Schede
Nel corso del periodo napoleonico e durante la stagione risorgimentale a Bologna si registra una forte presenza femminile, impegnata in attività letterarie, artistiche, teatrali e politiche. Anche nel capoluogo emiliano, come in Francia, si afferma la consuetudine del salotto, «luogo privilegiato della socialità femminile» (Musiani, 2003), dove le donne dell’aristocrazia e dell’alta borghesia si riuniscono per discutere di arte e letteratura. Nei primi decenni dell’Ottocento i salotti bolognesi assumono soprattutto il carattere di cenacoli e circoli culturali, come quelli animati da Maria Brizzi Giorgi, Teresa Carniani Malvezzi e Cornelia Rossi Martinetti, mentre a partire dalla rivoluzione del 1831, la politica assume un peso più rilevante. I dipinti di epoca neoclassica testimoniano le fortunate carriere e lo spazio conquistato dalle donne in ambito musicale e teatrale. Nel corso dell’Ottocento la rappresentazione femminile segue l’evoluzione del gusto. In epoca romantica la donna diviene l’eroina del melodramma, mentre gli ultimi decenni del secolo si caratterizzano per una pittura che predilige eleganti e raffinate scene di interni.
Il Ritratto di Isabel Colbran rappresenta una delle cantanti più celebri nella sua epoca. Figlia del violinista Giovanni e allieva prediletta del soprano Girolamo Crescentini, fu ammirata per le capacità virtuosistiche come per la forza passionale delle interpretazioni. Divenne moglie del compositore Gioacchino Rossini, che sposò in assoluta segretezza il 16 marzo 1822, nel santuario della Madonna del Pilar a Castenaso, nei pressi di Bologna. Il dipinto, conservato presso il Museo della Musica di Bologna, fu in precedenza attribuito al pittore Pelagio Palagi, ipotizzando che il ritratto della cantante madrilena fosse stato eseguito a Roma tra il 1810 e il 1811, e che poi fosse stato trasferito a Bologna, quando Palagi nel 1815 smantellò il suo atelier romano per trasferirsi a Milano. Gli studi più recenti invece riportano la realizzazione dell'opera al 1807, in particolare alle "trionfali serate bolognesi" di quell'anno, nelle quali la cantante, oltre a esibirsi presso l'Accademia Filarmonica, avrebbe fatto dono all'istituzione di un suo ritratto (Giovanna Degli Esposti, in I ritratti del museo della musica, 2018, p. 514-515). Il dipinto sarebbe dunque di autore ignoto ma dallo stile "palesemente riconducibile agli esiti della prima ritrattistica neoclassica», alla quale rimandano la forza espressiva del volto, caratterizzato da profondi occhi neri, e la figura che si staglia sullo sfondo grigio di un ambiente non descritto (Giovanna Degli Esposti, I ritratti del museo della musica, 2018, p. 516). Il dipinto rivela interessanti analogie il Ritratto di Madame Panckoucke, realizzato da Ingres nel 1811 durante il suo pensionato a Villa Medici: la figura femminile che si staglia contro uno sfondo grigio, il modellato del corpo dalla pesantezza innaturale e infine il movimento artificioso delle mani (Claudia Collina, in Pelagio Palagi pittore, 1996, p. 147). La donna rappresentata sulla tela mostra una suggestiva affinità con la descrizione che Rossini fornisce della soprano, quando le vede a Napoli nel 1815: “Mai forse questa celebre cantante era stata così bella. Era una bellezza del tipo più imponente: lineamenti marcati che sulla scena risultano magnifici, una figura splendida, occhi di fuoco alla circassa, una foresta di capelli del più bel nero corvino e finalmente