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Donne nell’arte - Immagini femminili da album e periodici illustrati

1796 | 1920

Schede

Dai figurini di moda, rigorosamente parigina, ai periodici italiani, inizialmente di imitazione francese, dedicati alla donna sotto i due aspetti– conflittuali– della tradizionale dimensione domestica e della nuova vita sociale, è un fiorire di rappresentazioni solo apparentemente frivole e oleografiche, ma spesso ironiche e qualche volta sarcastiche, opera, fra l’altro, di artisti e illustratori di vaglia: accanto a Dudovich e Kirchner, troviamo Alfredo Baruffi (Barfredo), Augusto Majani (Nasìca), Eugenio Colmo (Golia), Duilio Cambellotti, Luigi Bompard, Aleandro Terzi. Chiave di volta per comprendere i due secoli che si fronteggiano, ‘il buon gusto’ che il francese Georges Goursat (alias Sem) rivendica nel proprio album Le faux et le vrai chic, contraltare visivo del mondo messo in scena da Proust, dove si delineano alcuni personaggi di donne anziane assurde e appariscenti che aspirano ad essere eleganti ma riescono solo parodie degli stili esagerati del periodo, e, all’opposto, signore giovani e aggraziate che comunicano anche attraverso l’abbigliamento i caratteri di forza, agilità, moto e rapidità, icone del Novecento.

Le riviste di moda nascono in Francia nel Settecento | Fino a quel momento la moda era esclusiva, destinata alla corte. Dopo la Rivoluzione francese si assiste a una moltiplicazione di riviste e gazzette, segno che sono aumentate le donne che sanno leggere, non solo tra le classi più agiate, e vogliono ‘copiare’ i modelli delle signore aristocratiche. Le riviste infatti presentavano cartamodelli per le sarte. I giornali di moda parigini inizialmente avevano al loro interno solo tavole, con brevi didascalie descrittive che, con il tempo, si svincolarono dalle immagini assumendo la fisionomia di articoli, ma rimanendo piuttosto succinte. Le notizie riguardavano le ultime invenzioni della tecnica, la cronaca cittadina, l’arte, la letteratura, inclusa una selezione di testi consigliati di vario contenuto (scienza, filosofia, romanzi). Questo sarà il modello a cui si ispireranno le testate italiane, cercando di imitarne contenuti e illustrazioni, e aspirando alla medesima qualità artistica.

L’affermazione di un genere editoriale | Tra il 1861 e il 1920 si assiste a un fenomeno editoriale di notevole entità (nascono 75 giornali di moda a Milano, 13 a Torino, 11 a Roma, 11 a Genova, 5 a Firenze e a Napoli), le cui ragioni vanno ricercate nel nuovo clima sociale e culturale dell’Italia post-unitaria e nello sviluppo tecnologico che investe in questi anni il mondo dell’editoria. Il proliferare delle riviste di moda nella seconda metà dell’Ottocento si inserisce nella più vasta operazione di produzione e diffusione della stampa periodica illustrata mirante a raggiungere un pubblico più vasto. La progressiva crescita del tasso di alfabetizzazione e l’esigenza di un pubblico d’estrazione essenzialmente borghese di dare riscontro alla propria ascesa economica e sociale mediante l’imitazione di modelli comportamentali mutuati dall’aristocrazia, sono determinanti per il successo dei giornali di moda e stimolano molti editori, grandi e piccoli, a cimentarsi in questo campo, con la prospettiva d’una vantaggiosa operazione commerciale sul piano sia delle vendite sia degli introiti pubblicitari. La diffusione del giornale di moda investe inoltre anche in alcuni settori delle classi popolari come quello delle modiste, delle ricamatrici e sartine che vi trovavano strumenti utili per la professione.

