Schede
Premessa | Leggere la storia dell’Unificazione italiana attraverso la presenza sul territorio di monumenti minori ed epigrafi, urbane o cimiteriali, erette in copiosissima quantità nel primo cinquantennio di vita del paese: è quanto ci proponiamo in questo breve intervento. Esistono studi per i monumenti più rilevanti, soprattutto se opera di artisti prestigiosi, ma le scritture lapidee della provincia italiana, le epigrafi cimiteriali, le memorie decorate di piccoli busti, di bassorilievi o di semplici ornati, spesso realizzati da artigiani o scultori locali, non sono mai state adeguatamente indagate. Al massimo sono state elencate, descritte o fotografate da quella benemerita schiera di studiosi e appassionati locali che dedicano il proprio tempo libero alla raccolta delle memorie della terra che li ha visti nascere. Possiamo così trovare, per quello che riguarda l'epopea del Risorgimento, volumi, articoli o censimenti dedicati alle lapidi di una specifica città, o agli uomini illustri di un paese o di una provincia, o raccolte dedicate a Giuseppe Garibaldi, l'Eroe italiano per eccellenza, ma non abbiamo nulla di simile alla messe di studi dedicati in ogni epoca all'epigrafia antica.
Eppure «c'è, nelle strade, nelle piazze, nelle aule dei Consigli, nei civici saloni, negli alti vani dei palazzi di rappresentanza... una vera galleria di pagine materiate di pietra» (Raffaelli, 1982). Infatti, «se il monumento è una narrazione di pietra anche perché prescinde dalla comunicazione verbale o casomai accoglie la parola scritta in forme estremamente essenziali, le iscrizioni affidate alle lapidi offrono possibilità più ampie e restituiscono un panorama concettualmente più articolato.» (Cecchinato, 2007). In alcuni casi, questa narrazione diviene ‘corale’: in alcune città, infatti, le amministrazioni ed i cittadini scelsero di dedicare alla propria memoria storica intere aree, in genere logge o porticati presso i palazzi comunali, raccogliendo in un unico luogo, nel corso del tempo, epigrafi e busti dal Risorgimento al secondo conflitto mondiale, legati da una ideale continuità civile e morale: è questo il caso di Medicina, di Forlì, del palazzo comunale di Bologna, e di tante altre località grandi e piccole. In sintesi, «la pubblica iscrizione lapidaria, l'epigrafe è stata il classico modello di rappresentazione, di testimonianza cui è naturalmente ricorso lo spirito nazionale unitario, per dare compimento a un dovere di omaggio alla nuova storia, oltre che a soddisfare una esigenza di consolidare, con la consacrazione d'una dedica ispirata e solenne, il nuovo assetto delle cose» (Raffaelli, 1982); l’epigrafe, che è dunque già per sé stessa celebrazione, perché colui che la detta ha già metabolizzato il significato degli eventi e ne estrae un esempio da additare al pubblico, può essere una chiave di lettura della nostra storia. In questa indagine utilizzeremo come riferimento base il volume che Adler Raffaelli realizzò nel 1982, L'Unità d'Italia nelle epigrafi di Romagna, schedando e trascrivendo le 385 epigrafi romagnole dedicate al Risorgimento presenti all'epoca nei 66 comuni della Romagna, «una Romagna che comprende le due provincie di Forlì e Ravenna (oggi sono tre, dopo la scissione riminese avvenuta ormai circa vent'anni fa, n.d.a.), la Repubblica di San Marino, tre comuni della Romagna toscana, due comuni del ferrarese, i comuni romagnoli del comprensorio imolese, i territori del Montefeltro: una Romagna abbondante...» (Raffaelli, 1982). In questa lettura per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, abbiamo aggiunto le lapidi realizzate negli ultimi trent’anni, quelle presenti sul territorio bolognese, e le epigrafi di ambito cimiteriale, sempre legate al Risorgimento, altrettanto importanti e chiarificatrici.
A celebrazione del Risorgimento: lapidi cittadine e lapidi cimiteriali | Lapidi cittadine | La decisione di dedicare lapidi a celebrazione dei protagonisti del Risorgimento italiano venne presa sia a livello locale che nazionale subito all'indomani dell’Unificazione, e la mania monumentalistica si intensificò fortemente negli anni successivi, in occasione degli anniversari degli eventi, fossero essi nazionali o locali, vittoriosi o no, ma che andavano assumendo sempre più spesso una valenza politica, anche in concomitanza con le sempre più frequenti morti dei protagonisti, inevitabilmente legate a ragioni anagrafiche, che man mano ci si sentiva in dovere di celebrare. La scelta del manufatto lapideo fu sicuramente dovuta ad un fattore economico (erano alla portata di qualunque amministrazione, anche piccola, e anche di Associazioni, gruppi di pensiero, organizzazioni politiche o partitiche, ecc., che, sempre più numerose, intendevano proporre la propria lettura della recente storia), ma anche politico: più «mimetiche» dei monumenti, permettevano una trattazione più ampia ed articolata delle tematiche che, soprattutto ai committenti non istituzionali, stavano profondamente a cuore: Giovane d'ingegno d'animo di cuore / per la Libertà dell'Italia patì carcere esiglio / accorse volontario / e valorosamente combatté nelle guerre lombarde / fu de' Mille a Marsala / e ne' fatti d'arme che ne seguirono / s'acquistò il grado di Maggiore / col quale entrò nell'Esercito Regio / fregiato dell'insegne dell'ordine equestre di Savoia: / nell'auge degli onori e delle speranze / per caduta da cavallo miserabilmente perì in Novara /... (A Ignazio Simoni, Medicina)
