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Salvino Salvini

26 Marzo 1824 - 4 Giugno 1899

Scheda

A Bologna il toscano Salvino Salvini (Livorno, 1824 - Arezzo, 1899) svolse un ruolo di assoluto rilievo nello sviluppo della scultura, pur nei rapporti non facili che ebbe all'interno dell'Accademia di Belle Arti felsinea, dove vi insegnò dal 1861 al 1893, e da cui si allontanò ormai anziano. Fu infatti chiamato all'indomani dell'annessione della città al regno dei Savoia, con il chiaro intento di rinnovare la scena artistica locale. Nello stesso momento vennero chiamati altri due toscani con lo stesso scopo, il poeta e letterato Giosue Carducci e il pittore Antonio Puccinelli. L'intento trovò piena attuazione, in quanto sotto la guida di Salvini ebbero modo di formarsi Diego Sarti, Tullo Golfarelli, Enrico Barberi e Pasquale Rizzoli. Nel cimitero bolognese della Certosa Salvini eseguì diverse opere, ed è possibile rilevare come il classicismo sia man mano aggiornato verso il verismo descrittivo della seconda metà del secolo, spesso con forti accenti sentimentali. Si segnalano come estremi di questo percorso il grande bassorilievo dedicato al chirurgo Francesco Rizzoli, e il minuzioso sepolcro Beau (1874). Altre sue opere che si ammirano in Certosa sono i ritratti in marmo di Rodolfo Audinot (1875) e di Camillo Casarini (1881); piccole prove rispetto al vigoroso ritratto a figura intera dedicato al giurista Giovanni Contri (1873), o allo scenografico gruppo a tutto tondo del sepolcro De Simoni (1876), capolavoro di tecnica artistica. Il giornale L'Ancora di Bologna, nel n. 64 del 1874, dà notizia che a lui viene dato l'incarico per un busto di Angelo Mariani da collocare nell'atrio del Teatro Comunale.

Salvini non si rinchiuse nell'ambito artistico locale, tanto che alcune sue opere ebbero riconoscimenti nazionali: tra tutti si segnala il Giotto fanciullo, sicuramente una tra le sue sculture più note. Il Giotto fin dalla prima esposizione in pubblico ricevette recensioni entusiastiche, e presso l'Esposizione di Brera del 1876 viene descritto come Giotto fanciullo, esordiente nello studio del pittore Cimabue, contempla la sua prima opera. Successivamente al Giotto vengono dedicate anche poesie: Eccovi Giotto / Col pennel ne la destra. Eccolo in atto / Di figurar la Vergine Madre. In essa / Egli vagheggia la superba idea / Che in cor ci ferve (...). Esposto a più riprese tra Milano (1873), Napoli (1877 in marmo), Parigi, Roma, Torino (1884), fu giustamente confrontato con il Cristoforo Colombo fanciullo di Monteverde (1870), capolavoro della scultura italiana di quel periodo. Una versione in marmo del Giotto, alta 166 centimetri, è tutt'ora conservata presso la Galleria comunale d'Arte Moderna di Roma, dove è pervenuto tramite acquisto nel 1883. Altra scultura che ha reso celebre il nostro è La figlia di Sion (1852), esposta sia a Firenze sia a Londra. Questa opera viene ricordata nel 1888 “come un documento dello stato morale che aveva dominato tutti gli animi, poiché fin dal primo apparire, La figlia di Sion fu incaricata di esprimere la schiavitù dell’Italia.”

