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Esposizione alla Pontificia Accademia di Belle Arti 1856

1856

Schede

"Riaperte le sale accademiche, rientrava il pubblico a udire, vedere e parlare di Belle Arti. Un dotto eloquente oratore (sig. Rocchi professore d'Archeologia) confrontando l'eccellenza delle classiche opere antiche colla inferiorità delle moderne, ribadiva in capo a molti la radicata opinione, che l'arte italiana languisca sempre nella decadenza, che dai michelangioleschi precipitò ruinando sino a noi, come se Appiani, Canova ed il vecchio Antolini ai napoleonici tempi non si fossero fatti a ristaurarla; come se nulla operato avessero per farla risorgere i Camuccini, i Benvenuti, i Nenci, i Sabatelli ed i Palagi; nulla i Finelli, i Tenerani ed i Tadolini; nulla i Nadi, i Venturoli ecc.; come se non si fossero mai spinti innanzi Podesti, Agricola, Cochetti e Malatesta; non Hayez nè Sogni; non Bartolini nė Duprez; non Longhi, non Morghen, non Garavaglia, non Toschi, non gli allievi di Rosaspina. Che se ai giovani artefici che, sconoscendo tali maestri, ora invaniscono, e vinti al mal costume della età nostra, più l'oro amano che la gloria, volle l'erudito arringatore fare allusione, non era da spargere d'oblio chi superando la ingratitudine del tempo, ed abnegando, ha meritato della patria comune. Tante lagrime non si verserebbero sulla tomba dell'Italia artistica, se ricordare si volessero i Mercanti scacciati dal Tempio esposti da Chierici in Roma, l'Assunta dipinta da Grigoletti in Venezia, il Colombo di Conconi a Milano, i Funerali di Tiziano mostrati a Torino dal Gamba, i Profughi Sienesi del Pollastrini a Firenze.

