Palazzo Baciocchi - poi di Giustizia

Palazzo Baciocchi - poi di Giustizia

Scheda

Testo tratto dalla rivista 'Bollettino del Comune di Bologna' numero 8, Agosto 1924

"Da molti anni giaceva in uno stato di quasi completo abbandono il palazzo che è sede unica della Giustizia della nostra città e che tuttora ripete presso il popolo ligio alle tradizioni dei bei nomi sonanti della storia e della gloria cittadina, l’appellativo di palazzo Bacciocchi, dal casato dell’ultimo ricco possessore e restauratore della magnifica mole. (...) La nuova amministrazione comunale, dopo provvedimenti di più urgente ed indilazionabile necessità, ha posto mente anche alle deplorevoli condizioni del Palazzo Bacciocchi proprio quando, coincidenza opportuna, per il nuovo ordinamento giudiziario di S. E. il Comm. Avv. Oviglio, più vasta importanza era assunta dalla sede di Bologna dell’amministrazione della giustizia. Prima tuttavia di descrivere, sia pur brevemente, gli importanti lavori di restauro compiuti e quelli in corso per la costruzione della nuova palazzina destinata a sede della Pretura, pensiamo sia doveroso ed interessante, anche perché si tratta di storia poco conosciuta e pur non senza pregio, tracciare la storia delle origini e della vita di questa magnifica proprietà del Comune. Sul Palazzo che ora accoglie gli Uffici giudiziari si trovano negli storici bolognesi e più specialmente nel GUIDICINI le notizie seguenti: La costruzione del Palazzo fu iniziata da Carlo di Antonio Ruini il quale il 27 agosto 1572 pose mano allo scavo dei fondamenti: più tardi il 28 giugno 1582 vi è memoria di un atto con cui lo stesso Carlo Ruini ottenne dal Senato un’area di suolo pubblico per allineare certe tortuosità e fare il vestibolo e la facciata di già cominciata ed erigere con magnificenza di linee lungo “la via che andava al Crocefisso”. E’ opinione ripetuta insistentemente che il disegno della facciata debba attribuirsi ad Andrea Palladio, ma pare che vi lavorassero anche altri architetti: si fanno i nomi di Domenico Tibaldi e del Bibbiena. Nel frontone vi era la iscrizione “Carolus Ruinus Senator fecit 1584”, ora vi si legge malamente con lettere mal ricoperte da scialbature di gesso “Marc. Ant. Ranutius Senator et Porrectae Comes”. L’edificio infatti fu continuato ma non compiuto dai componenti la famiglia Ruini la quale venne ad estinguersi prima che la fabbrica dell’edificio fosse giunta a termine. Detta famiglia Ruini pare originaria di Reggio (dove il cognome è oggidì portato fra gli altri dall’on. Bartolomeo Ruini già Ministro) e si trasportò a Bologna con Carlo di Corradino Ruini, anatomico di gran fama, chiamato ad insegnare presso lo studio di Bologna; che si acquistò fama ed onori cospicui; annoverò fra i suoi scolari Francesco Guicciardini e Gregorio XIII (il bolognese Ugo Buoncompagni) e morì vecchissimo il 3 aprile del 1530: la sua discendenza maschile si estinse nel marchese Ottaviano morto il 1° giungo 1634. La figlia di questi marchesa Isabella maritata al duca Gonzaga Bonelli di Roma, unica erede di Casa Ruini, affittò per qualche tempo il palazzo al Collegio dei Nobili di Bologna, poscia alla principessa Isabella di Savoia (e così la bianca croce sabauda dello stemma apposto sopra la porta non era del tutto estranea al passato dell’edificio). Con atto dell’11 aprile 1679 tutto il palazzo, che allora trovavasi tuttora incompiuto ed in parte soltanto abitabile, fu venduto al Conte Marcantonio di Annibale Ranuzzi.

