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Adriano Lipparini, partigiano della Stella Rossa

Schede

Facevo parte della squadra di otto partigiani della brigata "Stella Rossa" comandata da Rino Cristiani, che la sera del 27 settembre 1944 si trasferì a Cadotto. Oltre a Cristiani e me, c'erano Libero Rambaldi, Pierino Bolognesi, Valdisserra, Giuseppe Teglia e due carabinieri partigiani. La notte del 28 giunsero a Cadotto anche il comandante Mario Musolesi (Lupo), il vice comandante Gianni Rossi e Gino Gamberini. L'alba del 29 settembre 1944, all'inizio della strage di Marzabotto, annuncia una giornata di pioggia, nebbia e vento. Il partigiano Teglia, messo di sentinella sulla cavedagna che porta alla casa, vede all'improvviso molti tedeschi comparire tra la nebbia, spara contro di loro due colpi di moschetto e muore falciato da una raffica di mitra. Cristiani ed io, che dormivamo sotto la stessa coperta, siamo subito in piedi e Cristiani apre con un calcio l'uscio della stalla; i tedeschi sono a dieci metri dall'edificio e sparano contro il partigiano apparso sull'uscio colpendolo allo stomaco con due proiettili. Il mio giubbotto viene perforato, ma io rimango illeso ed ho appena il tempo di sparare un intero caricatore, mentre dal fienile i compagni aprono un fuoco di sbarramento ed eliminano molti tedeschi; sotto un fuoco tanto nutrito e micidiale le SS si ritirano e subentra un momento di calma.
Il Lupo, Gianni e Gamberini si affacciano alla porta sulla casa e Gianni ci ordina di resistere ad ogni costo, mentre loro tenteranno di rompere l'accerchiamento e di raggiungere il grosso della brigata per chiedere adeguati rinforzi. Faccio osservare che sarà molto difficile sfondare l'accerchiamento, tuttavia la sortita proposta da Gianni è l'unica manovra possibile. Si decide così. Mentre stanno parlando una ventina di tedeschi appaiano sull'aia, ma sono costretti a ritirarsi, lasciando sul terreno morti e feriti. Anche il secondo assalto è respinto. I partigiani si salutano ed io ritorno nella stalla. Si saprà dopo molto tempo dell'infelice esito della sortita dei tre. Il Lupo e Gamberini non riescono a passare e vengono uccisi; solo Gianni, ferito alle braccia, trova una via di scampo.
Intanto i tedeschi, scottati dalle prime perdite, piazzano due mitragliatrici pesanti e prendono d'infilata la stalla: i muri resistono, ma i proiettili incendiari appiccano il fuoco al soprastante fienile. Le bestie impazziscono. I partigiani, con il ferito Cristiani, abbandonano il rustico e si rifugiano in una stalla più piccola che sorge accanto alla grande. Mentre traslocano, Pierino Bolognesi, uno studente di medicina, fa fuori due SS che si erano avvicinati. La stalla piccola ha le pareti di legno ed è facile preda delle mitraglie. Dentro i partigiani hanno trovato due donne, una ragazzina e due giovani. Si spara sempre rispondendo al fuoco tedesco, ma la piccola baracca va in frantumi. I partigiani vedono che la grande stalla ha resistito alle fiamme e decidono di rioccuparla, portandosi dietro i civili.
Ancora un attacco respinto delle SS. Poi i tedeschi occupano la casa, nella quale sono rimasti solo dei civili. Così la grande stalla viene presa fra due fuochi: da un lato le due mitraglie e dall'altro le armi automatiche e le bombe a mano delle SS che sparano dalle finestre della casa. Le bestie che sono nella stalla, pazze di terrore a causa del fuoco e degli spari, rompono le cavezze e si precipitano fuori, e anche questo fatto aggrava la nostra posizione. Poi una bomba dal manico lungo cade nella stalla ed esplode ferendo al viso uno dei due giovani civili e anch'io ho le gambe colpite da alcune schegge. Le bestie, ferite ed infuriate, le centinaia di proiettili SS che piovono sui muri e penetrano dalle finestre, le grida dei feriti terrorizzano i civili, alcuni dei quali vogliono uscire da quella trappola, ma appena fuori rimangono uccisi. Uno dei carabinieri partigiani rimane ferito all'inguine da una pallottola.