E noi in Bologna, non abbiamo veduto la Tumulazione di Cristo, e non veggiamo ora la Conversione dell'Innominato di Guardassoni? E non abbiamo sott'occhio l'Ercole ed Anteo del Barzaghi? Dove sono adunque le tracce della decadenza? Forse in quella magnifica figura del pentito Lombardo, ed in quel suo capo, a cui non è parola che possa dare sufficiente lode, anzi non potenza di pennello che farlo sappia più vero e più bello? Forse nella pietosa espressione del Cardinal Federigo, nel piegamento del suo rocchetto, nella brillante luce, nel rilevante chiaroscuro, negli accessorii? Altri vi cerchi pure colla lanterna di Diogene gli errori e trovi il volto del Borromeo meno fatto dell'altro; disapprovi il parallelismo nelle pieghe della cotta, e colle seste alla mano desideri aggiunta qualche linea nella inferiore parte del porporato; io per me ammiro sempre un capolavoro in questa giovane italiana pittura. Ma ella è una eccezione, alcuni soggiungono, e non estendibile al generale stato della vivente arte; ed io mi avvicino allora al premiato San Giovanni di Gregori, di cui rammento gli encomi in questo medesimo periodico pubblicati al numero 57. Più di tutto richiamo gli amatori dell'arte dinanzi al Tasso ed Eleonora di Giulio Ferrari. Concedo ai severi critici che l'abbaglio delle sete, delle stoffe, dei velluti, dell'oro e delle gemme, così evidentemente imitati e tersi, nuocano all'interesse che i protagonisti vorrebbero; ma vengo osservando che liberamente sono questi accessorii trattati e non colla medesima finitezza delle carni, e che altrimenti facendo, la richezza della corte estense non sarebbe rappresentata: onde meglio tornerebbe (secondo alcuni) altri soggetti trascegliere, ove nelle così dette pieghe di stile, e nell'intelligenza dei nudi rimanesse campo di sfoggiare; e quivi sarebbe poi tolto alla storia del medio evo ed alla moderna quel vantaggio che s'ebbe l'antica. lo, senza recare opinione propria, dico solo che nel classico e biblico genere ha pur dato lodevoli saggi il Ferrari, e che in questo suo quadro è gusto, eleganza e valore. Sia pure terrea la carnagione di Eleonora troppo fiorente quella di Torquato, e nella fisonomia di lui non si legga tutta la nobiltà che gli attribuisce la fama: e perfino gli si condanni il passo che ha del teatrale; non so perchè non abbiasi da perdonare vivacità di movenza a chi, declamando un carme quale tacita dichiarazione di amore, venga rallegrato da un segno di corrispondenza ch'era follía sperare. Una qualche differenza poi di piano prospettico dove posa il Tasso, una qualche altra osservazione, che si possa aggiungere, non oscurano i rari pregi di una tela che promette in Giulio Ferrari un perfetto dipintore alla patria. La sventura, che seguì l'amore del Cantore di Gerusalemme, è poi rammentata dal timido pennello di Ippolito Bonaveri, il quale non facendolo rinchiuso nella cameretta che tradizionalmente si mostra nell'Ospedale di Sant'Anna a Ferrara, ma in un manicomio ove pazzi di vario sesso veggonsi radunati, miserevole scena e degradante, apre agli osservatori. Rifinito, in guisa da muovere ribrezzo, è l'infelice poeta: un carceriere di gagliarda persona introduce il filosofo Montaigne, che afflitto resta con patetica ma ignobile espressione. Due figure hanno qualche parte ignuda, ben intesa l'una, l'altra di falso colore; nel resto buon effetto, se non fosse chiarore soverchio nel visitante; e per ultimo, generale mestizia ricercatrice del cuore ove meno funesta avvenisse la prima sensazione. Un artista provetto, onore della nostra accademia, il professore Antonio Muzzi, colla facile sua maniera ci ha ricordato la Prigionia di Galileo ritraendolo dall'effigie che ne fece Sutermans, tutta non riproducendone però la filosofica dignità. Forse piucchè dai lineamenti, ciò proviene dall'inchinazione della persona, intento essendo egli a disegnare, novello Archimede, sul terreno, quantunque abbia sul tavolo di che farlo a miglior agio: oltrachė pare si possa anche osservare che quei satelliti di Giove ed il resto del sistema planetare, ch'egli traccia guardando al cielo per un pertugio supposto in alto dell'ambiente, non si scorgono ad occhio inerme, mentre qui manca il telescopio dall'immortale astronomo appositamente inventato per vederli: sicchè non altro indicandosi dall'alzar degli occhi se non che aspirazione alla celeste volta, molti avrebbero voluto più sostenuta la posa del Pensatore. Altri desidera poscia più vivida la ristretta luce, altri meno incerti i contorni, ed alcuni meglio intesa vorrebbero la gamba che deve sporgere innanzi. Tutti lodando poi l'intelligenza delle estremità, il magistero del pennelleggiare; ed altri pregi dovendoci essere, cui i profani dell'arte non giungono ad apprezzare, bell'ornamento dell'Esposizione nostra vuolsi avere questo quadro. Seguace del Muzzi, ma con maggior effetto di luce pare Luigi Busi che, essendo giovinetto, colle ammanierate estremità e coll'ardimentoso tocco, accenna a vizio vicino, ove non rattempri l'anelante suo genio, tranquillamente mirando natura, e consultando i più puri fra i celebri antichi. Egli ha fatto Nicolò de Lapi che, prima d'essere tratto a morte, perdona alla figlia sposata a un traditore della patria; ma egli non è più l'indomito capo di parte, perchè piange atterrito: non ha più le vigorose membra dell'uomo d'arme, perchè ha troppo esili gambe: non è più l'austero censore del fiorentino popolo, che dalla persona delle dame insultatrici la pubblica miseria faceva le gemme strappare, perchè non si sdegna alla sfarzosa veste di colei che dinanzi gli cade. Un altro episodio di prigionia ci offre Antonio Rosaspina, rappresentandoci la Cenci, che seduta in riva al letto sta rivolta impassibile verso di un giovane pittore che la ritrae, il quale sarebbe Guido Reni, se più anima dimostrasse nel cominciare un ritratto che ora è si prezioso ornamento della galleria Borghese: tanto più che ardentemente aveva egli bramato, dicono i romanzieri, ammirare da vicino questa ch'esser dovrebbe stupenda bellezza: e però, era qui dentro penetrato come scriba del Farinaccio, difensore di lei, il quale pittorescamente grandeggia occupando il mezzo della scena, mentre fra la stupidezza e la noja lo attende in naturale positura il carceriere. Le melanconiche tinte del fondo, l'abbassamento di tono negli accessorii operano la mestizia del luogo, piucchè le espressioni; le estremità sono ben disegnate, e sarebbero egualmente dipinte, se una leggiera tumidezza, che dovunque domina, non ne diminuisse il valore.

