trassero con lungo studio, diligenti copie da Tiziano, da Bonifacio, da Vandick e da quanti altri fra i vecchi maestri riuscirono migliori e più trasparenti nel colorito; ma pervennero poi essi ad imitarne bene quell'intonazione e soprattutto quella trasparente lucentezza? A dir il vero... non mi pare. M'avvenne il più delle volte di vedere queste copie appena finite, non discostarsi gran fatto dagli originali nella forza, ma non pareggiare la freschezza e la diafanità mai. Peggio andò la bisogna quando le rividi dopo un certo tempo. Allora mi comparvero come vuotate di colore, nere nelle ombre, opache nelle piazze luminose»(4). Jacopo Alessandro Calvi, nel suo discorso alla consegna dei premi dell'anno accademico 1808, metteva in guardia da quanti pericoli una prassi indiscriminata di questo copiare poteva procurare dal punto di vista tecnico: «Fa l'uopo però che le pitture che a ritragger si prendono siano ben conservate, e quanto è possibile di fresco e lucido colore, dacché il tempo assai spesso ne altera il chiaro-scuro, e le tinte, e più spesso ancora avviene che abbiano sofferto cangiamento dalle vernici, e dall'uso non mai abbastanza condannato del ripulirle; è parte del valoroso Precettore l'avvertire chi studia delle alterazioni prodotte da simili cause nelle pitture stesse...»(5). Anche tale pratica quindi si inseriva, come elemento complementare, nel più vasto dibattito sulla tecnica; o quantomeno l'incapacità di ritrovare i felici risultati dei grandi fungeva da stimolo alla ricerca. Ma l'aspetto più rappresentativo dell'intera situazione su cui riteniamo sia opportuno porre l'accento è la vastità delle nozioni tecniche a disposizione del giovane pittore a queste date: una nuova organizzazione del sapere stava dando i suoi primi frutti e permetteva di accorpare sotto una stessa definizione quelle centinaia di ricette e precetti sparsi qua e là dalla manualistica precedente. I tanti trattati di pittura che l'Accademia di Bologna si preoccupa di inserire in questo momento nella sua biblioteca formano una sorta di grande «corpus» informativo al quale tutti gli allievi, opportunamente selezionati, potevano attingere(6). E non si tratta solamente di scritti prodotti nell'ormai provinciale ambiente nazionale; la Francia in primo luogo e l'Inghilterra forniscono opere fondamentali per l'analisi delle antiche tecniche di pittura. Anche se inseriti in una tradizione di gusto più o meno generalizzata e che tende a limitare o bloccare ogni fermento innovatore, i quadri prodotti nell'ambito accademico si distinguono in particolare per la capacità dei loro artefici di riutilizzare nei modi più diversi le vare tipologie d'intervento sull'opera.

Lo stesso discorso può valere sia per quegli artisti che direttamente sono inseriti nella struttura dell'Accademia bolognese sia per coloro che intrattengono con essa rapporti univoci e saltuari. Quanto poi sia comune alle varie simili istituzioni delle maggiori città la problematica tecnica è testimoniato dai continui contatti, dal profondo desiderio di uniformarsi in modelli (7) sempre più affini. Pur non provenendo da uno stesso ambito culturale, anche i quadri esposti a questa mostra si prestano ad una lettura in chiave di matericità pittorica per la disparità dei risultati che ciascun pittore fornisce e per le caratteristiche superstiti ai numerosi interventi conservativi. Il quadro di Vincenzo Pizzoli Il Valore, Piccolo Premio Curlandese del 1822, a causa di un maldestro tentativo di schiarirne la superficie si presenta ora in alcune parti come se tale intervento avesse asportato, unitamente all'ultima vernice, anche la stesura definitiva dell'opera che forniva il modellato alla figura. La visione distorta che ci danno le parti «scoperte» e tecnicamente non convincenti può influire in maniera negativa nel giudizio critico. E lo stesso giudizio deve tenere conto che il dipinto, nella sua forma attuale, fu visto solamente dall'artista sul suo cavalletto durante l'esecuzione! Dall'analisi chimico-fisica di due campioni prelevati in zone integre e in zone ove questa stessa integrità veniva a mancare, si ricostruisce una rigorosa e minuziosa attenzione alla preparazione del dipinto: diversi strati di imprimitura bianca più o meno sottili e leggermente varianti per gradazione sono probabilmente serviti a fornire maggiore aderenza al supporto. Per la finitura, nella zona in cui questa è ancora presente, l'osservazione in fluorescenza ai raggi ultravioletti attesta la presenza di una sostanza non fortemente fluorescente, cioè di una miscela contenente non solo resine. Nel prelievo effettuato nella zona scoperta dalla pulitura compaiono debolissime tracce di quella sostanza negli incavi della pennellata (8). Il giudizio sull'opera sarebbe forse meno severo se il dipinto recuperasse la «sua» superficie e di conseguenza la rispettabile qualità degna del Premio Curlandese.

