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Antonio Guriolo (Giuriolo) detto/a Toni

12 febbraio 1912 - 12 dicembre 1944

Scheda

Antonio Giuriolo, “Toni”, da Pietro e Marina Arrighini; nato il 12 febbraio 1912 ad Arzignano (VI); ivi residente nel 1943. Laureato in lettere. Non potè insegnare - dopo avere conseguito la laurea nel 1933 - perché non aveva la tessera del PNF. Il padre, un avvocato iscritto al PSI, aveva subìto la violenza fascista nel 1922 per la sua opposizione alla dittatura. Dopo la guerra d'Africa divenne uno dei dirigenti del movimento di GL nel Veneto e nell'estate del 1942 fu tra i fondatori del PdA. All'attività politica clandestina alternava gli studi umanistici nei quali era particolarmente versato. Era un cultore della letteratura francese e russa e tradusse numerosi libri. Fu più volte richiamato alle armi, nel 1933, nel 1935, nel 1940 e nel 1943 quando fu inviato, con il 7° rgt alpini, in Slovenia (Jugoslavia). Aveva il grado di capitano. Qui fece esperienza dal vivo della guerriglia che combattevano i partigiani iugoslavi contro italiani e tedeschi.

Al momento dell'armistizio si trovava a Vicenza e fu uno dei primi organizzatori della Resistenza in Veneto. Il 12 settembre 1943 - quattro giorni dopo l'armistizio - scrisse su “Giustizia e libertà”, il foglio clandestino del PdA veneto: “La guerra è finita contro le potenze anglo-sassoni, ma in Italia ci sono ancora i tedeschi. Questi barbari odiatissimi hanno ormai chiara la consapevolezza della loro inevitabile sconfitta; ma vorrebbero associare anche noi alla loro folle corsa verso la rovina e l'annientamento” [...] “Oggi più che mai la nostra coscienza di uomini e di italiani ci impone un preciso e sacro dovere; i nostri nemici mortali, i fascisti e i tedeschi, hanno gettato la loro maschera: occorre ora colpirli, decisamente, per la nostra salvezza presente e futura”. Pochi giorni dopo si recò in Friuli, nella valle del Natisone, ed entrò a far parte di una formazione partigiana. Vi restò sino a novembre quando si spostò nel bellunese dove combattè in una formazione GL sino a maggio.

Nel mese di giugno nuovo spostamento nell'altopiano di Asiago (VI) e nuovi combattimenti contro i nazifascisti. Alla fine di quel mese dovette tornare in famiglia perché minacciava di incancrenire una ferita a una mano. Sotto falso nome si fece ricoverare al centro ortopedico Putti di Bologna, un complesso sorto per esigenze militari accanto all'Istituto ortopedico Rizzoli. All'interno del Putti funzionava una infermeria clandestina, organizzata dal PSI con la collaborazione del direttore Oscar Scaglietti. In essa vi erano ricoverati, tutti con falso nome, altri partigiani feriti. Durante il breve soggiorno bolognese, fu avvicinato da Gianguido Borghese, il comandante regionale delle formazioni Matteotti, il quale lo invitò a restare. Essendo in quel momento priva di comandante la brg Matteotti Montagna, gli chiese di assumere la responsabilità, sia pure per un breve periodo, per riorganizzarla. Accettò e, una volta guarito, anziché tornare in Veneto, si recò nell'alta valle del Reno. Il 16 luglio 1944 assunse il comando della brg. In breve tempo divenne uno dei più capaci e stimati comandanti partigiani dell'Appennino tosco-emiliano. La brg operò nei due versanti. Guidò i suoi uomini non con l'autorità del grado, che non fece pesare, ma con l'esempio, dopo avere ricercato e sollecitato il massimo di collaborazione e di partecipazione, ogni volta che doveva prendere una decisione.

Lo scrittore Luigi Meneghello - che fu suo partigiano in Veneto - ha scritto che “senza di lui non avevamo veramente senso, eravamo solo un gruppo di studenti alla macchia, scrupolosi e malcontenti; con lui diventammo tutta un'altra cosa. Per quest'uomo passava la sola tradizione alla quale si poteva senza arrossire dare il nome di italiana; Antonio era "un italiano" in un senso in cui nessun altro nostro conoscente lo era; stando vicini a lui ci sentivamo entrare anche noi in questa tradizione”. Il rapporto di vera e propria comunione che si era formato tra lui e i suoi uomini in Veneto, si ricreò automaticamente a Bologna. Il cambiamento di latitudine, e quindi di mentalità e di abitudini, oltre che di orientamento politico, non influì su di lui, anche perché la natura della guerra di liberazione non mutava con il mutare dell'ambiente. Guidò con mano ferma i suoi uomini in tutti i principali combattimenti dell'Appennino tosco-emiliano, compreso quello della repubblica di Montefiorino (MO). Ai primi di settembre 1944 - nel quadro delle direttive del CUMER per la liberazione di Bologna e della provincia - la Matteotti Montagna passò all'attacco nella zona di Capugnano (Porretta Terme) e, a uno a uno, liberò Boschi (Granaglione), Granaglione, Borgo Capanne (Granaglione), Camugnano, Castelluccio (Porretta Terme) e numerosi centri della Toscana.

Tra il 4 e 5 ottobre guidò i matteottini nella battaglia per liberare Porretta Terme e consegnò l'importante centro montano alle truppe americane della 5a armata. Fermatosi il fronte a valle di Porretta Terme, riorganizzò la Matteotti con la collaborazione di Fernando Baroncini, il commissario politico. Riarmata ed equipaggiata dagli americani, la brg passò dalla guerra per bande e di movimento a quella di posizione. Le fu affidato un tratto di fronte e sostenne numerosi combattimenti. Il 12 dicembre 1944, dopo avere occupato una postazione tedesca a Corona, a ovest di Monte Belvedere, i matteottini furono contrattaccati. Mentre copriva i suoi uomini, che si ritiravano combattendo, fu falciato da una raffica di mitraglia assieme a Pietro Galiani e Nino Venturi. Nella notte nevicò e i corpi dei partigiani poterono essere ricuperati solo nella primavera, quando i matteottini occuparono definitivamente la zona. La sua salma fu trovata minata. Su proposta del comando militare americano, alla sua memoria è stata conferita la medaglia d'oro al valor militare. Riconosciuto partigiano dal 9 settembre 1943 al 12 dicembre 1944. Il suo nome è stato dato a una sezione del PSI di Bologna; ad una strada di Bologna ed a una di Molinella. [O]

E' ricordato nel Sacrario di Piazza Nettuno.