Caratteri formali e contenuti della rivista di moda | Queste pubblicazioni, oltre ai figurini e alle rubriche dedicate all’abbigliamento, contengono anche testi letterari, recensioni teatrali, consigli pratici per l’igiene, l’economia domestica, la cosmesi, suggerimenti di galateo, oltre a informazioni su argomenti di attualità e di costume. In sostanza, ciascuna di queste riviste si propone come una summa di quelli che, nella società borghese del secondo Ottocento (e oltre), vengono unanimemente ritenuti gli interessi femminili, secondo uno schema teorizzato anche nell’opera di Cordelia – alias Virginia Tedeschi Treves (1849-1916), moglie dell’editore Giuseppe Treves – Il regno della donna, pubblicata nel 1879: la gestione della casa, l’educazione dei figli, la vita di relazione, la cura del proprio aspetto in funzione dell’apprezzamento maschile e del riconoscimento sociale. Anche gli spazi pubblicitari ricalcano questo schema. Infatti, nonostante che i giornali soprattutto parigini proponessero il modello della donna coraggiosa e capace di destreggiarsi in situazioni diverse, raffigurata a cavallo, in mongolfiera, alla guida di autovetture, nella pratica di sport, il messaggio era poi bilanciato da altri articoli e immagini che confermavano il tradizionale ruolo della donna. L’informazione sulla moda all’interno di queste riviste occupa uno spazio molto rilevante: alla moda è normalmente dedicata la rubrica di apertura, oltre a diversi articoli nelle pagine interne, e ciascun fascicolo è accompagnato da numerosi allegati (figurini, cartamodelli, tavole per ricami).

Le tecniche | Fra le tavole allegate alla rivista di moda, l’elemento fondamentale è costituito dal ‘figurino’, realizzato di solito su un supporto cartaceo più pesante, mediante il procedimento tecnico della litografia o della cromolitografia, che si sviluppa a partire dal 1837 e consiste nel disegnare figure con una particolare matita grassa su diverse matrici di pietra, poi stampate su un unico foglio. Non mancano tuttavia illustrazioni, soprattutto riferite ai particolari di un abito o agli accessori, inserite nelle pagine di testo mediante procedimenti diversi come la xilografia o la tecnica del riporto litografico dei testi stampati tipograficamente. Progressivamente vengono usati procedimenti meccanici, come la zincotipia (1884). Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, l’uso della fotografia, che diventa strumento di comunicazione di massa, comincia a sostituire parzialmente i figurini disegnati, seppur con esiti non sempre convincenti sul piano della resa dei particolari dell’abito. Nell’Ottocento gli autori dei figurini non sono artisti specializzati in quest’ambito, ma pittori e incisori ai quali viene affidato il compito di riprodurre i modelli dalle stesse sartorie parigine che li hanno realizzati. La rappresentazione dell’abito, molto particolareggiata e attenta a rendere gli effetti delle guarnizioni, si realizza mediante l’inserimento della figura femminile in un contesto tipicamente borghese. Col nuovo secolo l’immagine femminile illustra non solo le riviste di moda (dove si ricorre sempre di più alla tecnica fotografica), ma è protagonista in mille varianti delle pagine di quasi tutti i periodici e spesso ne caratterizza la copertina. Gli autori sono sempre grafici e artisti affermati che partecipano anche a esposizioni e a specifici premi per un settore come quello dell’illustrazione in pieno sviluppo sia nell’ambito librario, sia in quello dei periodici o della cartellonistica per i manifesti pubblicitari. 

Apparire è essere | L’evoluzione dell’abbigliamento è specchio dell’evoluzione del ruolo femminile nella società: dalla crinolina che ingabbia nell’Ottocento la donna-bambola nel suo ambito domestico e salottiero, all’abito sciolto, senza busti e costrizioni, che nel Novecento asseconda l’uscita di casa da parte della donna che affronta le novità del mondo esterno caratterizzato dalla tecnica e dalla velocità. Accompagna il mutamento la reazione che ridicolizza la donna, facendone l’oggetto dell’umorismo maschile, sia che da ‘onesta gallina’ si attardi nel ruolo casalingo, sia che da nuovo soggetto sociale pretenda di invadere gli spazi esterni fino ad allora privilegio dell’uomo. Se i periodici umoristici evidenziano in modo aggressivo la percezione del mutamento, arte e letteratura mantengono toni più sfumati e variegati: la figura della femme fatale, avvertita significativamente come creatura pericolosa e dominante, si accompagna al persistere dell’immagine della donna angelo-musa ispiratrice-custode delle virtù, non solo nell’ambito familiare.

