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Farpi Vignoli

21 Agosto 1907 - 3 Novembre 1997

Scheda

Farpi Vignoli, da Callisto ed Ersilia Tagliavini; nasce il 21 agosto 1907 a Bologna. Nel 1919 accede al Collegio Artistico Venturoli di Bologna, dove si dimostra uno dei migliori allievi.
Si iscrive all'Accedemia di Belle Arti di Bologna e segue il corso di scultura di Ercole Drei, il quale lo coinvolge nell'impresa delle due grandi allegorie per il Monumento ai martiri del Fascismo inaugurate in Certosa nel 1932. Il 1934 è l’ultimo anno del “Premio Baruzzi” dell'Accademia di Belle Arti di Bologna, e non viene assegnato, ma la commissione riconosce una somma come incoraggiamento destinata alla fusione in bronzo dell’Auriga del giovane Farpi Vignoli. Dinamicamente aereo, idealmente svincolato dall’immaginario Sulki, l’Auriga è proiettato avanti verso la vittoria contesa. Curvo e teso come un arco incoccato... non è che un desiderio materiato, una volontà dura e spasimante di superazione, e dai suoi muscoli guizzanti scocca la scudisciata incitatrice.”; con queste parole descriveva abilmente l’opera il suo stesso autore nel presentarla all’ambito “Premio Baruzzi”.

Mai incoraggiamento fu più meritato e lungimirante poiché l’opera ebbe una fortuna straordinaria che fece balzare agli onori delle cronache il suo scultore, basti pensare che, oltre all’esemplare conservato a Bologna ne esiste un altro alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e uno al Museo d’Arte Contemporanea di Tokio. Esposto e premiato alla II Quadriennale romana del 1935, nel 1936 ottiene la medaglia d’oro per la scultura alle Olimpiadi di Berlino valendo all’artista la nomina di “scultore olimpico”. Vignoli compie la sua prima formazione presso il Collegio Artistico Venturoli passando in seguito all’Accademia di Belle Arti di Bologna sotto la guida di Ercole Drei. La sua produzione più genuina e significativa risale alla seconda metà degli anni Trenta, quando l’artista si mette in luce con una serie di sculture aventi come soggetto l’atleta colto nel pieno dello svolgimento della sua prestazione fisica, un tema tanto diffuso, quanto caro all’estetica del Regime. Nel 1938 espone Il tiratore di fune al Premio San Remo, mentre alla III Quadriennale di Roma del 1939 presenta Il saltatore. A questo periodo appartengono anche i colossali rilievi per la facciata della Camera del Lavoro di Bologna, in via Marconi, palazzo occupato all'indomani della liberazione di Bologna, il 22 aprile 1945, dalla commissione esecutiva della CCdL di Bologna. Aderì al Gruppo intellettuali "Antonio Labriola" che operò a Bologna durante la clandestinità. Gli anni precedenti la seconda Guerra Mondiale e quelli successivi alla caduta del Regime corrispondono ad un momento di crisi creativa che si risolverà negli anni Cinquanta, quando l’artista inizia a produrre indicativi monumenti funerari per la Certosa di Bologna, tra i quali l’originalissima Tomba Frassetto del 1950 dove, con straordinaria naturalezza, dispone a colloquio uno fronte l’altro - recumbenti come due antichi romani in un conviviale - il padre Fabio, docente universitario, e il figlio Flavio, morto in guerra. É un colloquio muto e intenso, occhi negli occhi, quasi una comunicazione telepatica di struggente e greve bellezza sulla morte, tema richiamato dal teschio che il padre tiene con la sinistra.

Allo scultore la città di Bologna gli ha intitolato un giardino pubblico.

Alfonso Panzetta

Testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009.