Nell'osservare La Vanità di Clemente Alberi, Premio Piccolo Curlandese nel 1823, molto ci aiuta sapere essere l'artista figlio del teorico Francesco Alberi, insegnante all'Accademia di Bologna dal 1803 alla morte nel 1836, e rinomato copista dall'antico. La scelta della tecnica per l'esecuzione di questo quadro e la convinzione che questa «maniera» di dipingere fosse la più duratura, certamente conseguita dall'imitazione e dallo studio degli antichi, ha prodotto una pittura tecnicamente scarna, semplificata, quasi povera. L'aspetto è decisamente opaco, senza diversità di lucentezza tra i colori che sono invece corposi, plasticati, privi di trasparenza. Nessuna traccia di vernice, originale o posteriore, dà la certezza che la visione dell'opera sia la stessa che dovette avere l'autore al momento della sua realizzazione. L'analisi chimico-fisica ha dimostrato che la preparazione alla tela è composta di colla animale, farina e pochissimo olio; su di essa è stesa la mestica rossa con legante olio; un colore verdastro con lo stesso legante ha trasferito un leggero ingiallimento al sovrapposto, visibile colore bianco (in questo caso bianco di piombo), più povero e quindi più secco. Tralasciando un leggerissimo strato grigiastro, riconosciuto «estraneo», e classificato come polvere e fumo, non è stata rilevata la presenza di vernice. L'Oreste inseguito dalle Furie di Luigi Basiletti del 1804, Premio Grande Curlandese, sembra rispondere pienamente a quella richiesta di finitezza prescritta proprio dal regolamento dei concorsi accademici. Questa superficie, ottenuta con velature opache, è di intonazione calda; se non si notassero, sparse in alcuni minuti frammenti, tracce di una vernice riconosciuta per le sue caratteristiche come originale e che ricopriva sicuramente tutto il dipinto, potrebbe apparire esente da mancanze. Dove tali frammenti sono ancora presenti l'intonazione dei colori è rafforzata per gli effetti stessi che una qualsiasi sovrapposizione di vernice provoca nei dipinti. Una lettura stratigrafica della sezione di materia del quadro (campione dal colore azzurro) consente di identificare ben otto debolissime sovrapposizioni: imprimitura ocra-arancio, preparazione bianca, strato nero (carboncino del disegno preparatorio), strato composto da due variazioni di azzurro, bleu chiaro ed infine una vernice resinosa molto fluorescente. La composizione di questa vernice era dunque tale da non permetterne una perfetta adesione al colore. Da qui, assieme ad una eccessiva rigidezza, la caduta spontanea. È inoltre stata rilevata la presenza, nell'opera di Basiletti come in quella del Pizzoli, di una sostanza proteica, forse uovo o latte o colla animale. Pur considerando le ovvie diversità stilistiche tra queste pitture, varrà puntare l'attenzione sul problema della vernice. Sotto la denominazione di «vernice» vengono comunemente indicate delle soluzioni o delle miscele di vari elementi (gomma, mastice, damar, sandracca, cera, albume d'uovo etc.) disciolti in solventi (il più comune dei quali è l'alcool nelle sue varie forme di spirito o di acquavite) ed uniti spesso con zuccheri o altre sostanze. L'azione della vernice sulla superficie dei quadri è schematizzabile in due funzioni: formare una patina o strato protettivo del colore salvaguardandolo da agenti esterni quali l'umidità, l'abrasione, la luce; fornire il dipinto di un «filtro» non perfettamente trasparente che tende ad uniformare il tono complessivo dell'opera, a rafforzare l'intensità dei colori scuri facendoli rientrare in profondità lasciando emergere i chiari, mutando a volontà in sostanza l'aspetto del quadro nel momento della sua definitiva ultimazione. Detta variazione tonale era accuratamente calcolata dal pittore, alla stregua di come era calcolata la previsione di una velatura terminale dell'opera.Avvertiva di ciò Selvatico: «... valendosi delle velature, importa molto prendere in considerazione le alterazioni degli olii e delle vernici. Giacché sendo un effetto inevitabile che tali sostanze ingialliscano più o meno col tempo, è forza prendere quelle precauzioni che possano far apparire il meno possibile questo ingiallimento... ed inoltre che lo ingiallimento naturale delle sostanze oleose e resinose sia calcolato nella tinta della velatura...» (9).

