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Bologna e la Grande Guerra

Sociale 1914 - 1919

Schede

Bologna, come altre città partecipò intensamente alla mobilitazione "civile": città da sempre fondamentale nella struttura militare italiana, nel contesto specifico della guerra contro l’Austria assunse un ruolo essenziale. Da una parte punto di passaggio obbligato per le truppe mobilitate, e per lo smistamento dei rifornimenti diretti al fronte, dall’altra, sede di importanti servizi di supporto al conflitto: sede di ospedali, di case di rieducazione, luogo di accoglimento per prigionieri prima e profughi dopo Caporetto, sede dell’Intendenza generale dell’Esercito, del servizio di smistamento postale (e degli uffici della censura) da e per il fronte, dell’Ufficio per le Notizie alle famiglie dei militari, di stabilimenti di produzione dipendenti dall’amministrazione militare, che durante la guerra conobbero uno sviluppo enorme: il Laboratorio Pirotecnico, il Carnificio di Casaralta, la Direzione di Artiglieria (che giunsero ad occupare almeno 16.000 operai, più della metà donne).

I ceti dirigenti bolognesi, attraverso Comitati ed Associazioni spessissimo volontarie, con una grande partecipazione femminile, riuscirono a mettere in campo e gestire una serie di iniziative a mezza via tra il benefico, il filantropico, il sociale, l’umanitario, di grandissimo rilievo, interagendo o lavorando in parallelo con l’Amministrazione pubblica che, il 29 giugno 1914, giorno successivo al fatale sparo di Sarajevo, era stata conquistata dal gruppo socialista guidato da Francesco Zanardi. Legislazioni speciali vennero emanate per garantire l’ordine pubblico, anche limitando fortemente le libertà dei cittadini, furono emanate norme ad hoc relative all’economia, furono presi provvedimenti di tipo annonario (requisizioni, ammassi, calmieri) nel tentativo di regolare la distribuzione dei generi essenziali, soprattutto a favore delle fasce più indigenti della popolazione. Ci furono anche processi di mobilitazione spontanea della società, sempre con lo stesso intento. Sorsero così iniziative in campo sanitario, che videro la formazione di infermiere attraverso corsi speciali, che agivano supportate dalle Visitatrici degli ospedali, destinate ad offrire conforto morale ai degenti, e soprattutto iniziative nel campo dell’assistenza all’infanzia: grazie a rapporti con le autorità ma anche attingendo anche al proprio patrimonio personale, Elena Sanguinetti Ghiron, ricca signora bolognese era riuscita ad aprire nel corso del conflitto sei asili (un settimo venne aperto nel maggio 1918 a S. Ruffillo) che, all’inizio del 1919 ospitavano circa 2.300 bambini fino ai sei anni di età.

L’amministrazione Zanardi 1914-1919

Il 28 giugno 1914 si svolgono a Bologna le elezioni amministrative che per la prima volta portano la sinistra al governo della città, sostituendo la precedente amministrazione clerico-moderata. Francesco Zanardi è il sindaco designato dalla lista socialista con l’appoggio delle leghe di resistenza, delle associazioni e delle istituzioni dei lavoratori. La sua elezione rappresenta un cambiamento radicale, destinato a lasciare un segno profondo nella storia di Bologna. "L’Avvenire d’Italia" commenta l’avvenimento con un titolo che non lascia dubbi sul pensiero della destra storica che parla di "tirannide plebea" sulla città: Bologna, dotta, liberale e turrita sotto l’egemonia della Camera del Lavoro e dell’analfabetismo. Nonostante le ostilità più che evidenti, la volontà di Zanardi e della sua giunta è quella di governare non in nome di una classe, ma nel rispetto delle espressioni e dei diritti di tutta la cittadinanza, nella "difesa delle funzioni civili del lavoro, dell’arte e della scienza". Si va così affermando una nuova idea del municipio come strumento essenziale della "vita civica", quale "sintesi e nucleo centrale di ogni forma di vita sul territorio". Il programma socialista si carica di contenuti fortemente riformatori e quando si passa dal programma all’azione (i socialisti bolognesi entrano ufficialmente a Palazzo d’Accursio il 15 luglio 1914), si intuisce come la retorica delle parole si traduca quasi immediatamente in fatti concreti. La "Bologna rossa" di Zanardi è, insieme alla Milano del sindaco Caldara, il laboratorio del socialismo riformista; la conquista dei poteri pubblici è il banco di prova della nuova classe dirigente politica pronta a governare le istituzioni locali.