Farpi Vignoli: scultore olimpionico

Il nome dello scultore Farpi Vignoli resta assente dalle numerose pagine che negli ultimi dieci anni sono state scritte sull'arte fra le due guerre; le sue opere non compaiono nella prima pionieristica iniziativa fiorentina che Ragghianti dedica all'arte italiana tra il 1915 e il 1935; né sono documentate nel recente "colossale" milanese sugli anni Trenta, dove pure venivano riscoperti, dopo un lungo periodo di acritico oscurantismo, nomi e vicende artistiche sconosciuti al pubblico come pure a gran parte degli studiosi; né ancora lo rintracciamo tra gruppi e singole personalità emergenti che sono state sottolineate all'attenzione critica attraverso le molteplici iniziative monografiche. Eppure nei testi critici degli anni Trenta, nei quotidiani e nelle riviste del tempo, Vignoli veniva presentato come una delle giovani promesse della scultura italiana, grazie ad un circoscritto numero di opere che lo aveva reso celebre per l’esuberanza plastica e insieme per la serrata ed elegante sintesi delle figure, dinamiche, scattanti, spesso ispirate a soggetti sportivi: prima fra tutte il Guidatore di sulky, il quale - già presentato alla II Quadriennale romana - nel 1936 valse all'artista la medaglia d'oro per la scultura alle Olimpiadi di Berlino, oltre che la fama di "scultore olimpionico". In considerazione del successo riportato, l'opera venne subito richiesta in bronzo per la Galleria d 'Arte Moderna di Roma e per il Museo di Tokio.

Troviamo le ultime tracce preziose per ricostruire la personalità artistica di Vignoli nell'antologia che Eugenio Riccoboni dedica nel 1942 a Roma nell'arte. La Scultura nell'evo moderno, quindi nel volume prestigioso che Francesco Sapori ha pubblicato nel 1949 sulla Scultura italiana moderna, in particolare nel capitolo intitolato significativamente Istinto plastico inesauribile; qui si ricordano "la passione ed entusiasmo di vita" propri di Vignoli, e si traccia una scheda biografica dettagliata dell'artista, illustrata da poche tavole scelte che mostrano alcune fra le sculture più significative'. Attraverso la testimonianza viva dell'artista e pochi altri documenti, viene riproposto nelle pagine che seguono un breve profilo critico di questa singolare vicenda artistica. Nato a Bologna nel 1907, Farpi Vignoli studia pittura, scultura, architettura al Collegio Artistico Venturoli della città, seguendo gli insegnamenti dello scultore Enrico Barberi; conclusa poi l'Accademia di Belle Arti nel 1933, esordisce a Bologna l'anno seguente con una mostra personale di 'bianco e nero'. Fra le prime esperienze memorabili, Vignoli ci parla dell'amicizia con lo scultore Luciano Minguzzi, appena più giovane, conosciuto all'Accademia e insieme al quale frequenta saltuariamente il maestro Ercole Drei, allora impegnato nella realizzazione delle marmoree Immagini della Libertà e della Vittoria per la Certosa di Bologna.

