Schede
Di tutte le forme colle quali l'uomo esprime e manifesta le varie contingenze di vita e di pensiero, senza dubbio l'architettura è quella che più di ogni altra interpreta l'interessante svolgersi e il diverso atteggiarsi del suo carattere e della sua opera nella storia della civiltà e del progresso umano, e lo rappresenta nei tempi e nei luoghi sempre naturale e conseguente al fine immediato cui è diretto. Dalla costruzione dell'umile e rudimentale capanna fino a quella dei più maestosi e superbi palazzi, dove sono raccolte e profuse tutte le faticose conquiste della scienza e dell'arte in servizio e a vantaggio dell'uomo, intercede il lungo e continuo cammino della civiltà, che vive pur anche di esperienza e di tradizione e segna ad una ad una le sue piu' belle vittorie. Nessuno ignora che ogni regione ed ogni citta' presenta una propria architettura più o meno singolare e distinta dalle altre, di cui giova oggi ricercare la genesi e lo svolgimento nella storia. L'architettura medioevale bolognese, fra le altre in Italia, è caratteristica e maestosa per il suo portico. Quasi ogni più umile e modesta casa di un piano, o di due al massimo, od ogni più superbo e monumentale palazzo pubblico o privato è adorno di portico, il quale in origine era sostenuto da travature e da colonne in legno, sostituite poi da pilastri; ed era quasi esclusiva degli edifizi pubblici, sorti alla fine del secolo XIII, la speciale costruzione delle colonne formate di mattoni alternati con blocchi di macigno. Delle antiche costruzioni, giunte fino a noi, nessuna passò immune dalle ingiurie del tempo, tanto che non sempre sufficienti sono gli scarsi avanzi rimasti per riconoscere la forma e l'aspetto originario che ognuna di esse potè assumere nel corso delle diverse modificazioni sofferte. Sotto il grosso e tumido strato d'intonaco e di rivestimento di gesso, di calce e di pietriccio non di rado escono in luce i venerandi avanzi di costruzioni successive, che dai tempi più antichi del Comune discendono per lunga serie fino a noi e parlano con la voce lontana dei secoli le molte e turbinose vicende della storia. E quanti dei palazzi nobili e delle umili dimore potrebbero raccontare che un tempo sorgevano tra una selva di superbe e solide torri e prima accolsero dentro le loro mura un popolo di vinti, oppressi dalla servitù feudale, di stranieri vincitori, poi videro alternarsi la fortuna. Infrante le dure catene, i servi si redensero col sangue e con la virtù del proprio sacrificio; la città fu più grande e gloriosa di vita e di pensiero cristiano e tutti "quei che un muro ed una fossa serra", dovettero sentirsi fratelli e figli di una stessa madre. Fu breve tregua e, poco dopo, discordia e guerra atroce, implacabile, degli uni contro gli altri; le umili case e le superbe torri e i magnifici palazzi arsero di lotte fratricide, di odi funesti e di vendette feroci e tutta la città fu incendio, sangue, distruzione e morte. Il terribile flagello non lasciò pace o tregua nella città, se non breve e troppo spesso fugace, chè l'intemperanza dei partiti, a stento repressa, tratto tratto nei secoli XIV e XV rese vane le speranze e le aspirazioni dei più saggi ed avveduti governanti. Durante queste dolorose vicende, la città sofferse le più profonde trasformazioni architettoniche e la maggior parte delle sue più insigni e magnifiche costruzioni secolari andò distrutta o rovinata. Confiscati i palazzi, le case e le torri dei lupi rapaci dopo la memoranda cacciata dei Lambertazzi e Ghibellini, quelle costruzioni che ancor conservavano qualche avanzo di materiale utile, furono attribuite in pro dei vincitori, e il tempo continuò l'uso e consacrò il diritto, se non il delitto per due secoli ancora, finchè venne la pace e l'ordine del principato bentivolesco.