Ecco così che a decine, centinaia, migliaia, le lapidi in memoriam iniziarono a popolare l’Italia di fine Ottocento. Così, celebrando i luoghi di un evento, le idee, le persone, si poteva mettere in atto quel tentativo di «pedagogia patriottica» che era oramai negli intenti generali tra gli anni ‘80 e ‘90 del XIX secolo, e di cui in tempi recenti si è spesso scritto: L’Italia unita era una realtà da un ventennio: all’entusiasmo dell’epoca dei plebisciti, che aveva destato una diffusa ammirazione anche all’estero, era subentrato lo sguardo preoccupato sugli enormi problemi che presentava la costruzione del nuovo stato nazionale. Negli anni Ottanta, la necessità di accelerare la nazionalizzazione degli italiani fu acuita da una serie di fenomeni congiunturali: tra questi, la crisi economica, i cambiamenti politici avviati con l’ascesa della Sinistra storica e quelli indotti dalla nuova legge elettorale del 1882, la scomparsa dei ‘grandi uomini’ che avevano fatto l’Italia, con la conseguente crescita del divario psicologico rispetto alla tensione ‘eroica’ degli anni delle lotte per l’indipendenza. Tutto ciò, e altro ancora, spingeva a vedere nell’uso della memoria risorgimentale una risorsa potente di affermazione politica di legittimazione simbolica e di pedagogia patriottica. Non si trattava di un’operazione sbocciata all’improvviso. Già nei decenni precedenti la rivisitazione del passato recente era stata al centro di una attenta politica della memoria, gestita sia dagli storici e dai funzionari sabaudisti, sia, sull’altro versante politico, dagli ambienti del mondo radicale. Tuttavia, fu soprattutto negli anni successivi alla morte di Garibaldi (2 giugno 1882) che lo sforzo celebrativo conobbe una marcata dilatazione, grazie anche alla presenza più diretta ed incisiva delle istituzioni (M. Baioni, p.7)
Il protagonista assoluto di questo mito in evoluzione fu Giuseppe Garibaldi: In questo luogo / il dì XXIII sette. dell'anno MDCCCLIX / seco portando da Ravenna / ai tardi onori del sepolcro / le ceneri della sua ANNITA / GIUSEPPE GARIBALDI / parlò al popolo di Medicina / e gli raccomandò pace e concordia / nel sacro nome d'Italia // Il Municipio / perché il ricordo dell'eroe / e l'ammaestramento delle sue parole / glorioso benefico / duri in perpetuo / pose / l'anno MDCCCLXXXIII (Medicina).
Ovunque Garibaldi fosse passato, in municipi o case private, si sentì il bisogno di darne testimonianza, e lo fecero amministrazioni e associazioni ma anche privati che ritenevano motivo di orgoglio ricordare ai concittadini ed ai posteri che lì, proprio in quel luogo, fra quei muri, il Generale era passato, aveva sostato, riposato, si era rifocillato o aveva esortato alla lotta: Nell’anno MDCCCXLVIII / GIUSEPPE GARIBALDI / dimorò il 10 e l’11 novembre in questo pubblico albergo / sempre con l’animo e con le parole / eroicamente inteso / alla redenzione della patria / la Società dei Superstiti delle Guerre per L’Unità d’Italia / a ricordanza in perpetuo / p.a. MDCCCLXXXV (Bologna, Hotel Brun, oggi Galleria del Toro)
Le epigrafi, talvolta descrittive, assumevano altre volte toni quasi messianici: GIUSEPPE GARIBALDI / Incarnazione sublime del genio nazionale / sentì nella Patria l’Umanità / Dio nel Popolo / l’azione nel pensiero. / Qui la sua apparizione il 16 ottobre 1859 / sollevò schiere di giovani a votarsi alla morte / per distruggere la tirannide sacerdotale / Il Municipio 20 settembre 1895 (Mondaino, Municipio). 4 luglio 1907 / Il cuore dei popoli / più che la parola incisa / trasmetterà nel tempo / il nome di GIUSEPPE GARIBALDI / simbolo / di redenzione di eroismo di gloria. / La Democrazia pennese (Pennabilli, vecchio Municipio).
Altrove, il suo nome veniva affiancato al compagno-nemico di tante lotte, Giuseppe Mazzini, che nelle province romagnole è stato immortalato in centinaia di monumenti, a testimonianza di una fede repubblicana mai sopita sino allo scadere del XX secolo: GIUSEPPE MAZZINI - GIUSEPPE GARIBALDI / Pensiero e azione / insieme congiunti / divinando la nuova Italia / resuscitando l’antico valore / crearono la Patria una / obbligo degl’Italiani / il farla degna dei precursori. / La Democrazia agatese / ricorda in questo marmo / il Grande Dovere / XXI Giugno MDCCCXXXV (Sant’Agata Feltria, Municipio, Testo di Aurelio Saffi)
Non mancarono anche, soprattutto all’approssimarsi del nuovo secolo, esempi diversi: le motivazioni patriottiche e celebrative vennero spesso affiancate a motivazioni di lotta e rivendicazione sociale, nella celebrazione di uomini che in fondo erano 'scomodi' per la casa regnante. E’ il caso del ricordo dedicato ad Andrea Costa a Pieve di Cento: con pieno gusto Liberty un busto al vero del Costa, non eroe delle battaglie per l’Unità ma paladino della rivendicazione sociale, sormonta una lapide con epigrafe e con la presenza simbolica di un operaio che gli offre la palma della vittoria, e nel testo epigrafico riprende e rinnova i temi cari soprattutto a quella parte del mondo garibaldino che in particolare dopo la campagna dei Vosgi del 1870-71 trovò un naturale sbocco nelle lotte sociali: Andrea Costa / agitatore – tribuno – legislatore / dalla piazza al parlamento / sempre nobilmente affermò / il novo diritto delle genti / integrando / l’idealità rivoluzionaria / alle operose conquiste civili / evolventisi / ai fatali destini della storia / La democrazia di Cento / nel suo nome auspicando alla / fratellanza dei popoli redenti / nella giustizia sociale / lo ricorda ai nepoti / ad esempio di augurio e speranza / MCMXI / Veritas / Vita (Piazza di Pieve di Cento).
