Schede
«Sudditi miei carissimi! / Senza tanti discorsi / V’annunzio che in quest’epoca, come negli anni scorsi, / Ricomincia il mio regno, buono, fausto, giocondo / Per quanti abitano questa parte del Mappamondo. / Convinto che il più solido prestigio del Potere / Non nasce dal promettere ma sta nel mantenere / Previo un serio consulto colle mie Regie tasche, / Ho dettato un programma senza ciondoli e frasche. / Senza chiamar le cose con nomi spiritati / Da far prendere le mosche per elefanti alati; / Ma un programma modesto, sincero, petroniano, / Buttato giù alla buona, col lunario alla mano / Eccolo qui, leggetelo: ce n’è per tutti i gusti, / Per le vecchie e le giovani, i bimbi e i bellimbusti; / Per quei che gli usi antichi preferiscon seguire, / Per quei che amano il nuovo, e guardan l’avvenire. / Abbiam pensato ai ninnoli della Galanteria, / Ci interessammo all’adipe della Gastronomia, / Ergemmo una pagoda al Disegno e alla Plastica, / Preparammo un arringo al Ballo e alla Ginnastica… / Insomma abbiam cercato che, al calar della tela, / E smorzato il lucignolo dell’ultima candela, / Ognuno comparando spesa e divertimento / S’accorga d’un guadagno… del cinquanta per cento».
Il poemetto farsesco qui riportato compariva sui manifesti annuncianti il programma delle “meraviglie” promesse dalla Società del Dottor Balanzone per il Carnevale del 1877. Alti diversi metri e affissi in ogni angolo della città, i cartelloni diventavano importanti quasi come la festa stessa, o comunque una sua componente imprescindibile per richiamare la folla, alla quale venivano restituiti l’immagine e il clima dell’evento-spettacolo, prima ancora che questo si verificasse (M. Fincardi, 1995, p. 21).
Il programma del 1877 prometteva, tra gli altri, un nuovo intrattenimento, un “Paese di bengodi”, sfavillante di luci e suoni, ricco di giochi e divertimenti: «ma il bello comincia adesso e prende forma, formam capit, nella Fiera Festival, benefica, industriale, fantastica, spettacolosa […]. E là si starà notte e giorno fino al martedì grasso: perché là si venderà e si comprerà fra balli, suoni, lumi, giostre, altalene, montagne russe, bersagli, spettacoli teatrali; si farà insomma di ogni erba un fascio! Ah, che buzzarata!!!» (“Il Resto del Carlino”, Com’eravamo, I divertimenti di Bologna, ottobre-dicembre 1977)
L’iniziativa nasceva sulla scia di una polemica che ormai da qualche anno portava “Il Monitore” a prendere posizione contro le manifestazioni organizzate nell’ambito del carnevale: «Bisogna che i divertimenti si modifichino come si modificano i costumi. […] Si può sprecar peggio del denaro e del tempo? […] A Bologna perché ostinarsi a vivificare le mummie? Non sarebbe meglio tentare una gran fiera? Soltanto con l’entrare in una via di progresso e di utilità le associazioni carnevalesche possono venire accettate. Altrimenti senza volerlo e senza saperlo, cooperano efficacemente alla corruzione ed alla miseria del popolo. […] Ci preme conchiudere col voto che anche nella nostra Bologna si compia presto la trasformazione civile di quella istituzione del carnevale che ci ricorda, così com’è, i più tristi tempi della servitù. Già il ballo popolare della piazza della Pace è una cosa riuscita a cui si può aggiungere la Cuccagna. Non rimane che da seppellire coraggiosamente lo stupido andazzo del corso, sostituendovi quella fiera industriale che invano raccomandiamo da tanto tempo, e che potrebbe diventare una feconda istituzione» (“Il Monitore”, 25 febbraio 1873).
Constatando, nel corso degli anni, la validità delle affermazioni sostenute dal quotidiano e rispondendo alle sollecitazioni, giunte da più parti, volte a rinnovare il Carnevale, la Società del Dottor Balanzone giunse a realizzare la cosiddetta “Fiera festival”, che fu ospitata lungo via Garibaldi e in piazza San Domenico. Il perimetro entro cui erano alloggiate le attrazioni - il «gran barcone dell’altalena» per chi voleva provare, «stando in terra ferma, il mare in burrasca, e relativi effetti»; il tiro a bersaglio «con pistola Flobert, tutto ricoperto di fiori e verdura», varie lotterie dove si potevano vincere «qui una cravatta e là un’oca»; il palcoscenico dove si svolgevano spettacoli ginnici, «grandiose azioni mimiche e ballabili» e dove si poteva fare «un giro di valzer all’aria aperta» - era ampio, ben disposto ed accuratamente decorato con fiori e festoni; al suo interno trovava posto ancora una «lunga filza di 40 botteghe, che si stendeva lungo via Garibaldi» presentando «un colpo d’occhio imponente»: ne facevano parte ristoranti, caffè, birrerie, bottiglierie, oltre a un tabaccaio «per i fumatori», «il fabbricatore di zucchero filato per i ragazzi» e varie botteghe di fiori e piante, chincaglierie, specchi, biancheria per la casa «per chi ha dei danari da spendere». La sera dell’inaugurazione, poi, i visitatori, accorsi numerosi, furono accolti da «una illuminazione sfolgorante [che] cambiava la notte in giorno» mentre «le melodie musicali di due bande confondevansi in carnevalesco amplesso cogli urli delle maschere e col baccano del popolo» (“L’Ancora”, 11 febbraio 1877).
La fiera, che rimase aperta da sabato 10 a martedì 13 febbraio, fu un vero e proprio successo: nella sola giornata di domenica furono staccati 24.000 biglietti di ingresso. «Il divertimento sì di giorno che di sera fa furore, i negozianti fanno buoni affari, la giostra e l’altalena migliori, ed il bersaglio buonissimi» (“L’Ancora”, 13 febbraio 1877).
Rossella Ropa
Testo tratto da Cent'anni fa Bologna: angoli e ricordi della città nella raccolta fotografica Belluzzi, Bologna, Costa, 2000.