Sante e più ancora Giovanni Bentivoglio, dalla metà del Quattrocento, curarono di restaurare e ricostruire la città che le lotte di fazione avevano resa piena di guasti, di disordine e di ruine. Ogni secolo e ogni rivolgimento politico, che passò sulla città, lasciò le tracce del suo passaggio nei monumenti pubblici e privati, che ebbe occasione di costruire o di adattare a proprio uso, gran parte dei quali vennero poi distrutti e trasformati in progresso di tempo. Il maggiore storico ed apologista dei Bentivoglio, Giacomo dal Poggio, trasse argomento da classico ricordo, per nobilitare l'impura e leggendaria loro origine da Re Enzo, e attribuì a Giovanni II, come già ad Augusto, col titolo di Padre della Patria il singolar pregio di aver trovato la città poveramente costruita in gran parte di portici di legno e di averla lasciata adorna di magnifici e superbi edifizi di marmo e di pietra. Certo l'età aurea dell' architettura bolognese data dal principato di Giovanni II, che fu l'ultimo e il più munifico nella storia di Bologna. Al suo tempo l'architettura assunse un'impronta sua propria e caratteristica, della quale mancava da due secoli il ricordo e la tradizione, nonchè ogni forma più concreta e significativa nell' aspetto esteriore degli edifizi sorti arbitrariamente nelle vie anguste e tortuose della più agitata e operosa città italiana del Medio Evo. Il Quattrocento infatti rivestì di forme classiche i secoli di mezzo e ricoperse del suo manto fastoso i frammenti della architettura del tempo passato; e se non potè giovarsene, certo li conservò con rispetto là dove non ostacolavano l'intento artistico, allora predominante. Non sono pochi gli edifizi bolognesi che presentano tracce, talora importanti, di diverse architetture, l'una sovraposta all'altra, che i restauri recenti hanno posto in via di luce. Molte ancora sono le facciate di palazzi e di case bolognesi che mostrano i segni di parecchi secoli e di successive e profonde trasformazioni, dovute assai più alle varie e particolari convenienze del proprietario, che all'opera spontanea dell'architetto innovatore. Chi voglia rievocare alla mente tutte le trasformazioni e le vicende delle costruzioni bolognesi e in genere di tutte le città nostre non ha che da consultare la loro storia attraverso i secoli e considerare in qual breve spazio di tempo anche ai giorni nostri muta d'aspetto secondo le nuove esigenze qualunque pubblico e privato edificio dal più maestoso al più umile e modesto. Non soltanto le vicende politiche, ma per naturale conseguenza anche le estetiche, economiche e topografiche concorrono a modificare l'aspetto e la struttura degli edifizi. L'architettura è uno dei maggiori e più importanti e significativi documenti della storia e dei costumi di ogni popolo, che giova più di ogni altra notizia per conoscerne l'anima e il carattere intimo e genuino. Nessuno potrebbe raccontare quante volte siano stati traforati e torturati quei muri e quante aperture e rabberciamenti nel corso dei secoli sianvi state operate a cominciare dalle facciate e dai portici sottostanti. Basterebbe pensare alle botteghe, ai fondachi, oltre che alle molteplici e parziali ricostruzioni, allineamenti, demolizioni ed altro ancora. L'uso dei portici in Bologna secondo il Gozzadini, è altrettanto antico quanto generale, e se essi non allietano la città, ben danno un riparo giovevolissimo contro gli eccessi del nostro clima e specialmente contro la frequenza e la durata delle nevi. E poi danno un carattere tutto proprio e cospicuo alla città, onde mal s'oppongono coloro che muovon guerra ai nostri portici, e quando possono ne privano le strade. "Così s'imbastardisce il carattere architettonico locale e si toglie non solo una singolarità, ma un'agiatezza, alla cui mancanza non sanno rassegnarsi altrove i Bolognesi. I quali possono dire con tal quale orgoglio: ci è dato di percorrere sotto ai portici, non solo la massima parte della città, ma pressochè otto chilometri di strada senza deviare, quanti appunto si interpongono dalla chiesa degli Alemanni fuori porta maggiore, fino al santuario della Madonna sul Monte della Guardia". L'illustre archeologo bolognese considerando le case "il cui portico è formato di travi e di impalcature, anzichè di colonne e di archi e di quelle che prive di portico, hanno il piano superiore sporgente a modo di tettoia, costrutto anche esso sopra un congegno di travi, giudica questo sistema di costruzione" si rozzo e primordiale da doverlo credere antichissimo e succeduto immediatamente all'architettura romana, in tempi imbarbarriti (I).
