Schede
All'inizio dell'Ottocento la pittura di paesaggio a Bologna è dominata dalla figura di Vincenzo Martinelli, che traghetta il paesaggismo locale dalle sognanti e scenografiche formule rococò alla più moderna veduta realistica. Le opere del maestro, pur nell'ambito del paesaggio ideale, si caratterizzano per una maggiore attezione agli aspetti più reali. Nonostante l'impronta lasciata dal Martinelli, nei primi anni dell’Ottocento a Bologna si registra un generale clima di ritorno ai valori della classicità, che riporta d’attualità le norme del paesaggio ideale. Il presidente dell’Accademia di Belle Arti Carlo Filippo Aldrovandi e il pittore Jacopo Alessandro Calvi, esponenti del filone più tradizionalista della cultura artistica bolognese, nel 1808 invitano gli studenti a «rappresentare la natura nel suo aspetto più leggiadro», scartando gli elementi casuali e volgari presenti nella realtà fenomenica, al fine di giungere a «un composto che della stessa Natura apparisca più bello» (Poppi, 1994, pp. 8-9). Sul versante del paesaggio ideale classico, propugnato dall’Accademia, si distingue Giovanni Barbieri, autore di paesaggi ideali nello stile di Claude Lorrain e Nicolas Poussin e di vedute con i dintorni di Bologna. Nel 1808 l’artista si aggiudica il premio Curlandese con il dipinto Saffo che si getta dalla rupe, oggi al Mambo. La tela si inserisce nel filone del «paesaggio storico» (Mondini, 1980, p. 67), dove un'ambientazione naturale fa da cornice alla descrizione di eventi, prevalentemente mitologici, rappresentati da piccole figure. In seguito, anche nelle vedute di luoghi reali, Barbieri continuerà a sottoporre il dato reale a un processo di idealizzazione. In Veduta in parte delle cascatelle di Tivoli, l’immagine nasce «non dall’osservazione diretta, ma dall’arbitrario assemblaggio di elementi naturali, storici e di colore, che avevo reso celebre la cittadina di Tivoli» (Poppi, 1994, p. 37). Nel filone del paesaggio ideale si colloca anche Gaetano Burcher, prima allievo di Antonio Basoli e poi di Vincenzo Martinelli. Nelle sue tele si può cogliere una "personale declinazione del vedutismo ideale bolognese dei primi decenni del XIX secolo, caratterizzata da una particolare maniera di intendere gli effetti di una morbida e avvolgente luce aurorale sulle cose, e in particolare sulle fronde delle quinte arboree, sapientemnte disposte in ordinate lontananze prosepettiche" (Poppi, 2005, n. 15).
Una ventata di novità viene introdotta in città dai contatti con l’ambiente romano, che si intensificano sulla fine del primo decennio attraverso i soggiorni di studio degli artisti. Alla morte di Vincenzo Martinelli (1807), caposcuola del paesaggio arcadico, gli allievi della sua bottega si recano nell’Urbe per aggiornare il loro linguaggio pittorico. Un caso emblematico è quello di Rodolfo Fantuzzi, che nel 1808 compie un viaggio prima a Roma e poi a Napoli (Ridolfi, 2009, pp. 124-125). Le novità stilistiche elaborate dal pittore durante il soggiorno romano emergono in alcuni dipinti, dove la natura viene rappresentata dal vero. La Veduta di un castello di notte con la luna in mezzo al quadro raffigura un luogo reale, il convento di San Nilo a Grottaferrata, «meta obbligata per gli artisti residenti a Roma, che vi si recavano per ammirare gli affreschi del Domenichino» (Poppi, 2004, p. 34). Ugualmente il Paesaggio con il lago di Albano e Castel Gandolfo è «immerso in un contesto di verità reso tale dalla riconoscibilità del luogo» (Nascetti, 2017, n.9). E’ probabile che Fantuzzi, una volta giunto a Roma, sia entrato in contatto con il cenacolo di artisti bolognesi gravitanti intorno a Pelagio Palagi, come suggeriscono le «consonanze stilistiche» che si avvertono con le opere eseguite in quegli anni da Palagi, come Veduta delle Mura Aureliane a Roma, oggi al Mambo. Gli esiti paesaggistici di Palagi traevano linfa dal confronto con gli esempi dei vedutisti francesi e nordici attivi a Roma nel primo decennio del secolo, tra i quali Francoise - Marius Granet (Poppi, 2004, p. 10). Ancora nel clima romano matura la pittura en plein air di un altro allievo del Martinelli, il romagnolo Giovanbattista Bassi. In Veduta delle cascatelle di Tivoli, realizzato prima del 1820 e oggi presso il Mambo, la rappresentazione di un soggetto tipico del Grand Tour, già sperimentato da Valenciennes e Granet, permette all’artista di prestare «un’inedita attenzione allo studio dal vero della luce e dei colori» (Poppi, 2004, p. 31-32). Un altro dipinto del romagnolo Trinità dei Monti e l'Accademia di Francia, realizzato nel 1824 e oggi al Museo di Roma, mette in evidenza il debito contratto con la pittura francese, riproponendo il motivo, colto dalla medesima inquadratura, già affrontato da Granet nel 1808 in Trinità dei Monti e Villa Medici.
