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Bologna alla Biennale di Venezia

1903 | 1964

Schede

A far nascere la prima esposizione mondiale esclusivamente dedicata all'arte è il sindaco di Venezia Riccardo Selvatico ed un gruppo di intellettuali che nel 1893 propongono di "istituire un'esposizione biennale artistica nazionale". Un bolognese è già presente in questo primo momento: nel 1894 Mario De Maria presiede come sottocommissario alla sua nascita e sviluppo. Le prime edizioni si svolsero nel Palazzo Pro Arte, poi Padiglione Italia, nei pressi dei Giardini che prendono il nome dall'iniziativa. Emanuele Brugnoli - pittore che già si era trasferito a Venezia per insegnare - concorre alla seconda edizione (1899) e alle successive dal 1901 al 1907 e dal 1920 al 1934. Nel 1899 c'è anche Augusto Majani 'Nasica' con il dipinto Sera d'estate - Impressione e due scultori: Diego Sarti e Giuseppe Romagnoli.

La V Biennale del 1903 cambia il criterio espositivo - finora mutuato dai Salons parigini - e istituisce delle sale regionali, ordinate da commissioni di artisti delle regioni stesse, che scelgono le opere e insieme preparano l'arredo e le decorazioni. La commissione emiliana è composta da Alfonso Rubbiani, Alfredo Tartarini, Augusto Sezanne, Achille Casanova e Giuseppe Romagnoli. Sono essi i protagonisti della stagione floreale bolognese, la “gilda amichevole” formatasi attorno a Rubbiani, “all'ombra dei campanili di San Francesco”. Il fulcro dell'allestimento deciso dalla commissione è il fregio allegorico che decora la sala dell'esposizione: un inno alla natura e all'arte. E' opera di Casanova e probabilmente di Rubbiani (per la scelta della simbologia), mentre Tartarini e Sezanne forniscono i disegni per le altre parti (incorniciature e piedistalli decorati con motivi floreali, ornamentazione delle lampade e della specchiera, ecc.). I quadri evidenziano le scelte del gruppo bolognese, sospeso tra il retaggio dell'Ottocento accademico e l'arte nuova: a parte alcune opere di Sezanne e Romagnoli, la sala emiliana risulta “quasi una dedica alla memoria di Luigi Serra”, pittore bolognese morto nel 1888 a soli 42 anni, celebrato con un buon numero di quadri, tra i quali il bozzetto del celebre Irnerio intento alla lettura e altri di soggetto storico.

Nel 1905 il pittore paesista Coriolano Vighi sarà invitato alla Biennale. Il pittore Mario De Maria partecipa con una mostra personale nel 1909, dopo una lunga pausa produttiva; ed in questa occasione Alfredo Protti è presente alla prima di dieci Biennali. Nel 1912 e 1920 è la volta di Carlo Corsi, poi invitato nel 1924 per una personale che, come scrive lui stesso, fu "una specie di consacrazione della mia qualifica di pittore", aggiungendo che poi, con il mutamento dei criteri dell'istituzione, riparò successivamente su manifestazioni più modeste, come le mostre sindacali e regionali. Lo scultore Ercole Drei è presente più volte tra cui nel 1912 e nel 1920 (con Adolescente). Giuseppe Romagnoli espone con successo diciannove opere alla Biennale del 1924; mentre nel 1928 Adolfo Busi espone un ritratto, Cleto Tomba "La marcia su Roma" in gesso, infine Bruno Saetti viene ammesso con l'opera "Il giudizio di Paride". Saetti in seguito partecipa a 14 edizioni (dal 1928 al 1972). La prima esposizione veneziana di Nino Corrado Corazza è del 1928, successivamente nel 1950.

