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Nella sua documentatissima storia della R. Accademia di Belle Arti di Bologna (1946) Giuseppe Lipparini non mancò di sottolineare che durante la presidenza del conte Carlo Filippo Aldrovandi, iniziata nel 1807 e continuata per quasi un ventennio, l'Accademia acquistò «fama e floridezza». Riportando quanto aveva precedentemente scritto Enrico Panzacchi, egli notava che i corsi più frequentati erano quelli di ornato, fino a contare nelle lezioni serali centosessanta iscritti, quasi la metà di tutti gli altri.
Personalità di grande rilievo nella cultura artistica bolognese, Filippo Carlo Aldrovandi rivelò un'impronta molto moderna nel promuovere iniziative di ispirazione illuministica, come la nota fabbrica di terraglie creata nel palazzo di via Galliera che doveva far concorrenza a quella inglese di Wedgwood. Anche attraverso queste attività, infatti egli mostrò di voler rivalutare le arti applicate, collaborando a eliminare, secondo l'indirizzo già tracciato dagli Enciclopedisti, quei pregiudizi che ancora ne limitavano la piena affermazione. Questi orientamenti dovettero guidare anche la sua attività di presidente dell'Accademia, e la scelta di alcuni professori come Antonio Basoli e Leandro Marconi sembra quanto mai illuminante in questo senso. In particolare il Basoli, amico di Mauro Tesi, di Felice Giani, di Pelagio Palagi, sostenitori a Bologna del rinnovamento avvenuto tra la fine del Settecento e l'Ottocento, ebbe nell'ambito dell'Accademia, di cui fu professore per più di un ventennio, una particolare incisività. L'ampiezza dei suoi interessi e delle sue capacità che spaziavano dall'archeologia alla architettura, dalla figura alla prospettiva, dall'ornamento all'arredamento, contribuirono a dare carattere globale e unitario ai vari aspetti del suo insegnamento.
Altra conseguenza di tale indirizzo culturale fu il processo di recupero della tradizione delle «arti meccaniche» che, più decisamente collegate alle arti liberali, dettero nuovo prestigio agli artigiani: ciò determinò il nascere di un vasto consenso verso la scuola di ornato, e la notevole affluenza di allievi. La loro presenza alle lezioni serali fa supporre che si trattava in gran parte di giovani che lavoravano nelle botteghe artigianali. In quegli anni apparivano chiare le strette connessioni delle arti applicate ai problemi stilistici-funzionali, in un orientamento che se risaliva al Lodoli, fu sostenuto negli insegnamenti dei corsi accademici, e ancora alla fine del secolo sarà un supporto della produzione industriale del Liberty. Ma di tutto questo vasto interesse, dimostrato dalle numerose iscrizioni non troviamo traccia nei premi curlandesi se non nel 1821, benché il concorso fosse stato aperto nel 1814, anno nel quale il disegno presentato dal concorrente non fu giudicato degno del premio. A quella data le tendenze neoclassiche, che avevano avuto trent'anni prima il loro eccitante momento iniziale, quando il Basoli e i suoi amici scopersero il Piranesi, avevano già superato l'opposizione delle resistenze settecentesche e ormai rappresentavano non più l'emblema di atteggiamenti giacobini, ma lo stile ufficiale dei sostenitori della Restaurazione.
Uno dei protagonisti dell'affermarsi del neoclassicismo nell'Accademia bolognese fu, insieme all' Aldrovandi, Pietro Giordani, che aveva saputo tessere una fitta rete di rapporti con artisti rappresentativi di queste tendenze: con Angelica Kauffman, con il Thorwaldsen, con il Canova.
I temi scelti dalla commissione per il piccolo premio Curlandese e gli elaborati degli allievi, evidenziano che si richiedevano oggetti di raffinata esecuzione e ideazione fuori dallo standard, e destinati a occasioni particolari. Mentre i temi, il modello di culla per un principe, l'urna per il bagno di un ricco cittadino, la scrivania da eseguirsi in oro per un pontefice, ne chiariscono la destinazione, i disegni dei concorrenti e la loro grafia nitida, ripropongono motivi decorativi tratti dal repertorio archeologico, ma ormai spogli di quegli aspetti immaginativi e esoterici che avevano caratterizzato le interpretazioni di arredi del Piranesi e del Petitot, e quelle poco più tarde del Giani e dei giovani Basoli e Palagi. Verso la fine del terzo decennio dell'Ottocento, con l'affermarsi del movimento purista, la commissione cominciò ad assegnare temi di ispirazione religiosa: urne, turiboli, vasche battesimali. Nei disegni presentati i concorrenti rivelano una conoscenza di norme architettoniche messa in evidenza sia dallo schema del progetto, sia dalla precisione con cui sono tracciati gli spaccati e le planimetrie. È interessante sottolineare che gli allievi della scuola di ornato, aderendo alle nuove interpretazioni del problema artistico conseguenti alle teorie illuministiche, partecipavano anche ai corsi di architettura, di prospettiva e molti di loro anche a quelli di figura, come attesta la presenza dei loro nomi tra quelli dei vincitori per queste sezioni.