l’istinto della tragedia” (Claudia Collina, in Pelagio Palagi pittore, 1996, p. 147) .In pieno clima neoclassico si inserisce anche il Ritratto di Teresa Bertinotti Radicati, realizzato dal pittore Gaspare Landi. Teresa Bertinotti, nata in provincia di Cuneo, ebbe una carriera brillante come soprano, esibendosi in Italia e all'estero. Nel 1801 sposò il violinista e compositore Felice Radicati e nel 1816 si stabilì definitivamente a Bologna, dove pur senza abbandonare l'attività teatrale si dedicò in prevalenza all'insegnamento del canto. Il dipinto, conservato presso Il Museo della Musica di Bologna, fu realizzato da Gaspare Landi, mentre Teresa si trovava a Roma, "presumibilmente poco oltre il 1803, quando la cantante fu acclamata interprete della Vergine vestale di Albertini" (Giovanna Degli Esposti in I ritratti del Museo della musica, p. 544). Il Landi, protagonista a Roma della pittura di storia ma anche acclamato ritrattista per la capacità di rendere vive e vibranti le espressioni dei volti con un intenso pittoricismo di marca veneto-correggesca, doveva rientrare nelle elette frequentazioni artistiche dei coniugi Radicati, alle quali apparteneva anche lo scultore Antonio Canova. Nella tela bolognese la mezza figura dal vero di Teresa Bertinotti, col busto di tre quarti e lo sguardo rivolto allo spettatore, è resa con freschezza e vivacità. L'abbigliamento della donna, stile impero all'ultima moda con la scollatura quadrata e il taglio appena sotto al seno, è ben differente dalla mise teatrale che la cantante sfoggia nell'altro ritratto conservato nel Museo di autore ignoto. Se nell'opera di Landi la cantante appare "come una giovane, spensierata ragazza, colta con vivacità e immediatezza", nella seconda immagine invece risulta "più matura e in abiti di scena". L'abito, tipico della moda di primo Ottocento, presenta uno scialle finemente ricamato e annodato in modo da formare un turbante sul capo, suggerendo che si tratti di un costume teatrale (Giovanna Degli esposti, in I ritratti del museo della musica, pp. 544- 545).
E' stato recentemente ricondotta a Filippo Gargalli (Mazzi, Rabiti 2012, p. 17) la paternità del Ritratto di Maria Brizzi Giorgi, pianista e compositrice bolognese, nota per l'abilità nell'improvvisazione e l'impegno nella vita musicale cittadina. La Giorgi fondò l'Accademia Polimniaca, nella quale eseguì già nel 1807 musiche di Beethoven, e venne aggregata all’Accademia Filarmonica di Bologna nel 1806. Il ritratto della musicista, conservato presso il Museo della Musica di Bologna, fu eseguito da Filippo Gargalli, ritrattista e autore di tele sacre, padre della pittrice Carlotta Gargalli, divenuta poi allieva di Antonio Canova. L'opera fu realizzata in una data sicuramente antecedente al 1812, anno che vede la scomparsa della compositrice il 7 gennaio, in seguito alle complicazioni di una gravidanza difficile. Il dipinto si caratterizza per una "certa grazia, in pieno accordo con la ritrattistica neoclassica degli anni '10 -'20 del secolo XiX" (Giovanna Degli Esposti, I Ritratti del Museo della Musica di Bologna, p. 506), alla quale contribuiscono il live sorriso che adorna il volto della donna e l'Amorino che compare alle sue spalle. La compositrice viene ritratta nell'atto di suonare la cetra, mentre poggia il braccio destro su un cuscino di velluto rosso posato su un pianoforte e indossa un abito bianco stile impero con bordi a motivi d'oro sullo scollo e sulle maniche corte a sbuffo.
