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Timpanista o Baccante cimbalista o Suonatrice di sistro o Euterpe

1832 | 1851

Schede

La Timpanista nasce come commissione della nobildonna milanese Antonietta Fagnani Arese a Cincinnato Baruzzi. Nel 1832, quando lo scultore aveva già scolpito i busti di suo marito Marco e del cognato Francesco Teodoro e stava lavorando al monumento funebre per le sue due glie e per la nipotina, l’affascinante dama gli commissiona un soggetto «che ricrei l’occhio» e che non costi più di 5000 franchi. Dopo un primo momento in cui lo scultore propone come soggetto Nerina o il gruppo di Filli e Demofoonte (1834), la scelta in seguito dovette cadere su una meno impegnativa danzatrice. Nell’aprile del 1836 una lettera della Arese informa che la statua era a buon punto e che Baruzzi aveva proposto di esporla a Brera, contro la sua volontà, data la difficoltà che le era costato l’anno precedente recuperare il bassorilievo funebre dalla stessa esposizione. Tra maggio 1836 e aprile 1837 lo studio bolognese dello scultore è impegnato nei vari passaggi per la realizzazione della scultura che è molto avanzata, tanto che si commissiona all’orece il triangolo in rame dorato da collocarle tra le mani. Presente a Brera assieme all’Eva, la Cimbalista riscuote un notevole successo e colpisce il collezionista bergamasco Leonino Secco Suardo, che si offre di acquistarla. La contessa Arese acconsente a cedere la statua a Secco Suardo, che pagherà a Baruzzi 7000 lire milanesi, e affida allo scultore il compito di eseguirne per lei un’altra, sempre di soggetto lieto. Questa commissione verrà col tempo abbandonata e ripresa dal figlio di Antonietta, Francesco, dopo l’unità d’Italia, ma riconvertita in due statuette di fanciulli che verranno inviate a Torino, dove Francesco abitava (1859). Trasmessa agli eredi al momento dell’estinzione del ramo famigliare di Leonino Secco Suardo, la Baccante passa alla contessa Maffeis Mercuri di Bergamo, presso la quale si trovava ancora nel 1949. Potrebbe trattarsi della stessa opera documentata da un’immagine d’epoca conservata presso la fototeca della Fondazione Zeri di Bologna Attualmente la scultura risulta irreperibile.

Il gesso tratto dalla statua prima di inviarla a Milano permise a Baruzzi di replicarla successivamente. La prima replica è quello realizzata nel 1850 per inviarla alla Esposizione Universale di Londra del 1851. Dopo alcuni mesi di febbrili valutazioni Baruzzi finì per decidere di inviare in Inghilterra una replica dell’Eva, una della Timpanista e una della Psiche seduta con la farfalla. Possediamo un’immagine della Timpanista all’interno dell’esposizione, ma non sappiamo se rientrò con l’autore o rimase in Inghilterra. Due anni dopo Baruzzi invia al Salon di Parigi una Timpanista che ebbe ottime recensioni, rispondendo molto bene allo spirito di coquetterie tipico dell’arte francese ufficiale di questo momento e che fu venduta a Elisabetta Trellony di Beauregard. Anche di questa statua si sono perse le tracce. L’iter preparatorio della scultura era documentato da un modellino in terracotta, donato da Baruzzi al forlivese Camillo Versari, anch’esso disperso, e dal gesso in scala 1/1 ancora oggi conservato nell’atrio della Villa Baruzziana. Una splendida versione in marmo è recentemente apparsa sul mercato antiquario, ma senza indicazione di provenienza. Il soggetto è una rielaborazione del tema della danzatrice, tanto amato da Canova e ben presente alla Fagnani Arese. Una giovane donna con i capelli discriminati in trecce aderenti al capo, come la Danzatrice con i cembali di Canova, sui quali posa di sghimbescio una corona di fiori, accenna un passo di danza, ma allo stesso tempo rimane seduta, accompagnando con la percussione del triangolo la danza delle altre baccanti. Indossa una veste corte che ricade sui fianchi, lasciando scoperto il busto. La figura si appoggia ad un tronco in parte coperto dalla pelle di pantera, simbolo del dio Bacco, e ai suoi piedi sono disposti alcuni strumenti musicali tra i quali sono riconoscibili la siringa, i cembali e un flauto. Accanto all’appoggio si trova un cesto pieno di fiori a forma di cornucopia, da cui discende una ghirlanda.

La figurina è estremamente aggraziata nella gestualità delle mani dalle lunghe dita nelle quali era collocato un triangolo in rame dorato e nella mossa vivace del volgersi del capo contrapposto con il gesto delle braccia. La falcata delle gambe dalle ginocchia flesse è estremamente vivace, anche se incoerente. In perfetta sintonia con la poetica anacreontica di Thorvaldsen, raccolta da tutti gli scultori presenti a Roma nella loro giovinezza quando il danese subentra al grande veneto negli anni ’20, la Danzatrice di Baruzzi è un esempio perfetto dell’evoluzione del gusto neoclassico verso il momento borghese della Restaurazione. La limpida gioia di vivere del mondo antico, evocata dalle Danzatrici canoviane, cede il passo alla grazia convenzionale che ricorre al virtuosismo della lavorazione dei dettagli in marmo (i capelli, gli strumenti musicali, i fiori e i frutti), frantumando l’armonia unitaria in una serie di piccoli stimoli visivi gratificanti, ma dispersivi.

Antonella Mampieri

Testo tratto dalla scheda realizzata dall'autrice per il volume 'Cincinnato Baruzzi (1796 - 1878)', secondo numero della Collana Scultori bolognesi dell'800 e del '900, Bononia University Press, Bologna, 2014.