Un soggiorno romano va ipotizzato anche per Giuseppe Termanini, altro allievo del Martinelli. Il dipinto La scalinata, presso il Museo Davia Bargellini, non solo rappresenta un luogo preciso di Roma, la Casa dei Borgia (Nascetti, 2017, n. 13), ma riproduce uno scorcio urbano, che nel «taglio lucido e quasi rigoroso» sembra condotto su modelli prodotti in ambiente romano dagli artisti danesi, come Christofer Willem Eckersberg allievo di Thorvalsen (Grandi, Museo Bargellini, 1987, n. 58). Termanini si specializza nella produzione di piccoli paesaggi, tra i quali spiccano i suggestivi «notturni», già rivelatori di una sensibilità romantica, come Notturno al chiaro di luna (Nascetti, 2017, n. 13). Si aggiorna a Roma anche Gaetano Filippo Tambroni (ASB, Prefettura del Dipartimento del Reno, titolo XX, rubrica 10, anno 1808), la cui Veduta della città di Bologna presa da Mezza Ratta viene premiata al Salon di Parigi nel 1810. Tambroni gode dell’apprezzamento del ministro bolognese Ferdinando Marescalchi, che acquista quattro dipinti dell’artista per la sua collezione (Preti Hamard, 2005, vol. II, pp. 152-153). I viaggi compiuti a Roma dagli allievi del Martinelli già nel primo decennio del secolo risultano fondamentali per l’aggiornamento della pittura di paesaggio a Bologna, anticipando la conoscenza di esempi francesi, come Francoise - Marius Granet, nominato all’esposizione annuale accademica del 1817 con uno Scaldatojo de’ Cappuccini e l’anno dopo con Parte interna di un convento di monache illuminate dal sole (Grandi, 1983, p. 75).
Con un altro allievo del Martinelli, il bolognese Giacomo Savini, la rappresentazione del paesaggio non si limita più a restituire con immediatezza una visione dal vero, ma comincia esprimere una certa inquietudine, caricandosi di valenze personali ed emotive. Tale passaggio si può cogliere soprattutto nella ricca produzione grafica dell’artista. Le vedute urbane di Savini non rappresentano i monumenti più noti, ma angoli apparati e minori, che acquistano però suggestive valenze poetiche. E’ il caso delle pisane Via della Fortezza e Via della Cereria, visibili in un album alla Biblioteca dell’Archiginnasio, o dello scorcio bolognese Stallatico della locanda (1833), conservato presso le Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo. La vegetazione che ricopre i muri e deborda diventa un vero e proprio motivo figurativo, capace di anticipare, ancora una volta nel campo della grafica, le visioni naturali di Ottavio Campedelli, dove l’elemento architettonico viene interamente sopraffatto da un groviglio di piante e alberi, fin quasi a perdere la sua riconoscibilità, come in Villa Aldini in distanza (Chia, 2020, p. 14-15; 24-26). La grafica di Campedelli infatti si differenzia da quella di Rodolfo Fantuzzi e Giacomo Savini per il «rifiuto di qualsiasi piacevolezza illustrativa e meramente documentaria: malgrado la pacatezza e il costante controllo espressivo, l'arcadia acquista con lui una drammaticità interna, da rammentare piuttosto la serietà con cui, tanto più tardi e con più inquieta disposizione di mente, Bertelli si porrà di fronte al paesaggio emiliano» (Grandi, 1983). In campo pittorico l’artista, dall’inizio degli anni Quaranta del secolo, predilige modelli della tradizione paesaggistica fiamminga, antitetica a quella del paesaggio classico italiano e francese, proseguendo sulla strada di un più «accentuato naturalismo», con immagini di «nessun decoro ideale» come le vedute con i buoi o i rigagnoli d’acqua (Grandi, 1983). Un esempio del Campedelli maturo è una Veduta della campagna laziale, datata 1850 e in collezione privata (Nascetti, 2007, n. 17), dove l’Arcadia lascia sempre più spazio a una rappresentazione del vero priva di abbellimenti.