La guerra di Crimea era in qualche episodio rappresentata. Luigi Masetti, largo e intelligente pittore, da un nostro modello che fu soldato ritrasse una sentinella avanzata in atto di armare, che al carattere della faccia ed alla foggia barbaresca veramente si ravvisava per un Zuavo: ma stando egli di piè fermo a guisa di granatiere, non aveva lo slancio di quegli arrischiati uomini che prima superarono l'altura d'Inkermann, come diceva l'iscrizione di sotto al quadro, oltredichè falsificato sembrava il cielo per un cotale verdognolo. Un valoroso dragone piemontese giocante di spadone tra la picca di un cosacco e la scimitarra di un russo cavalleggero, era pittura del giovane Raffaello Alberi, il quale, se infuse anima nei combattenti, non fece secondo bella natura i cavalli, nè secondo il dritto dell'età moderna, la quale assai migliori ne vide, piucchè dal Rosa e dal Borgognone, da Bezzuoli, da Vernet, e in genere dai Francesi, tuttochè alla presente Esposizione abbia recato meschina prova di equestre pittura un pennello parigino. Il marchese Filippo Calvi trattava pure argomento sardo, facendo Una coraggiosa Suora della Carità, che in battaglia porge soccorso ad un ferito ufficiale sostenuto da un bersagliere; quadretto, non fosse altro, pregevole per la verità, onde era espressa nella esangue carnagione la dubbia morte, e lodevole pel diletto che prende il giovane gentiluomo alla nobil arte, non per l'offerta che fe' dell'opera ad una Società istituita per proteggere gli artisti che n'hanno d'uopo; sicchè essa per avventura non l'accolse. Una mezza figura egli inventava ancora di tipo bolognese tra il cittadinesco ed il suburbano, ritraendola da una Lavandaia con molta gaiezza di sembianza e di tinte, nel cui volto rosseggiava, benchè alquanto artificioso, il fresco fiore di gioventù e di salute; peccato che scarno e non bene attaccato fosse un braccio alla bella persona, sembrando quasi fatto da diversa mano. Altra graziosa mezza figura, una Lavoratrice di trine, a tenuissimo prezzo presentava alla Società Protettrice, che di buon grado acquistavala, il modesto Pietro Montebugnoli, il quale se troppo grandiose proporzioni non avesse dato all'inferiore parte di quella sua avvenente donna, e pel disegno e per l'impasto l'avrebbe fatta perfetta.

Molti ritratti furono somiglianti, ed alcuni assai belli: finitissimi quelli che del proprio padre e del professore Badiali fece il professor Gaetano Serra Zanetti. Gli altri che mandavaci Lodi Massimo, apparivano mirabili per maestria di fare: solo erano disapprovate leggiere livide tinte nel volto della Contessa Prosperi di Ferrara, mentre faceva contenti gli occhi quello del suo Consorte, e più ancora l'altro di una Signora Veneziana per l'egregia modellatura della testa e delle mani, e per l'intelligenza del chiaroscuro: che se alcuni desiderarono a delicate carni maggiore vaghezza di colore, nell'originale era la cagione. Fra i quadretti di genere primeggiava la Famiglia del Pescatore rappresentata da Enrico Savini, il quale aveva dipinto un rozzo uomo di spiaggia, che alla madre, alla moglie ed al figlio un tristo spettacolo dava della ebbrezza, ove la verità, la bellezza dell'effetto e la facilità del tocco rendeano piacevolissima sensazione: e se da austeri osservatori, che chiamare si potrebbero puritani, tali sconcie scene si vogliono tolte al ministero della pittura, che maestra dovrebbe essere di costumi, altri sonovi pure i quali coi severi Lacedemoni stimano che anche la vista di un ebbro ilota possa ammaestrare.