Il caso: Rimini | Tra epigrafi urbane e memorie cimiteriali Rimini è il perfetto esempio di come i due «mondi» insieme possano raccontare l’intera epopea risorgimentale, ricordare le virtù civiche e militari dei protagonisti, i grandi eventi e le piccole storie, i grandi eroi, i combattenti, i ‘simpatizzanti’ che comunque hanno appoggiato o contribuito nel loro piccolo all’Unificazione, ma non solo. Abbiamo dunque memorie «pubbliche», ma fortemente politicizzate: La democrazia riminese / iniziatrice / la Federazione Giuseppe Mazzini / al suo grande cittadino / Giovanni Venerucci / operaio / affiliato alla Giovine Italia / fucilato a Cosenza il 25 luglio 1844 / compagno nel martirio / dei fratelli Bandiera / caduto / nel luminoso labaro / Unità italiana e Libertà (Rimini, Palazzo dell’Arengo)
e altre che uniscono le glorie militari e garibaldine, le virtù civili, le benemerenze economiche e la genialità dei primi promotori delle glorie turistiche della Rimini balneare: Al conte commendatore / Ruggero Baldini / … / auspici i veterani 1848-70 / posero i riminesi / … / memori che a Cornuda a Vicenza / combatté da prode nel nome d’Italia / non dimentichi dell’impavida pietà / onde l’anno 1855 / nel Lazzaretto / affrontò le stragi del colera / … / provvide che la sua diletta città / fiorisse prospera e civile / nella gran patria italiana / fondò lo Stabilimento Bagni (Rimini, Palazzo Baldini, Piazza Tre Martiri)
e le memorie più familiari, che sulle lapidi cimiteriali rammentano alla pietà dei visitatori i medesimi concetti: «… Patriota ardente e modesto / combatté con Garibaldi / le battaglie liberatrici / ed ebbe gloriosa ferita al Volturno / da piombo borbonico...» (Aristide Perilli, Cimitero di Rimini); «Saldo popolano / volontario dell'Eroe /... / consigliere municipale...» (Biagio Orioli, Cimitero di Rimini); «L'esempio del padre / cospiratore e proscritto / non fu vano per / Giuseppe Banzola / Camicia rossa sul Volturno e a Mentana / Bersagliere a Custoza / che alla fede pugnace congiunse / ogni virtù morale e civile / eroe quasi adolescente nel 1860 / ferito, decorato, prigioniero nel 1866 / seguace di Garibaldi sino all'estremo nel 1867 / vittorioso apparve / anche nell'ora della sconfitta» (Giuseppe Banzola, Cimitero di Rimini)
Lapidi e monumenti cimiteriali | «Entrare in città è come entrare, quasi direi, in quelle tombe, città e tombe hanno la medesima forma, sono circondate dallo stesso silenzio, sono abitate su per giù dallo stesso popolo». Così scriveva Jules Janin nel 1838, con evidente ironia nei confronti della città dei vivi, nel diario relativo al suo viaggio bolognese. E’ una definizione che può adattarsi perfettamente ad una realtà più ampia: sono infatti, come detto, gli anni in cui, in virtù dello scorrere del tempo e della graduale scomparsa dei protagonisti degli ‘anni eroici’, all’interno dei cimiteri italiani compaiono sempre più numerose le epigrafi in memoriam, dotate di caratteristiche simili a quelle cittadine, eppure profondamente diverse: se infatti lungo le piazze e le strade delle città il linguaggio era necessariamente moderato e controllato, con una sorta di auto-censura solo raramente non esercitata, nei cimiteri, nelle sepolture private, nelle tombe di famiglia o, più raramente, in piccole memorie collettive dedicate alle vittime di un preciso evento, tali freni e controlli censori potevano essere evitati, rimossi, o non esercitati. Esistono anche casi «anomali»: ad esempio a Lugo la città dei vivi e la città dei morti propongono al visitatore la medesima epigrafe, dedicata a Francesco Piccinini, patriota e poi vittima di una faida politica che all’epoca infiammò le fazioni mazzianiana e socialista rinfocolando rancori ed odii profondi e diffusi un po’ in tutto il territorio romagnolo: Propugnò / la libertà della nazione / nelle battaglie / dal 1859 al 1867 / la libertà della ragione umana / nelle relazioni domestiche religiose e civili / col pensiero e cogli atti / da per tutto e sempre / aveva cominciato a propugnare / con le Associazioni del lavoratore d'ogni nazione / la libertà della plebe / quando / ferri omicidi e cuori bestiali e menti selvagge / la sera del 2 maggio 1872 / spegnendolo a tradimento / involavano / … / la vita trentenne di lui / buono innocente acceso del bene / banditore di concordia e di pace / amatore del popolo e degli uomini tutti / i fratelli i compagni gli amici / questa memoria posero / segno di amore e dovere / e d'infamia perenne / agli assassini traditori vigliacchi / G. Carducci