In epoca romantica l’immagine femminile viene spesso calata in un’ambientazione storica, caricandosi di forti valenze drammatiche. E’ il caso di Anna Bolena forsennata sentendosi priva del diadema reale di Alessandro Gurdassoni. L’opera, ora al Museo di Arte Moderna di Bologna, rappresenta una prova giovanile dell’artista, che venne premiato nel 1843 con il Piccolo Premio Curlandese. Renzo Grandi ha segnalato un preciso prestito dalla pittura di Carl Brjullov, in particolare dal Ritratto della cantante Giuditta Pasta nei panni di Anna Bolena forsennata, ora al Museo Teatrale della Scala di Milano (Renzo Grandi, I Concorsi Curlandesi, 1980, p. 101-102). Il ritratto eseguito dal caposcuola del romanticismo pittorico russo rimase a Bologna, almeno fino al 1839, nello studio dello scultore Cincinnato Baruzzi. Più di un’ipotesi è dunque la «possibilità che Guardassoni abbia visto e meditato sopra il Ritratto di Giuditta Pasta di Brjullov, riprendendone non solo elementi competitivi e formali, ma cercando di cogliere il segreto di una pittura in grado di descrivere fedelmente il vero con pathos e forza drammatica» (Claudio Poppi, Alessandro Guardassoni, 2006, p. 26). L’Anna Bolena di Guardassoni sembra guardare a uno dei capolavori del russo, L’ultimo giorno di Pompei, opera che aveva fatto scalpore in tutta Italia, dopo essere stata presentata a Roma nel 1833 (Claudio Poppi, Alessandro Guardassoni, 2006, p. 26). Alcuni particolari dell’opera di Brjullov, due figure femminili dallo sguardo allucinato e dalla bocca aperta in un attimo di terrore, si possono infatti accostare alla posa della sfortuna eroina dipinta dal bolognese.
Un’altra opera di Alessandro Guardassoni, Signora in salotto con abito bianco e rosa, realizzata tra il 1863-65 e conservata presso la Fondazione Gualandi di Bologna, dimostra come nella seconda metà del secolo la temperatura emotiva si sia molto raffreddata. Ora le eroine romantiche cedono il posto a donne reali, che si muovono nell’intimità quotidiana dei loro salotti borghesi. La tela di Guardassoni mostra infatti una scena d’interno, dove spicca in primo piano una giovane signora in piedi, finemente abbigliata di bianco e rosa. Il tema della musica è appena accennato sulla sinistra tramite la presenza di un pianoforte. Una porta aperta immette lo sguardo in un secondo ambiente, dove compare il pittore che si ritrae accanto a un’altra giovane. La suggestione del dipinto sembra risiedere «nell’apparente incomunicabilità tra le figure, ognuna assorta nei propri pensieri, senza che sia bene chiara l’azione che si sta svolgendo» (Alessandro Zacchi, Alessandro Guardassoni, 2006, p. 54). Un parallelo si può istituire anche con Il gioco interrotto di Adriano Cecioni, variamente datato tra il 1864 e il 1868, per lo «spazio che si spinge sghembo in profondità, attraverso ben tre stanze e finendo per inquadrare piccola figura femminile di profilo verso sinistra» (Alessandro Zacchi, Alessandro Guardassoni, 2006, p. 54). L’interno domestico del bolognese si può accostare anche ad alcune opere della pittura francese, come Famiglia Bellelli di Degas, per la mancanza di relazione tra i personaggi, il taglio fotografico della scena e il gioco delle inquadrature. Del resto Guardassoni fu un incallito sperimentatore e conoscitore della tecnica fotografica.
Una figura femminile colta nell’atto di suonare uno strumento in un elegante salotto è protagonista anche del dipinto di Giuseppe Ferrari, La suonatrice d’arpa, noto attraverso una riproduzione fotografica nell’Album Belluzzi del Museo del Risorgimento di Bologna. L’opera si può presumibilmente identificare con quella acquistata dalla Società Protettrice di di Bologna tra il 1855 e il 1866, insieme ad altri due dipinti dell’artista, L’Indovina popolare e Sdegno e fuga femminile.