Gli anni dell’amministrazione socialista sono anni difficili, segnati dall’entrata in guerra dell’Italia nel primo conflitto mondiale. Zanardi è chiamato a gestire il difficile equilibrio tra socialismo pacifista e organizzazione dell’ente locale come retrovia "civile" del fronte. Il municipio diventa punto di riferimento morale e civile di una città in guerra, si pone come garante nelle condizioni di vita dei più deboli: le persone anziane, i bambini e le donne rimasti a casa senza il conforto dei soldati al fronte. Bologna è così il primo comune italiano che distribuisce generi alimentari alle famiglie dei richiamati. La guerra e la mancanza di fondi non impediscono comunque alla giunta socialista di realizzare programmi per lo sviluppo scolastico e l’assistenza ai bambini e ai ragazzi. "Pane ed alfabeto" erano state le parole d’ordine della campagna elettorale socialista. Ora, sotto la guida dell’assessore Mario Longhena vengono potenziate le strutture scolastiche ed aumentate le scuole elementari e secondarie. Ma conquiste forse ancora più importanti per Bologna sono l’istituzione degli asili e l’introduzione della refezione scolastica e del pomeriggio di studio; la creazione del giardino d’infanzia e di colonie comunali elioterapiche a sostegno dei bambini gracili. La giunta Zanardi mette anche in pratica una delle prime forme di decentramento delle istituzioni, per avvicinare la periferia al centro e rafforzare il tessuto sociale urbano armonizzando le componenti antiche con quelle di più recente inurbamento. Apre uffici decentrati del Comune e cinque biblioteche popolari nei quartieri di nuova costruzione e di forte presenza operaia. Nel frattempo, gli effetti quotidiani dell’amministrazione socialista si estendono anche ai controlli sullo stato igienico e sull’abitabilità delle case. Agenti comunali visitano gli alloggi, controllando i servizi igienici, gli scarichi fognari, le fonti d’acqua e lo stato di degrado degli stabili. I rapporti degli agenti costringono molti proprietari ad apportare migliorie alle proprietà date in affitto, con vantaggio per gli inquilini e per lo stato generale di igiene dell’intera città. La giunta elabora anche un progetto di contratto d’affitto, secondo il quale il canone avrebbe dovuto essere mensile con due sole mensilità anticipate e non più annuale e con tre mesi di cauzione. Complessivamente, l’azione amministrativa persegue soprattutto il raggiungimento dell’autonomia politica, economica e finanziaria. Infatti solo con la piena autonomia il comune é in grado di esprimere nuovi metodi e far percepire ai cittadini un reale cambiamento nel governo della città. Mente le giunte precedenti si preoccupavano di pareggiare i bilanci comprimendo la spesa pubblica, per non dover colpire la ricchezza, per Zanardi rimane costante l’impegno a lottare contro "la città della rendita" e dei bottegai, cioè contro tutto quello che gli appariva frutto di speculazione corporativa e rendita parassitaria, non direttamente produttiva. La politica delle entrate di Zanardi ha inizio con la riforma della tassa di famiglia, basata su un principio di equità della tassazione proporzionale al guadagno. In questo senso le famiglie bolognesi vengono divise per fasce di reddito, con una totale esenzione per circa 6 mila nuclei con redditi inferiori alle 2000 lire. L’unica tassazione che a quel tempo poteva creare un aumento reale delle entrate nel bilancio era la sovrimposta sui fabbricati, la sola peraltro in grado di misurare la ricchezza originata dalla rendita. La democratizzazione delle entrate fiscali cittadine incontra però sul suo cammino l’ostilità aperta dei proprietari, che ricorrono al Consiglio di Stato ogni volta che il Comune accenna alla riforma della tassa. Solo verso il 1918 prende consistenza per volontà del Sindaco un progetto che consente di rinnovare il prelievo fiscale comunale. Si tratta della "tassa sui vani", che ai pregi di un’imposta diretta, in quanto incide sul valore degli immobili e sulla ricchezza patrimoniale generata dal loro utilizzo, unisce la possibilità di una effettiva verifica dell’indice "del grado di agiatezza e della capacità contributiva di chi li abita o li usa". Il progetto rimane tale e non conosce ulteriori sviluppi, ma è significativo ed emblematico dello spirito che anima tutte le iniziative tese a rendere trasparente e democratico il bilancio dell’ente pubblico.

Paola Furlan