Nel 1935, presentatosi per la prima volta alla Quadriennale romana, ottiene un insperato quarto premio con il Guidatore di sulky, una scultura in terracotta di forte effetto, grande poco più del vero, e che lo impone all'attenzione del panorama artistico contemporaneo al fianco di altri giovani come Crocetti, Gregori, Fazzini, lo stesso Minguzzi e non ultimo il primo premio Marini. I giovani premiati nel 1935 sono coralmente riconosciuti dalla critica nella scia dell'imprescindibile esempio martiniano. Sono gli anni nei quali Martini realizza opere di grande impegno e vitalità, tese in un atto spasmodico, sebbene più intellettuale che fisico, attraverso l'immagine del corpo nudo, colto nell’attimo dello scatto nervoso; così vediamo nell'Aviatore del '31, nel Tobiolo del '34, particolarmente nella versione in gesso, infine nel Centometrista del '35, così vicino alla sensibilità dei giovani scultori esordienti. In questa temperie Luciano Minguzzi, reduce dalla Biennale del '34 con il bel gruppo in terracotta Pugili corpo a corpo di martiniana reminiscenza, e in questo periodo particolarmente vicino alla ricerca artistica di Vignoli, confessa nelle proprie memorie autobiografiche: "Martini aveva scoperto una nuova primordialità, forme piene di barbarica energia. Elargì la sua verità a noi che ne rimanemmo abbagliati ". Vignoli, d'altro canto, non ricorda di avere scelto con tale coscienza l'insegnamento di Martini, ma ancora oggi racconta un generoso apprezzamento del maestro, il quale, alla Quadriennale, visto il Guidatore di sulky si lasciò scappare un "che bella idea ha avuto Vignoli!". L'opera era stata realizzata di getto, quasi miracolosamente dal giovane ancora privo di sufficiente esperienza tecnica; la composizione - racconta Vignoli - era nata all'improvviso, in un attimo di luce bella e intensa, nel quale gli era apparsa in controluce una figura atletica su un carretto trainato da un cavallo in corsa. Da questa suggestione e dalla propria vivida esperienza l'artista trae istantanea ispirazione, dando forma al suo Guidatore, in una materia duttile e povera come la terracotta. II nudo giovane, teso nell'azione, appare vibrante, ma rigoroso, senza concessioni descrittive, in un singolare equilibrio tra stilizzazione e osservazione del vero; Vignoli preferisce infatti non definire l’espressione del volto, realizzato di maniera, e marcare così pochi lineamenti essenziali con la stecca, traccia delle opere martiniane; ma il corpo nasce pur sempre dal confronto con il modello vivo, l'amico Pippo, anch'egli scultore (Giuseppe Mazzoli), che per l'occasione utilizza le due cinture per ottenere la posizione desiderata da Vignoli, tra indimenticabili momenti di giovanile ilarità ed emotiva partecipazione che accompagnano la creazione dell'opera.

Negli anni immediatamente successivi nascono nello studio dello scultore, in via Guerrazzi, altre opere di ispirazione atletica: il Tennista del '36, il Tiratore di fune del 38, il Saltatore del '39. Sono opere di grande suggestione e spettacolarità, che rappresentano il momento dell'azione al suo apice, grazie ad un innato virtuosismo plastico e all'interesse per il corpo umano in movimento. In queste opere Vignoli studia con viva partecipazione e con slancio la bellezza nervosa della figura: cosi accade nel Tennista, per il quale posa lo stesso amico che aveva suggerito il precedente Guidatore, come pure nel Saltatore, il cui modello Vignoli ricorda essere stato il nipote della moglie; anche per il Tiratore di fune viene ricordata come determinante la presenza del modello, un tuffatore allora soprannominato “macionazzo” (tipo curioso, macchietta), che canta continuamente pezzi d'opera durante le pose lunghe e faticose. Le opere più felici di Vignoli nascono in questi momenti di gioiosa ed emotiva partecipazione, intrisa di piccole vicende quotidiane, di affetti, di fuoco dell'immaginazione. Si diluisce col tempo la rude secchezza dell'esempio di Martini, più intellettuale e filtrato, e si approda ad una plasticità densa e pastosa, che viene talvolta brutalmente rinnegata dallo scultore stesso. Cosi nel Saltatore - fra le più sorprendenti e affascinanti creazioni di soggetto sportivo degli anni Trenta - che viene concepito da Vignoli nella sua bellezza generosa e sfolgorante, sospeso tra cielo e terra attraverso difficili e inusitati equilibri di aste metalliche, ma sfigurato nel volto, reso inespressivo, per focalizzare l'immaginazione sul miracolo del salto; analogo atteggiamento ricorre nel Tiratore di fune, il quale, lasciando insoddisfatto l'artista per la disorganicità tra volto e corpo in tensione, viene crudelmente amputato e diviene una sorta di misterioso frammento antico, di ellenistica plasticità; non resta che una piccola fotografia dell'artista a documentare l'originario aspetto dell'opera, poi rinnegata.