La funzione protettiva delle vernici, entrata pienamente in auge con la nuova politica conservativa delle Accademie e delle Pinacoteche, specie dopo il rientro dalla Francia dei quadri asportati nelle campagne napoleoniche (10), è già causa di dibattito in un quesito posto al Beccadelli, segretario accademico, il 26 giugno 1794: «... se il cristallo rechi danno o vantaggio all'Opera dell'Arte, e se piuttosto sia di maggior profitto o rechi nocumento l'uso che si va introducendo delle vernici qualunque esse siano...»(11). Ma ben maggiori sono le perplessità che vengono sollevate a proposito del progressivo ingiallimento delle vecnici e della loro funzione equilibratrice. Giudicando un quadro di G. Guizzardi nel 1808, la Commissione Permanente dell'Accademia per la conferma del pensionato a Roma formata da Calvi, Pedrini e Frulli, dichiara: «... in quanto al colorito, si nota, che avendo l'autore dipinta l'aria, o sia il campo di tinta un poco ferrigna, ha dovuto per accordo spargere della tinta medesima ancora gli altri oggetti, il che non si vorrebbe...»(12). Ancora negli stessi anni i giudizi della Commissione Permanente paiono schierarsi contro l'eccesivo uso delle vernici: «... i giudici desiderando un disegno più corretto e meno abuso di vernici nel dipingere...»(13) e, nel 1807 «... quest'opera per essere di un giovane che da poco tempo si esercita nel dipingere... dovendosi annotare i difetti principali... La massima del colorito è buona, ma resta monotona e per il troppo uso delle vernici qualche volta basso e alquanto stentato»(14). Ma nel contempo viene egualmente criticato un quadro che sarebbe stato meritevole di premio se: «... così non fosse tagliente ne' contorni, duro, freddo, e stonato nelle tinte...»(15). I quadri prodotti nell'ambiente accademico bolognese o inviati per i numerosi premi annuali istituiti dalla stessa Accademia presentavano quindi spesse volte una vernice finale o velature tonali a vernice. Oltre che desumibile dai giudizi sopra riportati, questa realtà è ricostruibile anche da alcune lettere che gli stessi concorrenti inviavano all'Accademia in accompagnamento delle loro opere; Elisabeth Vigée Le Brun così infatti scriveva (con una «grammatica» tutta particolare) nel 1792 a Domenico Piò: «... Jai l'honeur de vous prevenir que mon petit tableau n'a point de Blanc-d'oeuf [bianco d'uovo], il nestou pas assez, sec Je vous prirez donc Monsieur de vouloir bien en faire metre un par un artiste; 8 jours apres qu'il sera arrivé a Bologne. Voici la maniere de l'arrangé. C'est d'avoir un Blanc d'oeuf y metre un demie petite cuiellire [cuillère] d'eau devie [acquavite] avec un monceau de suc en die [«sucre candi», zucchero candito] gros comme une noisette, sil sen trouve a Bologne, Bâtre le tout ensemble jusqu'a quel faxe mouse ensuite prendre une éponge propre, pour etaler egalement le Blanc d'oeuf sur le tableau sil ny a point de suc-en-die ny eau de vie alors batté seulement le Blanc Doeuf.