Poche furono le figure di prospettiva, e vi meritò lode una piazza in giorno di fiera, immaginata da Antonio Turtura, la quale, meno l'aria per soverchio biancore distonata, mostrava in libera reminiscenza feracità d'invenzione. Ma il Cortile di un palazzo Spada, copiato da Giuseppe Ravegnani, presenta tuttociò che possa l'arte in simil genere, essendochè l'aggiustatezza della lineare ed aerea prospettiva, la luce del sole che batte sull'alto, e perfino l'umidità dell'erba parassita e dei muri, non che lo sfondo che dà nella strada, ti rendono il vero.

Il paesaggio pure in quest'anno producevasi per l'illustre pennello del professore Ottavio Campedelli, se non colla bellezza de' passati suoi tempi, sempre colla magistrale esecuzione: una spianata con fiume e poggio ed alcuni alberi formavano la scena amenissima, entro cui l'occhio spaziando vedeva come per leggero vento fremere le foglie di due gentili pioppi campeggianti innanzi a due quercie di nobile forma, alle cui ombre pascevano capre vere e bellissime; sicchè la poca limpidezza dell'acqua ed il giallognolo dominante, alla età del celebre autore si perdonavano. Ferdinando Fontana ci diede un bosco per grande fantasia trovato e fatto, il quale se con maggior frizzo di luce in alcune fronde avesse brillato, non avrebbe fatto dire a molti, che sfondo non eravi sufficiente; e se minore bravura di pennelleggiare avesse dispiegato, anche a' volgari occhi avrebbe recato diletto, i quali da vicino avrebbero saputo gustare bellezza di forme e di tinte negl'intricati rami e nei tronchi: forse per ciò, o perchè l'abile artista non raggiunse quel che fe' l'anno scorso, la Società Protettrice, con dispiacere degli ammiratori di lui, non istimò dovere il suo quadro acquistare. Nondimeno egli è benemerito dell'arte, conciossiachè a questa medesima esposizione abbia concorso un temporale di Pietro Poppi, il quale, mentre assai dilungasi da quanto espose per lo passato, mostra quanto gli abbiano fruttato i consigli e l'esempio del Fontana. Fortunato Peletti, in una maravigliosa marina fingendo la navicella di Pietro chiamata alla spiaggia da Cristo, ha sfoggiato di facile arte e veritiera sì nel moto e nella diafaneità delle onde, che nell'aere vaporoso del cielo, per non dire delle macchiette, le quali, se non era la soverchia lunghezza del Redentore, apparivano mirabilissime e gareggianti col tutto, meno con due palme su cui trovano di che ridire gl'intelligenti. Alfonso Manfredi, che di buon grado sbandito ha dalla tavolozza quel giallo onde sassi e piante un tempo indorava, ora è ricomparso naturale paesista, avendo offerto un mattino in luogo montuoso, dove le belle forme dei dirupi e degli alberi hanno giuste tinte sia di vivido sole nascente, che d'umida rugiada; a tale che begli auspicj di lui ripromettiamo. Luigi Venturi, che pure alle critiche non fu mai sdegnoso, e sempre corresse ove persuaso fu dell'errore, ha dipinto con piacevole effetto le reminiscenze di un fiume (forse il nostro Reno) che, lambendo le falde de' suoi monti, innalza sulle prime ore del di un leggero vapore, che quasi nebbia fa velo alla cresta direbbesi di Montovolo: nel quale luogo, se non trovi pittoresco taglio ne' dirupi, varie peregrine doti ti restano a lodare, avvedendoti che l'artista ha di non breve passo avvantaggiato nell'arte; al che pensiamo abbia anche influito il campo ch'egli ebbe di grandeggiare in una sala, che il conte Gaetano Zucchini si piacque allogargli, offrendogli straordinaria occasione non più ripetuta, dacchè i principi Hercolani ameno resero il loro palazzo di Bologna, invitandovi l'immortale Fantuzzi a tutte fingervi le bellezze della campestre natura. Ed il Venturi, se certamente a così grande altezza non poggiò, nondimeno in quell'opera, che di tal genere eragli nuova, superò sè medesimo, dipingendovi alte piante con proporzione vera e distinto carattere, non che tale una forza di colore, che difficilmente sarebbesi detto lui essere pittore ad olio, che alla fallace tempra fosse così rapidamente trapassato: le larghe foglie del platano, le minute della quercia e del pino, le cadenti del salice, i fiori, i lontani castelletti che si veggono formanti come svariati quadri che il tutto non disturbano, e la serenità del cielo, la fuga degli alberi che si dilungano gradevolmente a chi entra e vi si posa, perfetto tale paesaggio renderebbero, se più vera corresse l'acqua, e più limpida zampillasse una fontana; più lontano fosse l'orizzonte, meno simmetrica ed uniforme la disposizione degli oggetti, fra i quali non è da tacere una villa, a cui migliore stile architettonico e maggiore prospettiva aerea vorrebbesi adoperata.