Il Gozzadini studiò e descrisse con la geniale perspicuità che lo distingue, la struttura della facciata di alcuni pochi dei più cospicui edifizi del sec. XIII, cioè le case Grassi, Isolani e Sampieri e qualche altra, rimasta superstite dalla esteriore trasformazione architettonica del tempo passato, le quali tuttavia non offrivano allora elemento più utile e sufficiente per formulare in materia un più esatto giudizio. Nessuno vorrà mai negare che i portici degli edifizi bolognesi non abbiano origine molto antica e quasi remota, così da perdersi nell'oscurità dei secoli, ma non tanto da poter credere la loro costruzione iniziale "antichissima e succeduta immediatamente all'epoca romana in tempi imbarbariti, quando non si alluda ai tempi di Federico Barbarossa della prima Lega Lombarda, vale a dire dopo la metà del Sec. XII. Allora i portici se pur qualcuno allora si cominciò a costruire consigliato da ragioni di necessità topografiche, in conseguenza dell'incremento planimetrico della città da poco rinchiusa nelle sue prime mure per difesa, non potevano avere lo sviluppo che ebbero in seguito e che fu subito accompagnato da quello in senso verticale delle cantine o canove (dette comunemente tuate) sotto i palazzi e le case più cospicue. Risulta di fatto che in origine le antiche costruzioni bolognesi erano prive di portico e che questo fu fatto innestando nell'antica facciata le travi e le impalcature collocate oltre il limite della pubblica strada di cui fu occupata la parte aggiunta in progresso di tempo all'originario edifizio. L'altezza del portico, varia per ciascun edificio in conseguenza delle diverse condizioni e convenienze riscontrate all'atto della costruzione stessa, oscillando tuttavia da un limite massimo ad un minimo, di cui è ricordo nei più antichi statuti del Comune a noi pervenuti. Ne segue che il portico e il sottosuolo relativo è parte integrante della via pubblica e fin dalla origine fu costruito sui lati in aggiunta e ad incremento dei precedenti e più antichi edifizi. Questa nuova parte aderente a tutte le antiche dimore bolognesi costituita su suolo pubblico predisposizione tassativa degli Statuti, seguì le vicende e i trapassi di proprietà dei singoli edifizi cui era annessa titolo di concessione e di uso perpetuo, ma conservò inalterato fino ai nostri tempi il diritto legittimo del potere sovrano. Negli Statuti di Bologna trovansi le prime le più antiche disposizioni legislative in materia di ornato delle città dovute all'Imperatore Federico II, accresciute in seguito da Sisto III, Leone X, Pio IV, Gregorio XIII, dagli altri loro successori, intese tutte a procurare e che si osservasse la conservazione del ius congruum. I primi e più antichi Statuti del Comune, datati del 1249 pubblicati a stampa dalla R. Dep. di S. P. per cura del dottor Luigi Frati (LI, 188). impongono al podestà di giurare fra l'altro che "tutti i portici della città e del suburbio siano mantenuti della altezza di sette piedi da terra (m. 2,66) affinchè ciascuno possa cavalcare sotto di essi, e nessuno possa scavare perchè raggiunga la prescritta altezza, pena tre lire di bolognini" (1).