Conosciamo infine anche le modalità secondo le quali le opere erano spedite dagli autori sino alla destinazione: «... detto quadro è contenuto in una cassa di legno longa quanto l'altezza del medesimo, il quale sta arrotolato sopra un cilindro che intrando in due buchi fatti nelle due teste della cassa resta sospeso di maniera a non essere logorato dal strofinamento contro i lati della cassa...»(17).Logico quindi pensare che in alcuni casi la vernice terminale dell'opera fosse data al momento della sua completa essicazione ed in ogni caso dopo che l'opera fosse giunta a destinazione. Pur non essendo probanti in maniera definitiva le relazioni che materiali archivistici ed esami chimici paiono saper ricostruire, comunque impegnano il conservatore: la presenza di vernici o di olii ingialliti non voglia essere più considerata in tutti i casi come elemento di puro disturbo alla visione dell'opera, ma anche quale possibile risultato di un processo naturale e proprio della pittura, in questo momento. Sono questi gli anni in cui la ricerca ed il dibattito sulla tecnica pittorica raggiungono la massima intensità per poi velocemente spegnersi: l'avvento del purismo e della nuova pittura nella seconda metà del XIX secolo affosseranno dietro a ben altri problemi la faticosa ricerca dell'antica prassi. Né i vari movimenti Preaffaelliti e Nazareni sapranno far rivivere con eguale intensità tale dibattito.Riconoscere però una equivalenza tra quanto tramandato dai vari manuali e trattati manoscritti e ciò che viene praticamente realizzato dai pittori d'accademia in questo periodo significa dover rivedere sia la validità di queste informazioni sia la stessa considerazione critica riguardo alle opere ed alla loro vita passata.

Mirella Simonetti, Marco Sarti, Silvia Baroni, Camillo Tarozzi

NOTE | 1) La polemica suscitata dalle affermazioni di Filippo Hackert sull'uso delle vernici è ampiamente riportata nel Giornale di Belle Arti fra il 1787 e il 1878. 2) Biblioteca Universitaria di Bologna, ms. 40831: D. Giovanni Lambertini, Vari Secreti Raccolti ed esperimentati da D: G: L: con molta pena e non poco dispendio..., s.d.; ms. 408311; D.Giovanni Lambertini, Raccolta di varie ricette spettanti alle arti..., Bologna, 1794; ms. 4083111, s.l., s.d.; ms. 945, Ricette per pittori,, s.1., s.d. 3) Tra gli innumerevoli trattati e manuali quelli che riguardano più da vicino gli argomenti qui di seguito trattati sono: G. B. ARMENINO DA FAENZA, Dei veri precetti della pittura, Ravenna, 1583 (ed. cons. Pisa, Capurro, 1823) cap. IX, p.136; F. BALDINUCCI, Vocabolario toscano dell'arte del disegno..., Firenze, Santi Franchi, 1681, in particolare voce «Chiara d'uovo» p. 32, voce «olio di sasso» p. 110, voce «vernice» p.176; P. A. ORLANDI, Abecedario Pittorico, Bologna Lelio della Volpe, 1704, (ed. cons. Bologna, 1719) in part. «vernice per i quadri» p. 483; F. BONANNI, Trattato sopra la vernice detta comunemente cinese, Roma, 1720 (ed. cons. Bologna, Lelio della Volpe, 1786) in part. «Delle vernici Chiare» Cap. IV, p. 24; F. HACKERT, Lettera a Sua Eccellenza il Sig. Cav. Hamilton... sull'uso della vernice nelle pitture (20 Dicembre 1787), Napoli, 1788, ristampata nel «Giornale delle Belle Arti», Roma, 1788, pp.255-261 e 263-265, ed. a Perugia, 1788; Segreti concernenti le arti ed i mestieri, traduzione italiana sull'ultima ed. francese, Milano, Giovanni Silvestri, 1822, voce «Vernice per quadri» vol. I, p. 37; P. L. BOUVIER, Manuel des jeunes artistes et amateurs en peinture. 3.e. edition, Suivie de l'Art de restaurer les vieux tableaux, Strasbourg, Berger-Levrault, s.d. (ma 1827), in part. «Manière de préparer le Blanc d'oeuf et de l'appliquer», p. 548; J. N. PAILLOT DE MONTABERT, Traité complet de la peinture, Paris, Bossange, 1829, 9 voll., in part. Tom. IX «De la Peinture au vernis», cap. 592, pp. 395 e segg.; G.BONOLIS, Dell'Arte Pittorica... opera postuma di G.B., Napoli, Federico Vitale, 1851, (la redazione è anteriore di alcuni anni), in part. pp. 5 e 40, e «Delle Velature», pp. 47-50; P. SELVATICO, Considerazioni sulle pratiche del disegnare e del dipingere..., in «Storia estetico-critica delle arti del Disegno...», vol. II, Venezia, Pietro Naratovich, 1856. 