Una pagina volendosi per consacrare all'amabile sesso che gentili opere tributa alle Sale del Bello, non austera correrà nè scortese la penna. Incredibile progresso artistico, dall'anno decorso, mostrava l'invenzione di una mezza figura di antico costume greco, rappresentante il fatale amore di Saffo, esposta dalla signora Luisa Bonora nata Gandolfi. La poetessa di Lesbo, per ingratitudine del bellissimo Faone, è all'ultimo furore: colla disperata destra strappasi il lauro dalle chiome sciolte, colla sinistra getta quale inutile strumento la cetra, e balza dal quadro come precipitando dal sasso di Leucade. Ecco perchè dilatate sono così le nere pupille nei grandi occhi quasi uscenti dall'orbite, e perchè più non circola per le vene il sangue, il quale accorse al cuore, lasciando spaventevole pallore alla bruna e biliosa carnagione. Infelice Saffo! esclamavano a tale vista le donne innamorate, e con esse gli onesti uomini che non immolarono mai vittime all'amore; i memori dell'ultima scena di Amore ed Arte, e delle patetiche odi di Lei; e perfino quegli antiquarj che in essa non ravvisavano nè la medaglia farnese, nè il busto capitolino. La marchesa Teresa Spada con quattro piccole pitture graziosamente attraeva gli sguardi, in due mostrando fresche acque segrete e ombrose piante; e negli altri un canale, un ponte e varie fabbriche di Venezia con carattere e diligenza ricopiate. Una schiera di studiose giovinette poi aveva offerto quanto le loro matite ed i pennelli sottrassero dal tempo dato ad altra leggiadria di lavori. L'Albina Guadagnini una Santa Famiglia di Laroche, e da una tela di Gerard lo sbarco di Lord Byron in Sicilia. Si distinsero ancora per buone traduzioni di stampe e litografie le sorelle Brigbenti e le Berti. E non è da tacere l'intelligente pazienza di Marianna Trenti che condusse fili di seta a rappresentare la Peste di Firenze. Ma piucchè dilettante, vuolsi tenere artista madama Giuseppina Roidebard di Lione, che, la virile arte della plastica esercitando, due busti ha presentato assai pregevoli per la maniera onde furono modellati, avendo ella ritratto il prof. Rizzoli ed il dott. Daveri, l'uno per reminiscenza, e l'altro in poche ore. 

E quivi caduto essendo il discorso nella scoltura, che in quest'anno pochi e languidi segni diè di vita in Bologna, con grato animo pronunciasi il nome dell'unico espositore Federico Monti già premiato autore del Genio della Pace, il quale avendo effigiata la madre con grande osservazione del vero, dà speranza a quei critici che si dicono naturalisti, possa egli presto deporre il lieve convenzionale che vogliono scorgere nella sua statua dell'Innocenza, mentre altri, che sono grecisti, gli si fanno consiglieri perchè maggiormente studi l'antico. Quelli poi che nè di estetica nè di plastica sanno, veggono con piacere quella colomba che a simbolo della giovinetta le gira sul dorso della mano. Di troppe altre opere degne di menzione, e dell'architettura resterebbe a dire; ma non consentendolo l'indole e la brevità del presente periodico, a più opportuno luogo e tempo, se non manchi benignità di lettori, mi riserbo.

Prof. Giuseppe Bellentani"

Testo tratto dal settimanale "Le Belle Arti", edito a Milano da Vittore Ottolini, 1856. Dicembre 2024.