Anche più esplicito è lo Statuto inedito del 1289 (Libro X C. 109) intitolato De porticibus faciendis per civitatem et burgos, il quale stabilisce ai singoli proprietari che siano costruiti i portici in tutte le case e palazzi che già l'avevano e al presente ne sono privi, ciascuno per la sua testata "cum una sponda muri versucaxamentum" , ad arbitrio del podestà e se questi fossero già stati fatti manuteneantur perpetuo expensieorum quibus sunt caxamenta predicta".(2) Nelle redazioni posteriori si compiono e integrano le norme riguardanti la costruzione e il mantenimento, non che l'uso del portico nella città e nei borghi, non solo per il passaggio, ma anche per il regolamento delle acque attribuendo e confermando al Magistrato del fango e delle acque e strade tutte le facoltà necessarie per la più energica e pronta esecuzione degli ordinamenti in proposito, come risulta dagli Statuti del Comune del secolo XV. Al quale proposito sarebbe assai interessante istruttivo il seguire le origini e lo sviluppo delle norme da cui era regolato l'Ufficio del fango e delle strade e confrontare fra loro le successive redazioni per conoscere la natura e l'essenza storica del diritto pubblico in tal materia e rilevare tutte le trasformazioni, quali sono raccolte e consacrate nel corpo degli Statuti del Comune fino ai nostri giorni. Ma per rimanere dentro i confini del portico giova tener presente che non tutte le strade e vie offrivano l'opportunità e la convenienza di stabilire una stessa forma e dimensione onde sorse la varietà conservatasi fino a noi attraverso i secoli nei luoghi più remoti e di antica costruzione. Ogni casa o palazzo doveva avere il portico, ma di fatto non sempre era possibile costruirlo secondo le prescrizioni; allora negli Statuti fu introdotto l'inciso "si congruenter possunt habere porticus", e, in conseguenza di queste disposizioni, furono costruiti di altezze e forme la più svariate e in relazione all'ampiezza delle vie, all'importanza degli edifizi e alle norme dettate dalle contingenze di tempo e di luogo, fino ad arrivare ad un minimo di sporgenza nelle vie più anguste. Dagli sporti di minore aggetto, innestati sopra il primo piano delle case di Via Venezia, presso la Torre Altabella, e da quelli di Via Drapperie all'angolo con Via Piave, fino agli sporti sostenuti da mensole e da speroni in muratura e ai porticati, più ampi e più alti, del vetusto palazzo del Comune, che sorgeva nella Curia di S. Ambrogio, ora Via Pignattari, all'angolo di vicolo Colombina, ai palazzi Grassi e Isolani e agli altri più antichi e che ancora conservano le colonne originali di legno, è tutta una lunga catena e progressione di forme e di diverso sviluppo che ebbe il portico in relazione all'ampiezza della strada. Nessuna città forse in Italia presenta agli occhi del forestiere spettacolo più singolare e caratteristico di quello che può offrire Bologna con la sua varietà e multiforme architettura dei secoli passati. Nel secolo XIV il portico prende proporzioni sempre maggiori e forma più compiuta, aumentando l'altezza minima di dieci piedi per le nuove costruzioni e la larghezza di sette piedi e prescrivendo l'obbligo delle grondaie e degli stillicidii verso la strada "ita quod non possint offendere transeuntes". La manutenzione del portico e delle grondaie, come quella delle strade, restava in perpetuo a carico dei frontisti ciascuno per la sua parte. Intorno allo stesso tempo le mutate condizioni di vita consigliarono di riformare ancora le dimensioni dell'antico portico, prescrivendo negli Statuti, che l'altezza minima fosse portata ad otto piedi, almeno, e la larghezza a sette. Ne consegue che le costruzioni più antiche, specialmente quelle situate nelle vie principali e dentro la cinta murata del Duecento, nonostante le demolizioni e i guasti posteriori, conservarono non pochi elementi architettonici originali, dipendenti dalla posteriore aggiunta del portico, mentre le case e i palazzi che sorsero dopo il tumulto dei Ciompi, in genere, sorsero con facciata adorna di portico più alto, sostenuto da colonne di legno, ad un solo piano e con finestre ogivali, spesso decorate di terracotta. Ma già sul cominciare del secolo XV e all' apparire del primo Umanesimo la Casa bolognese compie del tutto la sua trasformazione, fino ad includere il portico come parte della nuova facciata o testata dell'edifizio prospiciente la via.