3 bis) Il ben noto autore del «Discorso sul disegno» (PADOVA, Zanon Bettoni, 1810) e delle «Teorie dell'arte pittorica» (BOLOGNA, Sassi, 1833); fra le «Lettere sparse» dell'Archivio dell'Accademia di Bologna, se ne trova una sua (21 giugno 1806) assai significativa al proposito: egli chiede di essere sostituito, suo malgrado, nella «Commissione per la pubblica distribuzione dei premi», «... giacché io sono in ogni giorno, e segnatamente verso il mezzogiorno, tenuto di andare nella Galleria di San Vitale per assistere un Giovane che dipinge, non potendosi tralasciare di dare i necessari ritocchi al dipinto che viene dallo scolaro eseguito, poiché mediante la calda stagione nel giorno seguente è asciutto». 4) P. SELVATICO, Considerazioni sulle pratiche del disegnare..., in «Storia estetico-critica delle Arti del Disegno...», vol. II, Venezia, 1856, p. 69. 5) J. A. CALVI, Discorsi letti nella R. Accademia di Belle Arti di Bologna per la solenne distribuzione dei premi di seconda classe, Bologna, 1838, p. XLVI. 6) Carte e lettere concernenti l'invio di «Cataloghi» ed «elenchi» di libri e stampe alla Biblioteca dell'Accademia, e le note (dal 3 agosto 1799 al 1° luglio 1801) del Bibliotecario D.G. Albini, sono conservate in varie Cartelle s.n. dell'Archivio della stessa (ad esempio, la corrispondenza intercorsa nel 1806 fra Raimondo Bianchi, Negoziante di libri a Roma, e lo scultore Giacomo Rossi - che aveva importanti incarichi nell'Accademia -, nella Cartella Lettere del Generale Marsili: vi si trovano citati numerosi testi di ««tecnica» e «cultura» artistica, come quelli di Vitruvio, Alberti, Scamozzi, «Iconografia» di Cesare Ripa, Lomazzo, Lami, Pàsseri, Piranesi, Mitelli, Orlandi, Lacombe, Fratrel, Pernety, Requeno, Watin, ecc.). 7) "A.S.B., Fondo Accademia Clementina, Busta 31, Premio Curlandese 1786-7 - Regolamenti per il Concorso. Nella stessa «Busta» sono contenuti i «Regolamenti» per i premi delle Accademie di Parma e Venezia. 8) Le analisi chimiche qui riportate e di seguito citate sono state eseguite dai Dottori Matteini e Moles, del Laboratorio di analisi chimica del «Gabinetto di Restauro dell'Opificio delle Pietre dure» di Firenze. 9) P. Selvatrico, o.c., p. 73. 10) Sull'introduzione dell'uso delle vernici e sulle impressioni provocate dal rientro dei quadri dalla Francia, vedi anche A. CONTI, Storia del restauro, Milano, Electa, s.d. (1973). 11) "Lettera «Dalla Casa del Sig. Caturaghi lucchese al Collegio di S. Luigi il 26 Giugno 1794» destinata al Segretario dell'Accademia, Beccadelli. In Biblioteca Acc. di BB.AA. di Bologna, «Lettere varie», Cartella s.n. 12) Arch. Acc. BB.AA. di Bologna, Cartella «COMMISSIONI PERMANENTI, 1808» (voto sopra il quadro di Giuseppe Guizzardi Teseo, con Piritoo...). 13) Arch. Acc. BB.AA. di Bologna, Cartella «COMMISSIONI PERMANENTI», Estratto dei voti della Commissione Straordinaria pe' Giudizi de' Concorsi grandi, s.d. 14) Arch. Acc. BB.AA. di Bologna, Cartella «COMMISSIONI PERMANENTI», Bologna, Maggio 1807. 15) Arch. Acc. BB.AA. di Bologna, Cartella «COMMISSIONI PERMANENTI», Estratto dei voti..., cit. 16) Arch. Acc. BB.AA. di Bologna, Cartella II, 107: «De Parme le 1 Juillet 1792», segnalata e in parte trascritta da S. ZAMBONI, in «L'arte del Settecento Emiliano. La pittura. L'Accademia Clementina», Catalogo della Mostra, BOLOGNA, Alfa, 1979, p. 297, scheda 540. 17) Arch. Acc. BB.AA. di Bologna, Lettera di Raffaello Antonio Callieno, da Milano, il 28 Aprile. 18) 07: Cartella non segnata.

Teasto tratto da "Per la conoscenza tecnica della pittura fine settecento e primi ottocento", in "I Concorsi Curlandesi, Bologna, Accademia delle Belle Arti 1785-1870", catalogo della mostra, 1980.