Ed è in questo difficile equilibrio tra esaltata passione per la figura in movimento, sentimentale partecipazione creativa, esigenza di sintesi e di stilizzazione moderna che si brucia la prima esperienza di Vignoli. Vengono in mente, per analogia, altre vicende artistiche di quegli estremi anni Trenta: le fotografie nitide e smaglianti - in particolare di fotografi tedeschi ben noti in Italia per il tramite delle riviste - di atletici corpi in movimento, pregne di nostalgie mediterranee e intrise di classicità: immagini che certo non possono passare inosservate alla fresca e accesa sensibilità di Vignoli che nel panorama della scultura di soggetto sportivo di quegli anni, nessun artista arriva a "fotografare" l'attimo con la vorace immaginosità di Vignoli, con gli stessi tagli audaci e nitidi, con pari intensità espressiva. Scultori come Messina, Canevari, Moschi puntano su effetti di bloccata monumentalità, sul filo del rasoio della retorica o del formalismo più spregiudicato; altri si lasciano attrarre da un genere in gran voga, ma senza marcare l'opera grazie ad una ricerca autonoma e peculiare. Al contrario le dirompenti immagini di Vignoli sembrano evocare esplicitamente il fascino di fotografi come Max Schirner, come Herbert List o Andreas Feininger: acrobati contro il Cielo, motociclette ruggenti, cavalli in corsa, tuffatori a picco sul mare in pose elastiche, poetici miraggi del mito - soggetti peraltro ricorrenti nell'intera opera di Vignoli - girano il mondo attraverso riviste di successo quali "Vogue", "Vanity fair", "Harper's Bazaar" e molte altre di larga diffusione. Sono anni, del resto, nei quali l'arte si appropria e interpreta il fascino dello sport, con molteplici atteggiamenti: nel 1930 esce un testo di grande richiamo, Il nudo nell'arte, dell'archeologo Alessandro Della Seta, che trova largo consenso nel mondo artistico, e dove si esalta la figura nuda atletica come "immagine dello spirito", secondo il grande insegnamento classico. In artisti della generazione precedente a Vignoli, come D'Antino, Cataldi, Selva, Romanelli rimane più forte il legame con lo stilismo di origine déco, cosicché la tensione dell'attimo diviene cifra, simbolo, allusione; nei bronzi splendenti di Messina ritroviamo ora le nervose intuizioni di Gemito e della fluida plastica ottocentesca, ora i misteri di Wildt, ora le tornite soluzioni di Maillol, in un atteggiamento di colto e spregiudicato eclettismo; i seguaci di Martini, da Gregori a Fazzini a Minguzzi, puntano invece su stilizzazioni di sapore etrusco o arcaico, che Vignoli progressivamente abbandona. E ancora potremmo ricordare i numerosi soggetti sportivi di Venturini, Bertolazzi, Moschi - alcuni apparsi dopo decenni di silenzio alla mostra milanese sugli Anni Trenta di Griselli, Biancini, Bortolotti, ispirate dalla osservazione del reale e caratterizzate come ritratti, segnate dall'età, dalla tensione, magari dalla sgarbata vivacità di un gesto impacciato. Tutti, comunque inconfondibilmente diversi dall'interpretazione vitalistica di Vignoli.