Il sentire comune del tempo vedeva ancora nel cimitero il luogo della memoria collettiva, del ricordo eterno delle virtù della persona; si può spiegare in tal modo la ricchezza epigrafica e artistica presente in tutti i cimiteri, da quelli dei grandi centri urbani fin nei piccoli paesi isolati. Oggi il sentimento comune è profondamente cambiato, teso in genere al ricordo personale; non si sente la necessità di dedicare al visitatore un ricordo biografico edificante, di additargli un esempio da seguire, sentimento che invece era alla base dell’istituzione dei cimiteri moderni seguita all’editto napoleonico di Saint-Cloud del 1804. Quell’editto affrontava in primis la questione igienica; ma i legislatori ritennero opportuno individuare un luogo specifico dedicato a chi in vita si fosse «distinto per virtù, per dignità o per qualsivoglia maniera di studi e di arti» (Giordani, 1828). Nel manifesto del 1801 che informa la cittadinanza felsinea dell'istituzione del Cimitero (ricordiamo che il cimitero bolognese della Certosa venne aperto appunto nel 1801, tre anni prima dell’editto francese), si legge che «le stesse pubbliche rappresentanze avranno cura, che quei chiostri maestosi si adornino in avvenire di monumenti consacrati alla virtù, ed alla riconoscenza dei cittadini» che verranno onorati come gli «Scevola, i Curzj, gli Attilj, i Deci Cisalpini». Seguendo questi principi fu decisa la realizzazione di un Pantheon dei cittadini illustri: Bologna ne iniziò la costruzione nel 1821, e fece la scelta di onorare laicamente i propri illustri defunti. Analoga scelta venne fatta a Forlì, dove l'austera architettura progettata da Pietro Camporese il Giovane nel 1867, e completata vent’anni più tardi da Gustavo Guerrini ripropose in scala una fedele copia del Pantheon romano. Al suo interno le memorie hanno un taglio decisamente laico, e spesso elementi decorativi a corredo dei busti propongono ideali politici coerenti con le amministrazioni pubbliche al governo della città. E’ il caso della mensola che sorregge il busto di Aurelio Saffi, decorata con i simboli di derivazione giacobina fatti propri nell’Ottocento dall’ambito mazziniano: fascio littorio e berretto frigio a rimarcare una continuità di valori tra Rivoluzione francese, Repubblica Romana del 1849 (di cui Saffi era stato triumviro insieme a Mazzini) e mazzinianesimo post-unitario.
Le epigrafi e i monumenti dedicati al Risorgimento vengono però eseguiti dopo la metà del XIX secolo e allo spirito razionalista d’età napoleonica viene sostituendosi l’irrazionalità, il senso della perdita e in generale lo slancio sentimentale di età romantica. Non è questione solo di parole ma anche di lingua. Alle colte epigrafi latine di inizio secolo, a partire dagli anni ‘40 si sostituisce l’italiano. L’uso del latino in date posteriori non è mai casuale: nel maestoso monumento dedicato nel 1864 nella Certosa di Bologna ad Antonio Bolognini Amorini sia l’impianto classicista delle sculture di Stefano Galletti sia l’epigrafe diventano espressione dell’aristocrazia conservatrice. A pochi metri di distanza si trova la tomba di Letizia Murat Pepoli su cui campeggia il colossale ritratto del padre Gioacchino, firmato da Vincenza Vela nel medesimo anno. Diversamente, e non casualmente, il verismo della rappresentazione marmorea si arricchisce della sintetica epigrafe in italiano «GIOACCHINO MURAT / RE DI NAPOLI / PROPUGNATORE DELL'ITALICA / INDIPENDENZA / FUCILATO AL PIZZO L'ANNO 1815». E’ forse il primo riferimento diretto alla nazione italiana scolpito in Certosa. Negli anni successivi tale richiamo comparirà in altre epigrafi, ma con meno assiduità di quanto ci si potrebbe aspettare (senza dimenticare che sino alla caduta del Governo Pontifico, avvenuta nel 1859, i testi delle epigrafi erano forzatamente auto-censurati, per evitare di incorrere nei rigori della legge). Questa relativa scarsità di frequenza della parola 'Italia' dopo quella data può forse ascriversi al sentimento, diffuso in particolare tra garibaldini e mazziniani, di considerare l’Unità del paese sorta dai plebisciti del 1859 e dalla proclamazione del Regno del 1861 ancora incompiuta e zoppicante, e soprattutto estremamente deludente per le loro grandi aspettative: «...apostolo della dottrina di Mazzini, egli morì col dolore supremo di non vedere compiuta la grande opera» (Tomba di Giuseppe Lama, Cimitero di Faenza), o ancora: « ...no non è questa l'Italia di Giuseppe Mazzini, non questa la madre cui prodigai la vita, l'idea del maestro immortale sopravvive e alimentata da nuovi sacrifici trionferà» (Tomba di Giacomo Rocca, Cimitero di Lugo). La parola democrazia è raramente utilizzata in queste memorie cimiteriali; tra le poche segnaliamo quindi l'epigrafe di Italiano Giacchieri nella Certosa di Bologna: «...tenne fede a viso aperto alla democrazia e dagli ottimati del Regno ne fu punito», che contiene anche una decisa condanna della nuova classe di governo.