Sorte del tutto diversa fu riservata al colossale modello per il Monumento a Vittorio Emanuele II. La commissione dell'opera risale al 1859, con l'aggiudicazione del concorso per il monumento equestre a Vittorio Emanuele II di Firenze. Il modello per vari motivi non venne mai fuso in bronzo ed oggi nella città toscana si ammira quello realizzato nel 1890 da Emilio Zocchi. Questa amara esperienza non lo scoraggiò, tanto da partecipare ad altri concorsi sullo stesso tema, come a Genova, dove ottiene nel 1881 il premio ex aequo insieme ad Augusto Rivalta e ad Alfonso Balzico. Il modello in gesso - attualmente irreperebile - fu esposto presso l'Accademia bolognese nel 1867, in occasione dell'annuale premiazione, lasciando una grandissima impressione tra i visitatori e gli studenti, e mettendo in imbarazzo i docenti - oltre che colleghi - chiamati a giudicarla. Prova ne sono le parole messe a stampa: la Commissione entra per ultimo nel locale ov’è esposto il grande colosso della Statua equestre di S. M. il Re Vittorio Emanuele, modellata dal professore Salvino Salvini, da essere fusa in bronzo. Da alcuni professori si osserva mancar la distanza sufficiente a poter ben calcolare l’effetto di tanta mole, considerato eziandio riguardo alla materia nella quale dovrà la statua essere tramutata, ed egli opinano che non si possa dar parere, perché non si hanno i necessari elementi. Oppongono altri che essendo quell’opera stata ammessa al concorso, è diritto del concorrente, dovere de’ commissarii il giudicarne. Dopo discussione non breve fra i propugnatori sì dell’uno e sì dell’altro avviso, la Commissione entra nel convincimento che il giudizio abbia a proferirsi. Posto in saldo questo punto, l’imponenza dell’opera gigantesca, e l’entità e l’ardimento dell’impresa, prevalgono sì che più non è dato campo ad alternative, ed il premio si propone a favore del prof. Salvini. La foto conservata presso il Museo del Risorgimento di Bologna riprende fedelmente il punto di vista degli accademici poiché lo scatto è realizzato nell’istituto, dentro l'Aula Magna.

Angelo De Gubernatis così descrive Salvino Salvini nel suo dizionario dal titolo Artisti Italiani Viventi stampato per i tipi di Le Monnier, Firenze, 1889: Scultore toscano, nato a Livorno il 26 marzo 1824, ha nome tra i più valenti scultori toscani. Fece i primi studi all'Accademia di Firenze, indi passò a Roma, donde spedì alla Accademia fiorentina come saggio dei suoi studi, la statua di Archimede, che fu giudicata sotto ogni aspetto lodevole. Fece quindi, nel 1852, la statua della desolata figlia di Sion Ehma, anch'essa degna di lode. Questa statua dalla cui labbra pare che di nuovo prorompa il disperato lamento dei biblici canti, destò già l'ammirazione degli italiani come oggi forma quella degli stranieri nel museo di Londra ove si trova. Nel 1862, già professore nella R. Accademia di Bologna, inalzò nel Camposanto di Pisa una bella statua a Nicola Pisano, e poco tempo innanzi aveva vinto un concorso per una statua equestre da inalzarsi a Vittorio Emanuele nella piazza dell'Indipendenza a Firenze. Espose, nel 1877, all'Esposizione di Belle Arti in Napoli una statua in marmo rappresentante: Giotto Fanciullo; ed un altro bel busto in marmo: Gioacchino Rossini; lavori che presentò poi a Firenze, a Roma, a Bologna e a Torino, dove, nel 1884, espose un pregevole busto in gesso rappresentante: Padre Cristoforo; lavoro che fu già ammirato all'Esposizione di Roma nel 1883. E' sua nella facciata del Duomo di Firenze la bella statua del cardinale Valeriani che benedice i fondamenti della chiesa di Santa Reparata.

Alla sua morte viene ricordato in diversi giornali dell'epoca, tra cui L'Illustrazione Popolare, che così lo ricorda: Il 4 giugno ad Arezzo (che gli aveva conferito la cittadinanza onoraria) morì lo scultore Salvino Salvini. Era nato a Livorno nel marzo 1824 da famiglia modesta. Presto si dedicò all'arte della scultura, recandosi in Firenze alla scuola del Bartolini, nella quale apparve de' migliori, sì che al termine degli studii vinse il pensionato governativo a Roma. Ivi dimorò tre anni, e vi modellò tre saggi di bel valore: le statue di Archimede, di Omero e la Figlia di Sion, premiata di poi all'Esposizione di Firenze del 1861. Dal 1852 al 1861 fu professore di scultura a Pisa, e quando la scultura nell'Accademia bolognese restò vacante, fu chiamato a quell'ufficio il Salvini. Nel 1857 egli aveva modellata la statua di Nicolò Pisano per il Campo Santo di Pisa; e nel 1866 modellò quella di Giovanni Pisano, per lo stesso cimitero poetico. L'anno 1874, fu scoperta nell'Istituto Tecnico di Forlì la sua statua di G. B. Morgagni. In appresso egli eseguì il monumento pubblico eretto in Arezzo a Guido Monaco, ed il simulacro del cardinale Valeriani, collocato in un pilone della facciata del Duomo di Firenze. Altra opera che al Salvini procurò fama fu la statua del Giotto giovanetto, nella sala dei matrimoni in Roma.

Roberto Martorelli