Si prosegue così fin verso le 16. Al termine di un ennesimo attacco delle SS, Rambaldi balza fuori dalla stalla e insegue il nemico sparando un intero caricatore del suo "Sten" e, urlando come un forsennato, disorienta i tedeschi, poi rientra protetto dal fuoco di sbarramento dei compagni. Vista la nostra decisione a resistere, le SS piazzano un mortaio, per demolire la stalla. Allora i partigiani, rotto per rotto, decidono di raggiungere la casa. Mentre attraversano lo spiazzo, Pierino Bolognesi rimane gravemente ferito e Rambaldi è mezzo accecato dall'esplosione di una bomba di mortaio. Tuttavia i partigiani riescono a snidare i tedeschi dalla casa. Sistemano i feriti e dalle finestre incominciano a rispondere al fuoco del nemico. Mentre si combatte, il partigiano Rino Cristiani muore dissanguato. Poi le SS riescono, spargendo benzina, ad incendiare l'edificio. I partigiani si rifugiano in cantina mentre la casa brucia. Per fortuna scende rapidamente il buio della sera e i tedeschi abbandonano la partita, non prima di avere massacrato i civili che hanno nelle mani. Nella notte i partigiani escono dalla cantina, che aveva resistito ai crolli, e con i loro feriti cercano di raggiungere il comando di brigata. Lo spettacolo che si presenta ai loro occhi è desolante: tutte le postazioni partigiane sono sconvolte e tante case sono in fiamme: così Ca' di Dorino, Prunaro, Prunarino, Le Scope. Non rimane altro che tentare di raggiungere le linee del fronte. Nella marcia faticosa ed ardua anche Pierino Bolognesi morirà in seguito alle ferite riportate nella battaglia di Cadotto.
Semidistrutta la "Stella Rossa", ucciso il suo leggendario comandante i tedeschi avranno ora via libera per la "spedizione punitiva" contro l'inerme popolazione di Marzabotto. Le sue ultime parole il Lupo le disse a Gianni Rossi, poco dopo l'inizio della disperata sortita: "Non lasciarti prendere e tieni per te l'ultima pallottola". Ma le maglie dell'accerchiamento erano troppo fitte e il Lupo incontrò i tedeschi e la morte dopo poche centinaia di metri.
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A venti anni di età, nel giugno 1944, entrai a far parte della brigata "Stella Rossa". Nel mese di settembre i nostri scontri col nemico si fecero più fitti sia perché li attaccavamo noi vedendoli in ritirata, sia perché anche loro ci assalivano di frequente perché volevano la nostra zona, per chiudere la strada di Bologna agli alleati, ormai di là del Setta, a non più di un chilometro e mezzo da noi in linea d'aria. Si sentiva anche dire che le SS volevano circondarci ma il "Lupo" ribatteva che gli alleati erano ad un tiro di schioppo e che occorreva tenere la zona per favorire la loro avanzata.
Nella mattina del 28 settembre Pippo, comandante del 1° btg., ordinò a me e ad altri nove di lasciare casa Steccola e di prendere posizione a Cadotto. Ci disponemmo nel fienile e nella stalla proteggendoci con un normale servizio di guardia. Verso sera arrivarono il Lupo, Gianni Rossi e Gamberini Gino ch'erano venuti ad ispezionare il posto: si misero dentro la casa, una grande casa di campagna, dove già erano alcune decine di civili, parte del luogo parte sfollati da Bologna: causa un forte temporale, essi decisero di pernottare a Cadotto.