Già fin dal principio del secolo XII il diritto pubblico aveva regolato la manutenzione delle strade attribuendo ai rispettivi proprietari delle case l'obbligo di provvedere a proprie spese per selciare la parte loro, sotto pena di gravi ammende, non solo dentro la cinta, ma anche nei borghi. Tutte le vie che conducono alla Piazza, come l'odierna Via Piave, la Via d'Azeglio dalla Chiesa dei Celestini, Via Indipendenza dalla Chiesa di S. Pietro, dalla Piazza della Mercanzia, dal Carrobbio per la Ruga degli Speziali fino a Piazza e tutte le altre per cento pertiche di comune misura, dovevano essere selciate di sassi accostati, nel mezzo per cinque piedi, ossia per quanto comprendono le ruote d'un carro, e ai lati invece si dovevano usare pietre cotte collocate per traverso. In queste vie centrali, così anguste, i palazzi e le case erano piccole e basse in origine, e soltanto più tardi si svilupparono prendendo un aspetto omogeneo e uniforme; talune di queste vie conservano ancora qualche edifizio, che presenta uno sporto sostenuto da mensole, fatte da travi all'uopo collocate, e resta ricordo di qualche altro, come il palazzo Pepoli, che dal lato di Via Piave, fino al 1699, ebbe il portico antico su travi di legno adattate e infisse nella facciata. Nelle vie più larghe il portico sorse quando fu possibile, come nel primo tratto di Via Malcontenti, ora Indipendenza, dalla Chiesa di S. Pietro alla Piazza, e rimase fino al 1742, quando fu costruita la facciata sopra l'antico portico che a sua volta datava dal 1500. Ma la più antica facciata della Chiesa non interrompeva, come al presente, la linea retta con le altre costruzioni laterali, che in un tempo assai remoto, esse pure mancavano del portico, aggiunto e trasformato via via nel corso dei secoli che seguirono fino ad assumere l'architettura, di cui ora si adorna ciascun edifizio. Il principio e il criterio giuridico, su cui è fondata la concessione di suolo pubblico ad uso privato persiste invariato e costante per parecchi secoli, e fino a quando non vengono a mutarsi profondamente le condizioni e i criteri dei tempi, È opportuno a tal proposito tener presente che soltanto una parte delle case e dei palazzi bolognesi è fornita di portico con le cantine sotterranee, che ricevono luce direttamente dalla strada; la maggior parte non ha le cantine scavate fino a quel limite estremo e gode di luce assai più indiretta e povera. Dai documenti e dalle carte più antiche del Comune si conosce che il Senato di Bologna, preferendo l'interesse pubblico al privato, fu sollecito di far osservare rigidamente le disposizioni riguardanti l'ornato e che, se talvolta per evidenti ragioni di opportunità fu indotto a concedere l'uso di qualche parte di suolo pubblico, conservò tuttavia intatte le prerogative di proprietà e di dominio attribuite per ininterrotta tradizione al magistrato dei Difensori dell'Avere. Costruire un portico nuovo, atterrarne uno antico, ricostruirlo sotto altra forma, occupare una piccola parte di suolo, destinato specialmente al transito dei cittadini, con colonne di macigno o con pilastri di forma e dimensione diversa dalle antiche travi, ed anche sostituire le colonne e alterare l'aspetto e le dimensioni del portico, o l'altezza della casa, era oggetto di spettanza dell' Ufficio d'Ornato e richiedeva una speciale concessione da parte del pubblico magistrato. Non parliamo poi di chiudere il portico e di incorporarlo nel nuovo edifizio, come ottenne di fare il Cav. Virgilio Ghisilieri nel 1510 ricostruendo il suo palazzo, ora Hôtel Brun, e il Conte Aldrovandi, quando nel 1732 costruì la principesca sua dimora in Via Galliera. Riguardo alla storia del portico bolognese sono da distinguere due diversi momenti: l'uno che è di rigida e severa osservanza delle tradizionali disposizioni relative all'ornato, conciliate in progresso di tempo coi criteri di subordinare l'interesse privato al pubblico e l'altro, posteriore, della prevalenza di privilegi; ma in nessun caso e in nessun tempo il Senato di Bologna si indusse ad alienare il suolo del portico, che ab immemorabili faceva parte integrante della strada pubblica. Al principio del secolo che preparò la rivoluzione francese, anche in Italia si cominciava a sentire la necessità di frenare, se non ancora abolire i molti, anzi innumerevoli privilegi e abusi privati; e allora il Senato di Bologna, con suo decreto del 29 agosto 1719, si indusse a stabilire che in appresso qualunque persona domandasse di acquistare suolo pubblico, per qualsiasi causa, non lo potesse conseguire, se non dopo aver pagato il prezzo convenuto tra gli Assunti d'Ornato e i richiedenti. Ma ormai le concessioni di suolo pubblico in città erano già state fatte nei corsi dei secoli passati.