Dall'inizio del quarto decennio i motivi decorativi ideati da Raffaele Trebbi e più tardi da Raffaele Dalpino per le suppellettili chiesastiche sembrano rifarsi alla purezza del classicismo quattrocentesco. In altri casi, come nella «vasca battesimale» di Carlo Galli, proprio per quell'atteggiamento eclettico che andava caratterizzando le arti, si avvertono soprapposizioni di stili, con l'accostamento di elementi classici a quelli di foggia neo-barocca. Tali revivals trovano in parte coincidenza con gli orientamenti della pittura, la cui ispirazione dalla scuola secentesca bolognese, dal Reni, dal Domenichino e dal Guercino, appare dominante. Michelangelo Gualandi e i commentatori ufficiali dei premi, non mancavano di apprezzare «le belle forme» e le «dignitose attitudini», caratteristiche, queste, che ritroviamo nelle figure statuarie che completavano alcuni dei progetti presentati per la sezione di ornato.
Pur nel clima un po' stagnante che caratterizzava l'ambiente bolognese, e che aveva costretto gli artisti più dotati ad allontanarsi dalla città (il Palagi ad esempio si era assicurato a Milano già nel 1815 una posizione di rilievo), all'inizio del quarto decennio alcuni disegni del piccolo premio curlandese attestano l'adesione ai nuovi interessi per il movimento neo-gotico.
Ora si accostano e sostituiscono ai motivi precedenti decorazioni «alla cattedrale», cioè archi ogivali, piccoli pinnacoli, senza tuttavia alterare la compostezza, che non era soltanto l'eredità della formazione classicista acquisita attraverso gli studi accademici, ma ancora conseguenza di quei principi di funzionalità già affermati e che furono determinanti per la fortuna delle arti applicate. Negli ultimi disegni, databili negli anni cinquanta, si avverte un distacco da questi principi: l'esigenza di una maggiore libertà d'immaginazione suggerisce un gusto più ricco della decorazione distribuita su tutta la superficie dell'oggetto, con l'accostamento di motivi ispirati a tutti gli stili: il classico, il barocco, il neo-gotico, il moresco, in una situazione che sembra presagire quella difesa dell'ornamento così vivacemente sostenuta dalle teorie del Ruskin e del Morris. Siamo negli anni, giova rammentarlo, della prima grande esposizione aperta a Londra nel 1851, ma al di là di queste importanti rassegne internazionali, anche nell'ambiente bolognese non mancano testimonianze della nuova situazione creatasi con l'affermarsi della civiltà industriale, compresi i conflitti che seguirono tra artigianato e industria e i tentativi di comporli. Nel 1857 nel commentare l'esposizione industriale allestita, ontemporaneamente a quella di Belle Arti, a palazzo Cataldi, dove si potevano vedere i prodotti della lavorazione della canapa, della seta, lavori in legno, oltre che «le belle arti industriali», la «meccanica scientifica», e quella «chirurgica», Giuseppe Bellentani non mancò di sottolineare che «il pubblico rende uguale interesse ad esaminare tali popolari rassegne che quelle delle Arti Belle, mirabile unione di due principi che la civiltà moderna ha saldato insieme».
La rassegna che presentiamo, per rimanere nell'arco di tempo fissato della mostra, si deve fermare al 1856, data a cui si riferisce l'ultimo disegno rinvenuto per il concorso del piccolo premio curlandese. Non è neppure possibile seguire l'attività dei giovani artisti di cui presentiamo le opere: la mancanza dei dati biografici, se si escludono le scarse notizie che ci forniscono le relazioni dei concorsi, non ci permette di individuare in quale settore essi abbiano lavorato una volta terminati i corsi dell'Accademia. Solo tre dovettero effettivamente affermarsi: Raffaele Dalpino, i cui disegni di architettura come «una piazza coperta» e «una regale cavallerizza» evidenziano un'attività professionale di questo tipo, Gaetano Canedi, di cui si ricordano interessanti realizzazioni come progettista di teatri sia a Milano che a Roma e Ludovico Aureli, che, affermatosi come valente incisore, sarà chiamato nel 1860 a coprire la cattedra di ornato nella stessa Accademia bolognese.
Luisa Bandera Gregori
Testo tratto da "I Concorsi Curlandesi". Bologna, Accademia di Belle Arti 1785-1870, catalogo della mostra, a cura di Renzo Grandi, Bologna, Galleria d’Arte Moderna, marzo-maggio; Museo Civico, giugno-luglio, 1980.