Negli anni centrali delle battaglie per l'unità nazionale il decesso di personalità di primo piano che avevano contribuito al progresso politico e culturale negli anni della Rivoluzione francese e dell'impero napoleonico furono comunque occasione di ammonimento morale ai visitatori. Emblematico il monumento ferrarese dedicato a Giambattista Costabili, deceduto nel 1841, commissionato ad uno dei più importanti scultori italiani, Pietro Tenerani. L'impianto classicista non impedisce l'inserimento di elementi ormai veristici quali il severo ritratto seduto del defunto posto sulla sommità e il rilievo sulla base che rappresenta l'incontro tra Costabili e Napoleone per discutere dell'unione delle repubbliche. Anche le due figure allegoriche poste ai lati, Prudenza e Amministrazione civile, indicano una via da seguire, costituiscono un esempio morale. Tra i tanti esempi 'minori' di questo genere, il cippo dedicato a Giovanni Vicini (1771 - 1864) nel cimitero di Massa Lombarda, la cui epigrafe recita «...triumviro della cisalpina repubblica, filopatrida ardentissimo che nel MDCCCXXXI in Bologna vivificò l’italica libertà che da esoso potere respinta a lui recava persecuzione e bando...». Ruolo ancora diverso, eppure fondamentale dal punto di vista della «pedagogia patriottica» possono assumere poi le opere di grandi scultori collocate all'interno dei cimiteri, siano esse su tombe private o monumenti pubblici. Nella cappella Gregorini Bingham della Certosa di Bologna è ad esempio collocata una splendida Desolazione del patriota ticinese Vincenzo Vela. Realizzata nel 1875, la statua bolognese riprende un marmo del 1851 che rappresentava in modo romantico il dolore per le fallite aspettative patriottiche lombarde del biennio rivoluzionario. Antonio Fogazzaro le dedicò queste parole: «...ella non è una madre, non è un'amante, è il dolore stesso, è l'idea pura, fatta marmo, dell'universale dolore». Monito potente per il visitatore che oramai, a quasi vent’anni dall’Unificazione, non doveva più essere esortato alla lotta, ma ricordare ciò che la generazione precedente aveva patito e come aveva agito. Analogamente, il Monumento ai martiri dell'Indipendenza, ovvero il grandioso leone scolpito da Carlo Monari posto scenograficamente nel fondo di una grande sala della Certosa, assume un importante ruolo «didattico», anche se la sua collocazione, nel cimitero e non nella città dei vivi, fu al centro di grandi discussioni, e venne decisa per una curiosa ragione: il leone, simbolo di Bologna, non poteva rappresentare degnamente la città mostrandosi dolorosamente ferito dalle armi nemiche, ora che queste erano state definitivamente sconfitte e scacciate. A questa vittoria venne così dedicato il grande monumento al Popolano sulla scalea della Montagnola, in piazza Otto agosto 1848; all’opera di Monari si riservò invece il compito di commemorare i martiri del Risorgimento locale. Da qui la sua collocazione.
Nella ricognizione svolta in questi anni nei cimiteri locali si è potuto rilevare una evidente differenza tra quelli dell'area bolognese e quelli romagnoli. I primi, forse influenzati dall'esempio del capoluogo, propongono modelli più aulici, in cui anche il linguaggio delle epigrafi viene spesso piegato all'eleganza e resta generico e solo eventualmente allusivo a tematiche «scottanti». I cimiteri romagnoli invece conservano spesso memorie in cui il linguaggio risulta talmente netto da risultare quasi aggressivo, e anche memorie collettive volute da associazioni e confraternite rimarcano in maniera decisa la propria posizione morale e politica. L’appartenenza politica è spesso affidata non tanto alle parole quanto alle decorazioni (l’edera repubblicana) o alla scelta della fotografia del defunto (ritratto in camicia rossa garibaldina e medaglie). In un unico monumento funerario, tra quelli a nostra conoscenza, compare direttamente il così spesso evocato Giuseppe Garibaldi: è la tomba collocata nel cimitero di Bagnacavallo e dedicata a Vittore Lugaresi, che tanto si spese sino alla fine dei suoi giorni per le Società di Mutuo Soccorso dei Reduci garibaldini, realizzando gemellaggi anche con le omologhe società sudamericane. L’opera è realizzata da Alfeo Bedeschi, lughese trasferitosi a Milano. L'elemento principale non è rappresentato dal fiero ritratto del garibaldino Lugaresi ma dal grande gruppo posto sulla sommità, che rappresenta l'impeto della battaglia, con tre soldati protetti da una allegoria femminile della Vittoria tra i quali spicca proprio l'Eroe dei due mondi. E’ da segnalare anche, come testimone di casi tutto sommato abbastanza frequenti anche se non sempre così esplicitamente narrati, il monumento della famiglia Danesi nel cimitero di Forlì, in cui ritratti ed epigrafi raccontano la partecipazione di un intero nucleo familiare, lungo più generazioni, al Risorgimento nazionale: troviamo infatti Marcello «...intrepido ufficiale milite nelle battaglie napoleoniche...», Muzio il quale «...aveva fatte le patrie battaglie....», Decio che «...ebbe sacra la famiglia la patria ...l’amore all’Italia attestò nelle cospirazioni, nell’audacia delle battaglie...», Giulio che fu «...nella memoranda difesa di Roma, nelle battaglie dell’indipendenza italiana milite valoroso...», infine Ercole che «...combatté volontario per l’Indipendenza d’Italia ...molto sperò per il bene della Patria sognando sempre tempi migliori...».
Negli anni immediatamente successivi all'Unità si affaccia poi sulla scena artistica una generazione di giovani artisti, alcuni dei quali aderiscono ai nuovi ideali e hanno combattuto nelle Guerre per l’Indipendenza. Tra i tanti, i bolognesi Carlo Monari e Giuseppe Pacchioni, e il forlivese Fortunato Zampanelli, spesso chiamati ad eseguire monumenti per patrioti. Così anche opere apparentemente lontane dal simbolismo risorgimentale rivelano, tra testo dell’epigrafe e scelta dello scultore, precise appartenenze politiche. Ecco quindi che la presenza di un marmo di Tullo Golfarelli, scultore vicino agli ambienti progressisti di Carducci e Pascoli, posto nel cimitero di Argenta, si spiega con la volontà di ricordare Giuseppe Vandini, mazziniano che aveva partecipato ai moti del Risorgimento e primo sindaco di Argenta dopo l'Unificazione, anche se l'elemento attorno a cui si concentra l’attenzione non è il ritratto del protagonista ma quello della moglie (colta in preghiera, in atteggiamento del tutto simile all’opera di Enrico Barberi realizzata per il sepolcro Bisteghi nella Certosa di Bologna. Ambedue le opere sono del 1891). Di gusto ormai pienamente Liberty sono infine alcuni monumenti realizzati nei primi anni del Novecento. In questi casi solo l’epigrafe ricorda gli atti eroici; le sculture propongono invece angeli e donne dolenti, che potrebbero comparire in qualunque altro monumento. Sono passati decenni dagli anni delle lotte risorgimentali, umori e sentimenti sono ormai mutati, e il monumentalismo cimiteriale segue queste trasformazioni, che sono anche sociali ed economiche. Tra gli altri, a questo gruppo appartengono i bei marmi per la famiglia Pancrazi (Faenza) e per la famiglia Giuliani a Ravenna, e l’opera che Tullo Golfarelli realizza a Cesena in memoria di Robusto Mori, in cui nulla richiama le lotte per l’Unità, ma solo le qualità scientifiche del defunto. La memoria patria è affidata alla lunga epigrafe: «...si volgeva pronto allo splendore delle nobili idee / ventenne fu nel battaglione universitario di Pisa / per la libertà della Patria».