Nell’ambito del vedutismo urbano un ruolo significativo è ricoperto da Antonio Basoli, autore della raccolta Vedute pittoresche della città di Bologna, pubblicata nel 1833. L’artista dipinge numerose scene cittadine, condividendo con Giacomo Savini l’attitudine allo scorcio meno noto, ma rispetto a quest’ultimo si dimostra «regista di prospettive e fughe scenografiche, abitatore di portici e androni, un abitatore ombroso», tale da ricordare il romanzo di Antonio Zanolini, Diavolo nel Sant’Uffizio (Varignana, 1977, p. XXXV). Basoli attua una pittura ormai en plein air e attenta alle notazioni atmosferiche, come dimostrano i tanti fogli dedicati alla rappresentazione del cielo, colto in diverse ore del giorno. Un ulteriore esempio di questa attitudine all’esercizio dal vero è fornita anche dalle due vedute di Villa Conti a Montechiaro in collezione privata, una eseguita nel 1830 su carta bruna e l’altra su carta azzurra e con diversa inquadratura (Nascetti, 2007, n. 11-12).
L’eredità di Giacomo Savini viene raccolta in parte da Luigi Bertelli a partire dalla tendenza ad annotare «gli edifici meno risonanti nel naturale contesto» (Varignana, 1988, p. 159), come gli orti bolognesi. Gli orti del convento di San Martino Maggiore, dipinti da Bertelli nel 1861, colgono un angolo appartato e minore della città, condividendo con i macchiaioli toscani un «sentimento del quotidiano, dimesso e senza rivendicazioni di sorta» (Grandi, 1983, pp. 209-210). Luigi Bertelli è il primo protagonista della rivoluzione del vero, che emerge in tutta la sua evidenza nelle «campagne senza dramma esplicito, ma anche senza idillio», che risentono degli esempi di Antonio Fontanesi (Grandi, 1980, p. 18). L'artista dipinge il mondo dei campi, come nell’Abbeverata (1890-1895) e talvolta il suo sguardo si allarga alle scoperte della modernità. Nel dipinto Il vaporino, l’artista affronta il motivo del treno, che avvicina artisti e poeti, nel comune senso disagio per il passaggio da una civiltà agricola a una ormai industriale (Chia, 2019, p. 55-56). Bertelli è un «colorista, lavora direttamente sulla tela con il pennello o la spatola, facendo nascere immagini da un rapporto immediato, diretto con il motivo, senza altri filtri che la propria emotività». Tale caratteristica lo differenzia profondamente da Luigi Serra, che nelle suoi paesaggi rivela una opposta interpretazione del vero. Serra è «il disegnatore», che «scompone il soggetto, lo analizza in ogni sua minima parte e, successivamente lo rielabora sulla tela, calibrandone la composizione attraverso dettagliati studi grafici» (Poppi, 1988, p. 11). Anche Coriolano Vighi rappresenta paesaggi lasciando decantare le impressioni colte dal vero. L’artista sembra infatti «dipingere a occhi chiusi», nel senso che ricostruisce la realtà attraverso la memoria, così come la immagina nella tranquilla operosità dell’atelier (Riccomini, 2009, p. 17-20).