Armando Pelliccioni così commenta nella rivista Bologna d'Oggi n.3 del 1928 la presenza bolognese alla Biennale: "Si parla di artisti bolognesi, comprendendo anche quelli venuti dalle provincie finitime ma stabiliti in Bologna e quelli viventi in altre città. Per debito d’onore ricordiamo, prima quelli dell’800 che figurano nella Mostra di questo secolo e sulla quale andava inciso questo motto: «Quando si dipingeva». Nè il Serra nè il Bertelli possono essere equamente valutati attraverso le opere esposte. La natura morta del primo può servire, solo, a mostrare quest’artista scrupoloso e studioso quanto altri mai, in un aspetto non consueto della sua attività poliedrica, e «Valle del Reno» un aspetto modesto della campagna bolognese che il Bertelli ritraeva assiduamente, fà risaltare, ancora una volta, le intime qualità dell’artista - pittore senza trucchi e ricercatezze - inebbriato e pago della sua sanità spirituale. Pelagio Palagi, invece, conosciuto da pochi, nel magistrale ritratto di Pietro Lattuada, rivela delle qualità tali che le pongono in primo piano tra i migliori contemporanei. E, ora, accenneremo agli artisti viventi extra muros. Brugnoli Emmanuele, questo vecchio bolognese stabilitosi ormai da più di trent’anni a Venezia e dove tiene una scuola fiorentissima d’acquafòrte, alterna la sua attività tra l’acquarello e l’acquafòrte. I due acquarelli che espone nella sala I6a (sala d’elite che con la 15a ospita i migliori 11 accomunati quasi per distacco.... igienico dalle propaggini novecentiste) riproducono aspetti veneziani e specie nel «Canal Grande» raggiunge, attraverso una tecnica personalissima, effetti meravigliosi. L’«Angolo del Palazzo Rezzonico» acquafòrte resa con finezza e sapienza di tocco, eccelle in mezzo agli acquafortisti vicini, anche se la moda o il gusto di certi critici di facile accontentatura esaltano la tecnica trita e minutamente lineare del Carbonati. Di Augusto Sezanne abbiamo due opere che per la loro efficacia bene armonizzano con quelle circostanti: «La tradita» e «Piccioni di S. Marco» mentre Oppi Ubaldo - ad onta delle marachelle pseudo artistiche del passato - espone un ritratto di signora che si giudicherebbe pregevole se si fosse sicuri sui procedimenti tecnici dell'autore. Vittorio Pretella - del quale osservammo all’ultima biennale delle personali interpretazioni di vedute pittoresche veneziane - ha un buon «Notturno» mentre in «Dorotea» ci dà un nudo che potrebbe servire, solo, per motivo decorativo d’una casa di malaffare. Dei concittadini osserviamo di Bruno Boari una «Testa di fanciullo» scultura nella quale il carattere infantile è reso con penetrazione e verità ammirevoli. Fioresi Garzia ha due modesti ma discreti paesaggi, «Madonna» (perchè non «Maternità»?) l’opera più elaborata ma non la migliore, un’«Autoritratto» e «Testa d’artista» questa ultima è, a parer nostro, l’opera più spontanea e pregevole. La signorina Luisa Lovarini - nota come valente xilografa - s’è data da qualche tempi alla difficile attività del mobilio artistico mietendo premi ambiti. Il suo Salotto di lettura attira l’attenzione per la sua sobria ed armoniosa eleganza ben lontana dalle stramberie pseudo originali che oggi predominano nel campo dell’arte decorativa. Ed ora siamo ad uno dei trionfatori della Biennale: Giorgio Morandi che, vissuto sempre in una penombra di modestia - di modestia, diciamo subito, creativa e personale - dilettandosi di seguire le correnti così dette moderniste, quelle che per reazione al classicismo s’esaltavano nell’infantilismo più sciocco, ad un tratto, quasi per magia, (ed il primo a meravigliarsi sarà stato lui stesso nella sua coscienza di galantuomo) è diventato un genio, le sue opere considerate come capolavori tali da essere acquistate dallo Stato per figurare nelle Gallerie d’Arte Moderna. Ora, con buona pace dei laudatori ebbri di rettorica, noi che non abbiamo preconcetti, né fobie per nessuno, ma che riaffermiamo, ancora una volta, la necessità d’una critica d’arte imparziale ed oculata, diciamo francamente che il trionfatore d’oggi è alle primissime armi della difficile arte dell'acquafòrte e che i risultati attuali sono troppo modesti, come concezione e tecnica, per essere presi in considerazione. Per convincersene, all’autore ed ai laudatori, consigliamo una gita sino al Padiglione Ceco Slovacco. Si sa dai confronti s’impara sempre, volendo, qualche cosa. Di Guglielmo Pizzirani poco abbiamo da dire. I tre paesaggi che espone nulla aggiungono alla sua fama ed al paesaggio acquistato per la Galleria d’ Arte Moderna di Roma avremo preferito «Vecchie case di Porretta» che crediamo migliore. Bruno Saetti ha tentato, con intenzione lodevole perchè dimostra di voler uscire dal frammentario, una composizione su un tema di vecchio conio: «il giudizio di Paride» ma non v’è riuscito. Predomina la figura centrale ch'è la più studiata cd il cui modello ha ripetuto in tre pose, ma, accanto, stona la figura maschile con cravatta nera di carattere volgare e nuoce all'insieme la tonalità monocroma. Cleto Tomba, scultore noto per la sua abiliià caricaturale, ha trattato il ramo più scabroso e pericoloso dell’arte, quello di carattere politico e, come spesso avviene, anche nella sua opera questo carattere sovrasta l’arte e la rimpicciolisce. Conclusioni? Queste sole: che in genere i nostri bolognesi mantengono una linea che ha le sue origini nell’arte sana tradizionale e che le loro opere, assieme a quelle di pochi altri, frammischiate allo zibaldone delle ribalderie novecentiste e sedicenti neo-classiche, denotano una coscienza malsicura negli ordinatori di questa disgraziata biennale. Perchè, se si ammette che il sufamigerato zibaldone è veramente la quintessenza dell'arte moderna, a quale scopo si sono inserite in esso delle manifestazioni retrograde che la negano? La verità vera si è che quelle inserzioni erano necessarie per fare ingoiare la pillola nausebonda novecentista e neo-classica che il pubblico avrebbe sdegnosamente rifiutato d'ingoiare.

Successivamente sono moltissime le occasioni in cui sono presenti artisti felsinei: Gino Marzocchi per esempio è presente alle Biennali del 1930, '32 e '34. Alessandro Cervellati espone nel 1934 disegni riguardanti il mondo dello spettacolo e il circo, mentre Ilario Rossi è presente con regolarità a partire dal 1936 ed in questo anno espone anche Tomba con una Maternità. Cervellati è di nuovo alla Biennale nel 1936 e nel 1950. Nel 1940 Rito Valla è chiamato a partecipare alla XXII edizione, assieme ai colleghi Farpi Vignoli, Giorgio Giordani e Luciano Minguzzi, con il prestigioso incarico di decorare la rotonda del padiglione italiano, mentre Garzia Fioresi è presente con un Autoritratto, il mosaico della Marcia su Roma e altri quattordici dipinti (figure, nature morte e nessun paesaggio); infine Cleto Tomba è invitato per una personale con quindici opere in bronzo. Luciano Minguzzi sarà vincitore del Gran Premio per la Scultura nell'edizione del 1950 e nel 1964 Leonardo Cremonini avrà un invito per una sala personale.

In collaborazione con Biblioteca Sala Borsa - Cronologia di Bologna.