Il Risorgimento attraverso le scritture epigrafiche cimiteriali: esempi | Pur tenendo presente che gli elementi cui accenniamo si mescolano di continuo nelle diverse epigrafi, possiamo trovare lapidi che ricordano molto semplicemente che il dedicatario ha combattuto per la Patria: «reduce delle patrie battaglie» (Raffaele Magagnoli; Germano Valesio, Certosa di Bologna); «patriotta e galantuomo» (Bernardo Bentini, Certosa di Bologna); «...soldato per l'Indipendenza d'Italia...» (Antonio Giordani, Cimitero di Cento); «...amò la libertà della patria per cui militò nelle battaglie del 1848-49...» (Vincenzo Zanotti, Cimitero di Ravenna).
Abbiamo poi le lapidi ‘garibaldine’, forse le più numerose, testimoni di quella fede immutata e granitica che animò una intera generazione di italiani, che vollero ricordare ai posteri i momenti più alti della propria vicenda terrena, spesi al fianco di quel faro di libertà ed eroismo che per loro era stato il generale Garibaldi. Molto spesso queste lapidi sono accompagnate da fotografie, in camicia rossa con le medaglie appuntate sul petto. Memorie, racconti e cronache testimoniano poi che moltissimi reduci garibaldini chiedevano esplicitamente di essere sepolti con la camicia rossa, quella «originale», con la quale avevano combattuto, ad estrema testimonianza della propria «fede»: «reduce garibaldino» (Aristide De Vincenzi, Certosa di Bologna); «camicia rossa di Bezzecca» (Aristide Venturini, Certosa di Bologna); «patriota volontario con Garibaldi, di fede immutata fino alla morte» (Achille Paci, Cimitero di Faenza); «reduce garibaldino / combattè col suo duce / a Ivoggi nel 1870 e 1871...» (Silvio Frugeri, Certosa di Bologna); «...prode garibaldino per l'Unità d'Italia ...» (Eugenio Mentanari, Cimitero di Cattolica); «Nato con l'alba della / libertà il 23 febb. / 1848 aperto l'alacre / ingegno e il cuore / generoso alla voce mazziniana fasci/natrice sfolgorò nella rossa cami/cia garibaldina a Bezzecca a Montero/tondo dispregiatore costante di vil/tà assertore magnanimo di giustizia in / pubblici uffici e vicende educatore / …» (Pio Squadrani, Cimitero di Forlì); «… /quando Garibaldi al fine della sua epica ritirata da Roma / attraversava la Romagna si adoprò a sottrarlo / alle nemiche insidie – la storia ne ha registrato il nome» (Giulio Cesare Ceccarelli, Cimitero di Forlì); «Scultore / ufficiale del dittatore / GIUSEPPE GARIBALDI nel 1860 / cospiratore volontario / in 4 campagne per l'Italia / …» (Fortunato Zampanelli, Cimitero di Forlì); «A / Giovanni Cecchini / generoso popolano / ottimo padre e cittadino / volontario di Garibaldi a Mentana / che / il 23 giugno 1879 / era vittima / di ferro omicida / la famiglia / e / i fratelli di fede / un anno dopo la morte / questo sepolcro / inspiri negli animi / civile concordia / abborrimento dei delitti di sangue» (Giovanni Cecchini, Cimitero di Cattolica); «Nella Spagna / nella Venezia / in Roma repubblicana / soldato della libertà / duce della cavalleria garibaldina / gloriosamente caduto in sul Gianicolo …» (Angelo Masini, Certosa di Bologna); «Cuore dei cuori / a Bezzecca a Mentana / per mezzo secolo tra il popolo / assertore di bontà / di libertà di giustizia / … « (Romeo Bedeschi, Certosa di Bologna); «… garibaldino / per la gloria e la grandezza / d'Italia » (Natale Ferretti, Cimitero di Lugo).
Esiste poi una tipologia particolare, che potremmo definire la lapide ‘curriculum’, in cui il testo spesso consente di affiancare valori morali, militari e civili del defunto. La lunghissima epigrafe, qui solo sintetizzata, per Pietro Inviti alla Certosa di Bologna non omette nulla della lunga vicenda terrena del protagonista: ... / molto meritò della Patria con le armi / ... / e più ancora meritò col senno di cospiratore / quando unitosi con Camillo Casarini e con Luigi Tanari / a formare il Comitato segreto della Società Nazionale / mescolatosi con la più fervida gioventù romagnuola / eludendo con audace accorgimento / le polizie pontificia e austriaca / la trasse a volger concorde l'animo e le speranze al Piemonte / onde poi capitanò con i colleghi la rivoluzione unitaria del 1859 / ... / essendo egli dal Governo provvisorio investito / della autorità militare / ... / nel 1882 non ricusò il mandato grave alla povertà sua / di rappresentare nel Parlamento il Secondo Collegio / e sin quasi al suo termine servì la città ne' pubblici uffici / austero sempre e modesto secondo suo costume / ma dall'aspetto marziale dalla veneranda canizie / traluceva ai non dimentichi l'ardore / con cui dalla giovinezza aveva abbracciata e proseguita / la santa impresa ...