La musica diviene protagonista in molti dipinti del bolognese Giovanni Paolo Bedini già a partire dal titolo: Concerto. Costumi del Settecento, Ragazza in costume e suonatore di tamburo, Tamburino, Suonatore di violino, Suonatore di corno inglese, La violinista, Gorgheggio, Una nota sbagliata e Voci bianche, bianchi zendadi, amiche bianche. Di quest’ultime due si conserva una riproduzione fotografica presso l’Album Belluzzi del Museo Civico del Risorgimento di Bologna. Nella produzione di Bedini sono ricorrenti le scene ambientate in salotti lussuosi, a volte proiettate nel passato, in stanze dallo stile rococò o Direttorio. Secondo la critica più recente il fascino delle opere del pittore risiede nell’atmosfera di spensieratezza che pervade i suoi ambienti domestici, popolati da figure gioviali, ma i contemporanei gli riconoscevano anche una certa vena moralistica, come si può dedurre da una recensione apparsa sulla rivista Ars et Labor nel 1906: «Egli, in particola modo nei quadri settecenteschi, non solo dimostra la perfetta conoscenza dell’età che illustra, ma questa illustra con acuzie di critico e arguzie di satirico; c’è, in lui, qualche cosa del Goldoni, del Parini e dei Gozzi; c’è l’anima e la moralità del tempo sotto gli abiti e le parrucche dei suoi personaggi». Le opere di Bedini si possono inserire in un ben collaudato filone pittorico, che aveva il suo punto di riferimento nella Maison Goupil, vero mercato dell’arte nell’Europa dell’Ottocento. Forse su sollecitazione di Goupil venne realizzato, intorno al 1888, anche il dipinto Note d’amore del modenese Giovanni Muzzioli. In un salotto di stile Impero, tra specchi e stucchi dorati, emerge dalla penombra una scena di corteggiamento, nella quale un’elegante figura femminile intrattiene un giovane spasimante suonando una chitarra-lira. L’opera condensa «bellezza, ricchezza ed eleganza formale, simboli che la nuova borghesia mercantile voleva veder rappresentati nei propri salotti» (Silvio Azzali, in Ottocento italiano, 2015, p. 50).Ilaria Chia
Testo basato sulla conferenza di Ilaria Chia e Ornella Chillè Note d’amore. Musica e corteggiamento nell’Ottocento, 19 Aprile 2019, presso il Museo della Musica di Bologna
Bibliografia: Lorenzo Bianconi, Maria Cristina Casali Pedrielli, Giovanna Degli Esposti et al. (a cura di), I Ritratti del Museo della Musica di Bologna da padre Martini al Liceo musicale, Firenze, 2018, pp. 512-517, 542-545, 505-506; Pelagio Palagi pittore. Dipinti dalla raccolte del Comune di Bologna, catalogo della mostra a cura di Claudio Poppi (Bologna, Museo Civico Archeologico 6 ottobre- 8 dicembre 1996), Milano, 1996, pp. 146-147; Maria Chiara Mazza, Loris Rabiti, I Giorgi una famiglia 'rossiniana', Bollettino del Centro rossiniano di studi, LII, 2012, pp. 5-27; I Concorsi Curlandesi. Bologna, Accademia di Belle Arti 1785-1870, catalogo della mostra a cura di Renzo Grandi (Bologna, Galleria d’Arte Moderna, marzo-maggio - Museo Civico, giugno-luglio 1980), Bologna, 1980, pp. 101-102; Alessandro Guardassoni: l’avanguardia impossibile, catalogo della mostra a cura di Claudio Poppi, Bologna, 2006, p. 26-27, 54-55; Giovanni Paolo Bedini. Il fascino della spensieratezza 1844-1924, catalogo della mostra a cura di Giuseppe Mancini (Bologna, Palazzo d’Accursio 2018-2019), 2018; Ottocento italiano. La collezione Marri di Palazzo Foresti, 2015, pp. 50-51; «Ars et Labor. Musica e musicisti», rivista mensile illustrata, Ricordi, Milano, 1906; Elena Musiani, Circoli e salotti femminili nell’Ottocento. Le donne bolognesi tra politica e sociabilità, Bologna, Clueb, 2003.