L’abito femminile fra Otto e Novecento, fra arte e storia | All’inizio del secolo XIX la sottana mostrava la caviglia, per poi allungarsi fino ai piedi nel 1840 e allargarsi sempre più con la cupola della crinolina; si prolungò con lo strascico dopo il 1870; ritornò infine a una lunghezza moderata e ad una linea a campana. Il punto vita, alto fino al 1822, si abbassò alla sua posizione naturale e scese a punta sul davanti alla fine del secolo. Influenzato anche dai movimenti culturali, il costume femminile trovò ispirazione in fogge che guardavano al passato e alla storia: all’inizio del secolo il neoclassicismo imperante voleva tutte le donne vestite e pettinate come statue greche. Con l’avvento del romanticismo gli abiti si coprirono di pizzi e balze; ci si ispirò alla storia, al gotico e al Rinascimento, alle eroine del melodramma. Con l’avanzare del secolo il gusto si spostò verso lo stile rococò, molto amato dall’imperatrice Eugenia. Attorno al 1870 trionfò l’eclettismo e si moltiplicano passamanerie e applicazioni; a fine secolo si ritornò a una linea che si ispirava alle corolle dei fiori mentre trionfava l’Art Nouveau. Infine, ogni occasione doveva comportare, nei manuali di galateo, una veste appropriata per la signora elegante, sempre adeguata al ruolo mondano da interpretare: abiti da casa, da viaggio, da passeggio, da carrozza, da visita, da ballo, da lutto, da mezzo lutto, e soprattutto abiti da sport. Lo sport si fece largo dopo la metà nel secolo, e richiese indumenti appropriati per ambo i sessi: il costume da bagno era, per la donna, un compromesso tra il bisogno di avere un indumento con cui muoversi adeguatamente in acqua e l’imperativo morale di nascondere quanta più epidermide possibile. Il completo da amazzone comportava una lunga gonna a strascico che doveva scendere a coprire le gambe quando la donna cavalcava seduta di fianco sulla sella. Il secolo doveva però scoprire altri sport, come il golf, il tennis e la bicicletta. Dopo il 1890 comparvero gli abiti per le cicliste tentando anche un precoce ripudio della sottana: calzoni alla zuava coprivano le gambe fino al ginocchio avendo a volte quale unico compromesso una corta tunica per nascondere parte dei fianchi. Parigi, con le sue Maisons, era il centro internazionale della moda. Attorno al 1910 il sarto parigino più in vista e scandaloso fu Paul Poiret: dal 1903 aprì una boutique e in breve divenne un dittatore della moda. Stanco dei colori pallidi e della linea a clessidra dello stile ottocentesco, inventò una donna priva di busto che indossava abiti a vita alta e dai colori vivaci. Nel 1914 scoppiò la Prima Guerra mondiale. Pur tra mille difficoltà Parigi volle mantenere il suo ruolo di arbitra dell’eleganza e i grandi couturiers continuarono la loro attività, nonostante la mancanza di materie prime che dovevano essere di necessità mandate al fronte. Forse per risparmiate tessuto, le gonne si accorciarono al polpaccio, mentre si affermarono linee militaresche, appena mitigate dalla cosiddetta crinolina di guerra, una gonna imbottita di tulle.

In collaborazione con la Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio - Bologna. Testo tratto dalla mostra Donne nell’arte: Le vrai et le faux chic nella Belle Époque. Immagini femminili da album e periodici illustrati dell’Archiginnasio, 2010.