Ricordiamo anche, tra le tante, l’epigrafe per Gaspare Finali nel Cimitero di Cesena, dettata da Paolo Boselli, che di lì a poco diverrà Presidente del Consiglio: Mente cuore voce / di Romagna per l'Italia / Iniziatore assertore / del Risorgimento nazionale /…/ ardue prove / A Cesena a Roma a Torino / forte sapiente operatore / nei combattuti giorni del riscatto / nei liberi governi dell'Emilia delle Marche / Oratore scrittore / classicamente temprato / maestro di politiche dottrine / Gaspare Finali / cavaliere della SS. Annunziata / senatore del Regno accademico dei Lincei / ministro più volte / presidente della Corte dei Conti / Servì onorò esaltò l'Italia / sempre antiveggendo con sicura fede / nuove glorie nuove redenzioni / Nato a Cesena il 20 maggio 1829 / Morto a Marradi l'8 novembre 1914
O quella per il meno noto Pietro Liverani, nel Cimitero di Faenza: Del popolo di Romagna ebbe il cuore / l'energia l'operosità la schiettezza / assertore della fede mazziniana / ad amor patrio a senno civile informò sua vita / volontario nel 1859 combattente nel 1866 / la santa giovinezza del campo / portò in opere di civile progresso / preposto al Monte dei pegni / fondendo in un solo ideale filantropico / previdenza e carità / trasformò la vecchia istituzione / in altra più consona ai nuovi tempi
E’ dunque possibile leggere ogni ogni aspetto e ogni problema della nostra vicenda storica. Proseguendo nella nostra indagine, troviamo infatti anche testi ‘militanti’, profondamente legati al credo politico del defunto: «Libero pensatore / cospiratore nella Carboneria e nella Giovine Italia / volontario nel 49 e 59 – esule / Primo Deputato di Faenza / alla Costituente Romagnola» (Gaetano Brussi, Cimitero di Faenza), coniugati a volte alla delusione per la imperfetta realizzazione delle primitive aspettative: «...vissuto nella fede repubblicana / quando con dovere l'operosità e il sacrificio / fra i combattenti per un migliore avvenire / di libertà e fratellanza fra i popoli / raro esempio di irremovibile carattere / e indomito apostolo della dottrina di Mazzini / egli morì col dolore supremo / di non vedere compiuta la grande opera» (Giuseppe Lama, Cimitero di Faenza). Ci sono epigrafi che esplicitano l’anticlericalismo dei dedicatari: «...fu per la Libertà d'Italia nei moti del 1831 e del 1845, cospiratore e soldato, le sacerdotali vendette con fiero disegno sprezzando...» (Giuseppe Scacchi, Cimitero di Argenta); «... Il Papato il Borbone l'Austria nemici della patria lo ebbero nemico implacabile. Lego' il nome alla spedizione Bandiera. Repubblicano e libero muratore confermo' coi fatti i suoi ideali.» (Giuseppe Pacchioni, Certosa di Bologna), e ci sono testi nei quali l’affermazione dei principi politici trova posto accanto alla nuova fede nel riscatto sociale, come nel caso degli internazionalisti di Rimini morti nell’ultima spedizione guidata da Garibaldi in Francia: Ai riminesi / Marco Zavoli Germano Ceccarelli / Sante Medici Nino Carradori / Fidenzio Parigi Bruto Serpieri / Leonida Rastelli / che / esempio ed olocausto / di fratellanza internazionale / caddero combattendo / nelle gloriose giornate di Digione / delli 21 22 23 gennaio 1871 / Duce Garibaldi // il 12 novembre 1871 / gl'Internazionalisti di Rimini / a imperitura memoria / posero // Che il sangue dei caduti da forti / nelle battaglie per la libertà / frutti la gloria agli oppressi / l'infamia agli oppressori.
Non può mancare, infine, un piccolo accenno al ruolo femminile, che negli anni post-unitari venne intenzionalmente posto in secondo piano, nel rispetto del sentire comune che voleva la donna saldamente relegata nell’ambito familiare. La partecipazione femminile all’epopea nazionale non trova quasi mai posto nell’ambito epigrafico, a meno che non si tratti di donne vittime di battaglie o rappresaglie (di questo tipo di lapidi non abbiamo esempi nelle nostre aree). Alcune donne però, le più combattive e, si potrebbe dire, ‘femministe’ ante-litteram, non rinunciarono a ricordare con orgoglio ai posteri il proprio ruolo in quegli eventi. L’epigrafe di Brigida Tanari Fava Ghisilieri nella Certosa bolognese appartiene a questa categoria. Forse da lei stessa ispirato, il testo sottolinea l’ «ingiusto oblio» a lei toccato, pur dopo una vita tutta spesa a favore della causa nazionale e del progresso sociale: Gentildonna di alti sensi e generosi propositi / liberale devota all'Italia / allora che amarla importava sacrificio / molto oprò e largheggiò del proprio a vantaggio del paese / educatrice dei figli sapiente e solerte / nel loro animo radicò l'affetto alla grande Patria / colta intelligente di rara bellezza e cortesia e nobiltà / fece della sua casa ritrovo d'ogni eletta persona / e uomini preclari pur di altre regioni a lei convennero / …Nel tralignare degli uomini e delle cose / toccò a lei ingiusto oblio / ma nel Signore vive il suo spirito / dove ogni virtù permane.