Alcuni nobili edifizi erano sorti anche senza portico, altri avevano ottenuto la gratuita concessione di includerlo nelle ricostruzioni, ma la maggior parte rimase intatta e potè conservare il carattere e l'aspetto tradizionale. A lato dei ricchi ed eleganti edifizi del periodo bentivolesco adorni di magnifiche terre cotte, rimasero le più umili e modeste dimore, quelli col portico sostenuto da colonne di pietra o di macigno fregiate di capitelli, scolpiti nelle più varie forme, queste conservarono le semplici travature sovrapposte, fino a quando le antiche colonne di legno, logorate dal tempo, furono sostituite con semplici e rudimentali pilastri quadrati, o da semplici archi a tutto sesto. Il portico per i suoi vari aspetti e forme nell'architettura civile della Rinascita, si manifesta l'elemento più importante e significativo e dimostra la continuità e il valore storico della tradizione, che da Bologna irraggia e si propaga decrescendo fino verso i minori e più lontani centri dell'Emilia e della Romagna. Soltanto in Bologna presenta le forme più varie, sia per il tempo in cui fu costruito, e sia ancora per i conseguenti e progressivi mutamenti che ebbe ad assumere attraverso i secoli per le condizioni speciali di luogo, di opportunità e di tempo. Dalla prima e rudimentale sua forma architravata, con colonna di legno appena squadrata e quasi sempre priva di ornamenti decorativi, si passa a quella con travi sagomate e adorne spesso di volute terminali, più o meno semplici ed aggraziate, che danno al complesso del portico un aspetto singolare di robustezza e di eleganza solenne ed austera. Certo il portico del Duecento non s'accorda colla maestosa architettura romanica e si presenta poveramente vestito di pregi artistici, ma talora tenta di adornarsi anche di soffitti a lacunari, dipinti con vivaci colori a coprire la rude monotonia del legno grezzo. Ma poi sul suo progressivo sviluppo il portico bolognese sorge su degli archi di pietra a sesto acuto, che si adornano di ghiere lavorate maestrevolmente a colpi di martellina con disegni geometrici, quando l'arte figulina ancora non aveva assunto un grande sviluppo e la scultura decorativa presso di noi appena offriva qualche timido e rudimentale modello di ornato nelle finestre bifore delle chiese e di qualche edifizio pubblico. Oramai sulla fine del Trecento il capitello delle colonne della Mercanzia e delle chiese di S. Petronio e dei Servi appare già riccamente decorato di fogliami e di altri ornamenti, mentre le nuove costruzioni civili vanno sostituendo al portico in legname, quello in muratura, con colonne di pietre poligone e capitelli ornati di una semplice foglia d'acanto negli angoli, finchè il secolo seguente col trionfo della Rinascita svolge compiutamente in tutta la sua maestà e ricchezza di tipi e di forma il pensiero artistico che s'ispira ai modelli della rievocata architettura romana. Il Quattrocento ricostruendo i nuovi edifizi, traeva in luce dai fondamenti i preziosi e mirabili resti dell'architettura classica sepolti da un millennio e con essi e per essi riviveva nel culto e nei ricordi solenni dei suoi maggiori, fabbricando la nuova casa sulle loro vestigie. La casa bolognese si adornò a poco a poco del suo bel portico, delle sue graziose ed eleganti colonne, delle sue bifore, dei suoi architravi e dei cornicioni magnifici di terra cotta, più spesso che di macigno o di marmo di Varignana e di Piancaldoli e proseguì ancora nel suo sviluppo finchè le condizioni economiche non trasformarono i sistemi di costruzione. Accanto alle antiche splendettero per parecchi secoli al sole sfolgorante delle primavere bolognesi le nuove e non meno maestose costruzioni, e i portici rimasero sempre nelle abitudini e nelle tradizioni di Bologna la Bella, la Grassa e la Dotta, tenacemente latina e romana di costumi, di aspirazioni e di storia fino ai tempi più recenti.