Dopo questo periodo, Vignoli tuttavia cambia sensibilmente stile e, superando la semplificazione martiniana, abbandona anche la tematica sportiva. Nel 1939, presentando alla III Quadriennale romana Preludio d'amore, apre un nuovo periodo, più eclettico, difficile, dibattuto; il gruppo presentato alla III Quadriennale, grande al vero, pare addolcito, statico, legato pur sempre al mondo degli affetti, ma con taglio meno graffiante e deciso: ancora Vignoli si mostra attaccato alla pratica di fondere la creazione dal vero a quella di maniera, e di abbandonarsi all'istinto plastico, senza disegni preparatori, subito cimentandosi nelle grandi dimensioni. L'invenzione aveva già trovato nobili precedenti sin dalle Gare invernali di Martini del 1931 (ma qui i personaggi appaiono astratti, misteriosi, "etruschi", quasi fantasmi densi di presagi), e nello stesso 1939, sempre alla Quadriennale, appare nell'interpretazione del martiniano Romeo Gregori con il titolo Convegno d'amore. La versione che offre Vignoli risulta tuttavia più morbida e descrittiva, di commovente ingenuità, oltre ogni cifra stilistica. Negli stessi anni lo scultore realizza due giganteschi bassorilievi per la facciata della Camera del Lavoro di Bologna, nei quali gli episodi si susseguono non già a nastri continui e sovrapposti sulla traccia delle colonne classiche, ma a fasce discontinue, segmentate; anche gli episodi sul tema del lavoro sono stilizzati, e risolti in tono più esplicito e dimostrativo, in una sigla piacevole quanto consueta alle decorazioni plastiche del tempo. Altre opere del '40 sono il bozzetto vincente - a pari merito - per la Quadriga nella facciata dei Ricevimenti dell'E42, a Roma, realizzato assieme a Cleto Tomba, e due grandi trofei per lo stesso complesso. L'avvento della guerra segna un momento di crisi e di grandi difficoltà per Vignoli e per un'intera generazione di artisti, mentre un'ombra si stende su quell'entusiasta contributo di ingegni che tanta parte aveva avuto nella cultura artistica del decennio precedente. Tutte le esposizioni interrompono bruscamente la loro attività tra 1942 e 1943, e nell'immediato Dopoguerra le nuove generazioni maturano la propria ribellione contro i protagonisti del periodo precedente. In questa drammatica temperie Vignoli si trova ad amputare e distruggere varie opere tra le quali Uomo con falce,Pattinatrice ed altre ancora, e a dedicarsi con crescente interesse alla pratica dell'acquerello. Ritorna alla scultura nel '50 con varie opere, dalla Tomba Frassetto, nella Certosa di Bologna, ad alcuni ritratti, alla Tomba Gnudi, sempre alla Certosa, al Monumento bronzeo ai Bersaglieri caduti in Russia (Bologna), al Monumento di San Francesco e il lupo (Gubbio), sino al Cavallo al trotto, realizzato in bronzo, grande al vero, a Castel San Pietro, presso Bologna.

La commovente e appassionata vicenda artistica di Vignoli è proseguita fino agli inizi del 1997, nella amata Villa al Poggio, nei dintorni di Bologna, in un atto di dedizione entusiasta, generoso, disarmato, e in un abbandono colmo di giovanile passionalità, alla vita e all'arte.

Giovanna Uzzani
Testo tratto da Farpi Vignoli: scultore olimpionico - MCM: manualità creatività maestria: la storia delle cose, n. 3, Settembre 1986

Durante la Resistenza, aderì al Gruppo intellettuali "Antonio Labriola" che operò a Bologna durante la clandestinità.

NOTE E BIBLIOGRAFIA. 1) Vedi Arte moderna in Italia 1915-1935, a cura di C.L. Ragghianti, catalogo della mostra, Firenze, 1967; Anni Trenta, catalogo della mostra, Milano 1982 2) E. RICCOBONI, Roma nell'arte, la scultura nell'evo moderno, Roma,1942 3) F. SAPORI, Scultura italiana moderna, Roma, 1949, pp. 51-54 4) L. MINGUZZI, Uovo di gallo, quasi un diario, Milano, 1981 5) Questa ed altre testimonianze sono frutto di una conversazione con l'artista, nel luglio 1985. 6) Vedi a riguardo C. DEL BRAVO, Sculture italiane 1920-1940, "Antichità Viva”, XX, 4, 1981. p. 43. 7) A. DELLA SETA, Il nudo nell'arte, Milano-Roma 1930, pp. 1-4 8) Vedi l'esauriente testo E. POUCHARD, L'acquerello di Farpi Vignoli, Bologna 1980.

Farpi Vignoli, da Callisto ed Ersilia Tagliavini; nato il 21 agosto 1907 a Bologna; ivi residente nel 1943. Artista. Scolpì fra l'altro i due grandi bassorilievi che ornarono il palazzo dell'organizzazione corporativa fascista dell'agricoltura, palazzo occupato all'indomani della liberazione di Bologna, il 22 aprile 1945, dalla commissione esecutiva della CCdL di Bologna. Aderì al Gruppo intellettuali "Antonio Labriola" che operò a Bologna durante la clandestinità. [AR]