Alle cinque e mezzo circa del mattino del 29, fra banchi di nebbia e scrosci di pioggia, improvvisamente i nazisti ci assalirono, sorprendendo la sentinella che si accorse di loro quando ormai erano a pochi passi. Fece in tempo a sparare due colpi di fucile ed a gridare: "Allarmi! I tedeschi!" e subito fu abbattuto da una raffica di mitra.
Destati di soprassalto ci precipitammo fuori dalla stalla e subito il capo squadra Cristiani fu investito da una raffica e morì alcune ore dopo fra sofferenze atroci. Con una larga raffica di mitra obbligai i tedeschi alla ritirata, mentre quelli del fienile iniziarono alla loro volta una intensa sparatoria. Così respingemmo il primo attacco. Nel frattempo, il Lupo, Gianni Rossi e Gamberini si precipitarono fuori della casa.
Il Lupo gridava: "Perché le pattuglie non erano fuori?"
Rossi domandò: "Com'è la situazione?"
Risposi: "Teglia è morto e Cristiani ferito gravissimo".
Ci ordinarono di resistere il più possibile mentre loro correvano a chiedere rinforzi. Risposi ch'eravamo circondati e subito gridai: "Stanno arrivando!". Li lasciammo avanzare in mezzo all'aia, poi con le nostre mitragliette li facemmo scappare.
Lo scontro fu molto violento, ma ci riuscì alla fine di avere la meglio. Intanto il Lupo e Gianni Rossi erano corsi a prendere aiuti, sotto una grandine di colpi dei nemici.
Verso la tarda mattinata tornarono all'attacco per la terza volta: ancora li respingemmo e Rambaldi li inseguì a raffiche fin quasi alla siepe dopo l'aia. Però passando per il retro, riuscirono ad infilarsi in casa, a circa un dieci metri dalla stalla, e di là potevano scagliare contro di noi delle bombe a mano.
A raffiche di mitra, li tenemmo a bada fino a sera: eravamo feriti tutti più o meno gravemente, meno uno dei due carabinieri ch'erano con noi e Valdiserra. Anche due ragazzi di Cadotto s'erano uniti a noi e rimasero feriti. All'imbrunire i nazisti ci presero sotto il tiro di un mortaio: la nostra situazione si fece disperata. Attaccammo la casa e vi entrammo senza trovarvi più né nazisti né civili. Ma subito i nazisti circondarono la casa, sparsero della benzina e diedero fuoco. Non ci rimase che tentare una sortita. Per fortuna intanto era scesa la notte e ci potemmo ritirare, quando già la casa ci stava crollando addosso.
Ci dividemmo in due gruppi, portando i feriti, o meglio aiutandoci l'un l'altro, perché feriti eravamo tutti. Non trovammo più nessuno e ci rifugiammo nel bosco.
Arrivati in alto, dalle case che bruciavano intorno mi pareva di essere nel centro di una chiesa con le candele intorno, e capimmo che si era trattato non di una puntata ma di un grosso rastrellamento.
Al momento del primo attacco, alcune donne e bambini o perché terrorizzati o perché supponevano di essere più sicuri si rifugiarono con noi nella stalla: sconvolti poi dagli scoppi, dalle raffiche, dai muggiti e dai balzi delle bestie, cercarono di andarsene ma furono tutti massacrati sull'aia. Sui sentieri e per i campi si trovavano sparsi cadaveri di civili, donne, bambini ed anche partigiani, tutti massacrati.
Mi è rimasta nella memoria una bambina di dieci anni, con un golfino rosso legato ai fianchi: era capitata con noi nella stalla, mentre la madre era rimasta in casa. Quando il combattimento infuriò si mise a invocare "Mamma! Mamma!" e s'era lanciata fuori dalla porta verso la casa. Mi buttai per fermarla: mi rimase il golfino rosso fra le mani: la bimba, arrivata a metà dell'aia cadde falciata. Vidi bene quel nazista, e lo vide anche Bolognesi, ch'era al mio fianco, e che col mitra fece giustizia subito, abbattendo il nazista.

Renato Giorgi, "Marzabotto parla", Milano-Roma, Venezia, Marsilio editori 1991
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Note
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