Ma soltanto all'età nostra, dopo alcuni secoli, doveva riapparire tutta l'importanza di questo elemento architettonico, considerato in rapporto alle vicende economiche e politiche dei tempi e alle condizioni topografiche delle diverse città, dove si manifesta e conserva ancora nelle sue forme originali e genuine il suo storico svolgimento. Il forestiere visitando la nostra città resta colpito e ammirato del singolare ed imponente spettacolo che gli si offre dinanzi e che non riesce bene a comprendere nella maestosa e austera bellezza, intimamente latina. Non reca meraviglia che alcuni siano indotti a fantasticare sulle cause dello strano fenomeno e a supporre che il portico sia una naturale conseguenza delle condizioni speciali di clima della città per la sua posizione geografica, nè cerchino di più, ed è naturale che altri, più arditi, che dotti nella storia della città, giungano a riportare l'origine del portico fin verso le piu remote origini della civiltà, risalendo per rapidi sentieri verso i più tortuosi e oscuri meandri della preistoria. In genere gli stranieri e i forestieri finiscono per avere a noia il portico di cui essi sono assai lontani dal sentire il fascino, nè tanto meno oggi giungono a intravvedere la convenienza diuturna e la ragione storica della sua esistenza. Per la maggior parte dei moderni e degli stranieri non è molto più di una stranezza e di una curiosità dei tempi andati, che non ha più nessun valore storico e morale. Ma i Bolognesi di ogni secolo da un millennio hanno preso ad amare intensamente i loro portici, talora paurosi e foschi nei lunghi e tristi silenzi e nelle penombre grigie dei giorni e delle notti invernali, talor melanconici e suggestivi sotto la bianca luce della luna, talor sereni e sfolgoranti al tiepido sole di primavera o benigni e discreti d'ombre nei torridi meriggi estivi. Come vecchi e fedeli amici fin dalla prima infanzia, in ogni ora del giorno o della notte si offrono a proteggere l'industre cittadino lungo il corso, un tempo più quieto e sereno, ora più agitato e febbrile, della sua vita quotidiana, che la sera cerca pace e tregua alle assidue fatiche presso di essi, sempre costodi fedeli delle domestiche mura.
LINO SIGHINOLFI
I) GOZZADINI GIOVANNI, Note per studi sull'architettura civile in Bologna dal secolo XIII al XVI, in Atti e Memorie delle RR. Deputazioni di Storia Patria per le Provincie dell' Emilia. Modena, Vincenzi e Nip., 1877, pag. 7 segg. (1)Statuta Comunis Bononiae, 1250, Libro I, Rubr. XXVI, I, 188. Et procurabo etc. Et porticus omnes civitatis et suburbiorum sint altitudinis VII pedum a terra supra, ita quod quilibet possit sub eis equitare, et ille cuius fuerit porticus teneatur ipsum elevare et non fodere et facere quod sit tante altitudinis usque ad Kal. aprilis, in poena et banno trium librarum bon. medietas cuius sit accusantis. (2)Statuta Comunis Bononiae, 1389, fol. 425. De porticibus factis et fiendis manutenendis in Civitate et burgis Bononie. Statuimus quod omnes et singuli habentes in Civitate vel burgis Bononie domos si congruenter possunt habere porticus ipsos si porticus facte non essent teneantur fieri facere et complere quilibet suam testam poena et banno quinque librarum bononinorum. Et nihilominus facere fieri compellantur. Si autem facte sunt manuteneantur perpetuo cum suis grondariis et stilicidiis versus stratam, ita quod non possint offendere transeuntes, expensis eorum quorum predicte domus sunt vel erunt seu ad quos pertinerent. Si que vero domus de novo fierent debeant habere sufficientes porticus ex latere vie seu strate et in eis manuteneantur ut supra sub poena predicta. Et predicta pertineant ad offitium Notarii Stratarum Domini Potestatis. Et debeat esse quelibet Porticus de novo fienda altitudinis decem pedum ad minus per totum et latitudinis decem pedum. Porticus vero iam facte si fuerint latitudinis septem pexdum ad minus. sine omni ingombramento, et octo pedum altitudinis ad minus per totum vero removeantur invito possessore. Si vero minus late vel alte essent tunc ad modum congruum reducantur arbitrio Notarii supradicti. Que porticus libere et expedite teneantur sine aliquo imbrigamento, ita quod per eas pedes libere transiri possit sine impedimento bancarum, vel aliorum opponendorum, affixorum vel non affixorum vel laborantium saltem quatuor pedibus ad minus, pena qualibet vice viginti soldorum bononinorum pro quolibet affixo et decem soldorum bononinorum pro quolibet non affixo, seu laborante. Et nihilominus appositum removeatur seu laborare probibeatur. Et quilibet possit denunciare et accusare contrafacientes. (Testo tratto dalla rivista 'Il Comune di Bologna', novembre 1925).