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Luigi Cadorna

4 Settembre 1850 - 21 Dicembre 1928

Scheda

Luigi Cadorna (Pallanza, Verbania 4 settembre 1850 – Bordighera, Imperia, 21 dicembre 1928) a dieci anni divenne allievo del Collegio Militare di Milano. Entrato effettivo nell’Esercito Regio al termine degli studi, seguì la carriera militare dapprima all’ombra del padre Raffaele, poi di altri illustri comandanti dell’Esercito italiano. Tenente generale nel 1905, ebbe il comando della divisione di Ancona (1905-1907), e di quella di Napoli (1907-1909). Nel 1910 assunse il comando del corpo d’armata di Genova e nel 1912 venne designato per il comando della 2a armata in caso di guerra, sempre con sede a Genova.

Nel 1913 venne nominato Senatore del Regno. Studioso di tattica militare, pubblicò diverse opere sul tema. Il 6 luglio 1914 venne designato come nuovo capo di Stato Maggiore dell’esercito. Dopo la dichiarazione di neutralità chiese l’immediata mobilitazione generale, al fine di mettere l’esercito –che lui riteneva inadeguato nei mezzi ed insufficiente nei quadri dirigenti- in condizioni di farsi valere, ma il governo vi si oppose, temendo un prematuro ingresso del paese nel conflitto. Tra l’ottobre 1914 ed il maggio 1915 ebbe comunque modo di iniziare il lavoro di ammodernamento, pur con le ristrettezze abituali, e predispose anche corsi accelerati per creare nuovi ufficiali (corsi cui si presentarono molti interventisti). Chiese ed ottenne anche la mobilitazione industriale del paese, pur con modesti risultati iniziali. All’entrata in guerra dell’Italia Cadorna aveva a disposizione 35 divisioni ed un armamento inadeguato alle esigenze della guerra che si andava delineando. La sua conduzione del conflitto seguì i suoi principi: impegnare il maggior numero possibile di divisioni austro-ungariche e distruggerle. Ordinò uno schieramento difensivo nel Trentino e permise offensive locali di avanzamento in Friuli, in Cadore ed in Carnia. A tale piano si attenne anche quando l’andamento della guerra (Strafexpedition 1916, battaglie dell’Isonzo tra il 1916 e il 1917) le cose sembrarono dargli torto. Ottenne anche successi, che ebbero molta risonanza nella pubblica opinione (presa di Gorizia 1916, battaglia della Bainsizza 1917) e spinsero il già traballante impero austro-ungarico sull’orlo del collasso. All’interno dell’esercito effettuò una severa selezione, esonerando 206 generali e 255 colonnelli, ritenuti non adeguati, e ampliando i ranghi come mai era successo in passato: i 548 battaglioni di fanteria del 1915 divennero 867 nel 1917, e gli armamenti e le artiglierie aumentarono in proporzione. Tutto ciò comunque non gli consentì di ottenere dall’esercito l’alto rendimento che lui, ancorato ad una concezione ottocentesca del dovere e del ruolo dei combattenti, avrebbe voluto. Non capì cioè i problemi, le necessità e la psicologia di quell’esercito semi-improvvisato, non curò a sufficienza il benessere delle truppe, e rispose con durezza, ordinando fucilazioni e decimazioni, alle manifestazioni di disagio profondo che, soprattutto nel 1917, si manifestarono in modo quasi endemico nell’esercito. Esaltato dalla stampa, solo alla conduzione di un immenso esercito che aveva voluto ed ottenuto, ma che con difficoltà dirigeva, sempre in tensione nei suoi rapporti con il governo, all’indomani della disfatta di Caporetto, da lui non compresa, ed annunciata con un drammatico discorso radiofonico, venne esonerato dal comando (30 ottobre 1917) e nominato membro del Consiglio superiore di guerra interalleato con sede a Versailles. Il 17 febbraio successivo venne però improvvisamente richiamato in Italia e messo a disposizione della commissione nominata dal nuovo governo Orlando per far luce sul disastro di Caporetto. Alle accuse mossegli, rispose con uno sdegnoso silenzio, e con la pubblicazione delle proprie memorie. Venne nominato Maresciallo d’Italia da Mussolini, insieme a Diaz, il 4 novembre 1924.

Mirtide Gavelli

Bibliografia: G. Rochat, in Dizionario biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1973, vol.16, ad nomen; L. Cadorna, La guerra alla fronte italiana fino all’arresto sulla linea della Piave e del Grappa, Milano, 1925.