Un caso del tutto particolare nell'ambito della pittura di paesaggio è quello di Alessandro Guardassoni. La ricerca dell'artista si orienta verso la definizione di un «innovativo sistema di rappresentazione dello spazio», che mette in disparte le problematiche relative al colore. Spesso i soggetti da lui scelti evitano motivi in piena luce di sole, come nei due Paesaggi sotto la neve (1873 circa), nei quali la perfetta resa dell'atmosfera è data da una luminosità filtrata e diffusa. Paesaggio innevato con San Luca (1880 circa) si può considerare un esempio di «pittura sintetica», che dimostra come l'artista abbia superato i modelli della macchia toscana per sperimentare un nuovo modo di rappresentare il vero. "Tutto è costruito con la luce, che dà e toglie sostanza ai colori, dilata e sfoca le forme, costruisce lo spazio» (Poppi, 2006, p. 72). Guardassoni, servendosi dell'ausilio della fotografia, sembra quasi voler «costringere il mondo alla dimensione monocroma della stereoscopia» (Poppi, 2006, p. 20). I monocromi e gli studi dal vero dunque costituiscono la parte più rilevante della sua produzione pittorica, affiancandosi alle sperimentazioni del francese Cézanne, inventore di una nuova spazialità e e sintetica ricostruzione del mondo in forme geometricamente semplificate (Poppi, 2006, p. 23).
Ilaria Chia
Bibliografia. Piero di Natale, Vincenzo Martinelli, in Quadri da collezione. Dipinti emilani dal XIV al XIX secolo, mostra a cura di Daniele Benati (Fondantico, 9 novembre - 21 dicembre 2013); Collezionisti a Bologna nell’Ottocento: Vincenzo Valorani e Luigi Pizzardi, catalogo della mostra a cura di Claudio Poppi (Bologna, Collezioni Comunali d’Arte, marzo - maggio 1994); Maurizio Mondini, Giovanni Barbieri, in I Concorsi curlandesi, Bologna, 1980, pp. 66-67; Valentina Ridolfi, Vedute di Roma e diverse: due taccuini di viaggio di Rodolfo Fantuzzi, in «Paragone» LX, 84, 2009, pp. 122-129; Ottocento romantico, paesaggi, volti e figure nella prima metà del XIX secolo, catalogo della mostra a cura di Vincenzo Nascetti (Bologna, Galleria de’ Fusari 11 novembre - 23 dicembre 2017), Bologna, 2017; Renzo Grandi (a cura di), Museo Civico d’Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini, Bologna, 1987; Renzo Grandi (a cura di), Dall’Accademia al vero. La pittura a Bologna prima e dopo l’Unità, 1983; Monica Preti Hamard, Ferdinando Marescalchi (1754-1816). Un collezionista italiano nella Parigi napoleonica, Bologna, 2005; Ilaria Chia, Paesaggio e scenografia (1807-1850). Opere di artisti bolognesi nelle Collezioni del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, Tesi di specializzazione, Università di Bologna (2018-2019), relatore prof. Marzia Faietti, correlatore dott.ssa Roberta Aliventi; Il paesaggio a Bologna fra Sette e Ottocento, catalogo della mostra a cura di Vincenzo Nascetti, (Bologna, Galleria de’ Fusari, 13 ottobre – 24 dicembre 2007), Bologna 2007; Franca Varignana, Paesaggio del primo Ottocento e petits maitres bolognesi, Bologna 1988; Franca Varignana, Dal paesaggio romantico alla veduta urbana, in Le Collezioni d’Arte 1977, pp. IX-XXXV; Ilaria Chia, Atmosfere letterarie nella pittura bolognese del secondo Ottocento, in Da Bertelli a Guidi. Vent’anni di mostre dell’Associazione Bologna per le Arti, catalogo della mostra (Bologna, Palazzo d’Accursio, 8 dicembre 2019 - 16 febbraio 2020); Claudio Poppi, L'Ottocento ritrovato, 1988; Basoli dal vero, Bologna, 2008; Alessandro Guardassoni: l’avanguardia impossibile, mostra a cura di Claudio Poppi (Bologna, 2001), Bologna, 2006; Eugenio Riccomini et al., Coriolano Vighi 1852-1905, catalogo della mostra a cura dell’Associazione Bologna per le Arti, Bologna, 2009; Da Antonio Basoli a Luigi Busi, Bologna... Ottocento senza Macchia!, catalogo della mostra a cura di Claudio Poppi, 2005, Bologna, 2005.