Più dolce, in un certo senso più ‘femminile’, con una forte sottolineatura del ruolo familiare della donna, ma comunque fortemente evocativa, la memoria dedicata a Luisa Lettimi nel Cimitero di Rimini: ...di ardente coltura / ardente sostenitrice del Patrio Risorgimento / Dedita alla famiglia e alla Patria / cristianamente sopportò la lunga vedovanza / la prematura morte / di quattro figli dei sette avuti / serenamente si addormentò nel Signore / lieta di vedere l’Italia unita
Concludendo, ci auguriamo che questo intervento sia riuscito a rendere almeno in parte l'importanza della conservazione anche delle memorie minori, cittadine e cimiteriali che siano, al di là della doverosa conservazione delle opere d'arte vere e proprie (pitture, sculture, architetture). Purtroppo, infatti, anche in anni recentissimi, al fianco delle tante amministrazioni comunali che faticosamente hanno avviato o stanno avviando programmi di valorizzazione e recupero, pur tra difficoltà pratiche ed economiche, si assiste, soprattutto in piccoli centri, e soprattutto all’interno dei cimiteri, ad una cancellazione della memoria otto-novecentesca. Questa cancellazione passa attraverso la sistematica demolizione delle aree più vecchie e fatalmente trascurate dei camposanti, senza neppure fare precedere le operazioni da una campagna fotografica o di schedatura di quei manufatti. Si sta così perdendo per sempre la possibilità di ricostruire vite e storie di nostri progenitori che, con profonda intenzione ‘pedagogica’ ed un pizzico di umana vanità, avevano affidato a parole di pietra la memoria del loro tempo e della loro vita terrena.
Mirtide Gavelli, Roberto Martorelli
In Collaborazione con IBC - Istituto per i beni artistici, culturali e naturali della Regione Emilia- Romagna. Testo tratto da ...E finalmente potremo dirci italiani - Bologna e le estinte legazioni tra cultura e politica nazionale 1859-1911, a cura di Claudia Collina, Fiorenza Tarozzi, Bologna, Compositori, 2011. Bibliografia: Vittorio Emanuele Bianchi, Le epigrafi sulle case e sui monumenti di Roma dal 1870 in poi, raccolte ed illustrate, Torino, Roma, Paravia, 1892; Giacinto Stiavelli, Le epigrafi garibaldine, «Nuova Antologia», luglio 1907; Giuseppe Sitti, Il Risorgimento italiano nelle epigrafi parmensi, Parma, Off. Grafica Fresching & C., 1915; Lorenzo Cappellini, Giovanna Massobrio, L'Italia per Garibaldi, Milano, SugarCo, 1982; Marina Foschi, Orlando Piraccini (a cura di), L’altra città: il Cimitero monumentale di Forlì. Ipotesi per una ricerca, Forlì, s.n., 1985; Adler Raffaelli, L'Unità d'Italia nelle epigrafi di Romagna, Forlì, Provincia di Forlì, 1986; Erika Garibaldi (a cura di), Qui sostò Garibaldi. Itinerari garibaldini in Italia, Brindisi, Schena, 1982; Gianfranco Paganelli, Bologna ricorda 1998: ricerca sulle lapidi esterne situate entro la cerchia delle mura conclusasi nel dicembre 1997, Bologna, Centro anziani Santa Viola, 1998; Lucio Scardino, Antonio Torresi, Post Mortem. Disegni, decorazioni e sculture per la Certosa ottocentesca di Ferrara, Ferrara, Liberty house, 1997; Franca Guelfi, Dir bene di Garibaldi, Genova, Il Melangolo, 2003; Sauro Mattarelli (a cura di), Pensiero e azione. Storia di un concetto attraverso epigrafi, personaggi e ideali..., Ravenna, Longo ed., 2003; Flavia Bugani (a cura di), La Forlì del Risorgimento. Percorso attraverso la città, Forlì, Comune, 2008; Giovanni Maroni, Le epigrafi del cimitero urbano di Cesena: come cambia il rapporto con la morte e i defunti negli ultimi due secoli, «Studi Romagnoli», 2009, pp.377-399; Eva Cecchinato, Le parole sono pietre: monumenti e lapidi del Risorgimento tra guerra regia e memoria garibaldina, in Nicola Labanca e Luigi Tomassini (a cura di), Forze armate e beni culturali: distruggere, costruire, valorizzare, Milano, Unicopli, 2007, pp.153-176; Tiziana Contri (a cura di), I luoghi della memoria a Cento, San Giovanni in Persiceto, Ingrafica, 2009; Roberto Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna: un libro aperto sulla storia, Bologna, Museo civico del Risorgimento, 2009; Fiorenza Tarozzi, Lapidi patriottiche: segni e parole dell’identità nazionale, in Gian Paolo Brizzi e Giuseppe Olmi (a cura di), Dai cantieri della storia. Liber amicorum per Paolo Prodi, Bologna, Clueb, 2007, pp.629-638; Rimini 2011: Numero unico per il 150. dell'Unità d'Italia, 1861-2011, Rimini, Luisé, 2011; Valeria Roncuzzi, Mauro Roversi Monaco, Bologna s’è desta! Itinerario risorgimentale nella città, Bologna, Minerva ed., 2011; Massimo Baioni, La città e la memoria patria. Un secolo di storia del Museo del Risorgimento di Modena, in Lorenzo Lorenzini e Francesca Piccinini (a cura di), Il Museo del Risorgimento di Modena, Bologna, BUP, 2011, pp.7-56; Genny Bronzetti, Dalle iscrizioni neoclassiche alle iscrizioni romantiche nei monumenti funebri del Chiostro III della Certosa (consultato il 10 agosto 2011).