I Ranuzzi che, come già i Ruini, ripetevano la loro aggregazione alla nobiltà bolognese dal fatto di discendere da un chiaro docente dello Studio (è infatti degno di rilievo che gran parte del patriziato bolognese ha tratto il suo blasone e il suo vanto più cospicuo da un originario legame coll’antico Studio, l’Università costituendo per unanime consentimento, la tradizione più alta e il maggior titolo d’onore della città) intrapresero la continuazione del palazzo: lo stesso comparatore Marcantonio, dopo essersi procurato vari progetti e disegni dai più rinomati architetti del tempo come il Rinaldi e il Fontana, finì il cortile (l’atrio posteriore è attribuito a G. A. Torri; quello che mette al secondo cortile a F. M. Angelini) e restaurò tutto lo stabile da capo a fondo spendendovi somma che si stimò allora ingente. Suo figlio Annibale, venuto ad abitare personalmente il palazzo nel 1686 vi costruì nel 1695 il grandioso scalone simboleggiante il Concilio degli Dei, adorno di molte statue del Balugani su disegno di G. B. Piacentini. Il Conte Ferdinando Vincenzo nel 1712 comprò alcune case ed orti che appartenevano alla famiglia Ratta dalla parte di via Ballotte, ora Solferino per tracciarvi un giardino ed erigervi fabbricati per locali di servizio e stalle: nel 1720 costruì il gran salone decorato dal Franceschini, la galleria (nella cui volta Vittorio Bigari e Stefano Orlandi dipinsero favole alludenti ai Bagni della Porretta, feudo della Famiglia), nonché altre ricche sale pregevolmente decorate. Il Senatore Marcantonio juniore nel 1727 ornò l’interno del palazzo e lo arricchì di preziosa suppellettile. Sopravvenuti mutamenti politici, la famiglia dei Conti Ranuzzi ultimi e legittimi portatori di un titolo feudale nella provincia di Bologna, decisero di disfarsi del palazzo avito cedendolo ad un rappresentante della nuova aristocrazia che si formava coi famigliari del nuovo Cesare corso: il 9 marzo 1822 il Conte Camillo Angelo del fu Senatore Annibale Ranuzzi vendette il Palazzo al Principe Felice Bacciocchi per ventisettemila scudi romani. Il nuovo compratore era il vedovo della non bella ma energica e volitiva sorella di Napoleone Elisa, già Granduchessa di Toscana che dopo la restaurazione susseguita all’impero napoleonico ottenne pei buoni uffici del bolognese Antonio Aldini antico ministro di Stato del Regno d’Italia, dal Governo Austriaco e Pontificio l’autorizzazione ad abitare a Bologna, città in cui Elisa Bonaparte aveva fatto lunghi soggiorni, portando essa, fra gli altri, il titolo di principessa di Bologna. Sinceramente affezionatosi alla nostra città, dove in una Cappella di S. Petronio egli aveva raccolto le spoglie della consorte e dei figlioli, il Bacciocchi volle contribuire al decoro cittadino restaurando ed arredando con molto sfarzo il suo nuovo acquisto. Per rendere poi più maestoso l’aspetto del Palazzo esteriormente nel 1824 acquistò alcune case che stavangli davanti e nel 1826 ottenne di poter atterrare la Chiesa di S. Bartolomeo provvedendo con lavori di demolizione, eseguiti sotto la direzione del valente architetto Filippo Antolini, alla formazione dell’attuale Piazza denominata poi dei Tribunali e che ora si intitola al martire Giulio Giordani a ricordo del quale nell’atrio d’entrata del palazzo fu eretto il monumento, pregevole lavoro del Monteguti.

Qualcosa resta a dire sulle vicende del palazzo dopo la morte del principe Filippo Bacciocchi avvenuta il 27 aprile 1841.
Per la prematura tragica fine dell’unigenito maschio Federico morto per caduta da cavallo in Roma nel 1833, unica erede del Bacciocchi era la figlia Napoleona – figura assai notevole così per la tempra virile dell’animo come per l’ineguaglianza femminile del carattere – e che fu ritratta con molto rilievo nel dramma napoleonico del Rostand. Essa si era sposata in assai giovine età e proprio qui a Bologna nel novembre del 1824 col Conte Filippo Camerata di Ancona, ma le nozze celebratesi qui in città con feste e spettacoli di cui rimase a lungo il ricordo e di cui il palazzo era stato conveniente e sfarzoso teatro, non riuscirono felici. Perciò si comprende agevolmente come divenuta unica proprietaria del cospicuo ma non soverchiamente redditizio patrimonio paterno – che dal principe Felice era stato eretto in fidecommesso primogeniale, al quale erano chiamati in sostituzione dei discendenti diretti dal fondatore, il principe Gerolamo Napoleone Bonaparte (che sposò poi la figlia di Vittorio Emanuele II) ed i suoi discendenti, - la Principessa Bacciocchi Camerata, anche in seguito alla tragica morte dell’unico figlio Conte Napoleone Camerata, spentosi suicida a Parigi nel 1853, misteriosa tragedia che adombrò di se i vividi se pur effimeri splendori del secondo Impero, si affrettò a scambiare i beni costituenti l’eredità paterna, fra i quali soprattutto il palazzo di città, con fondi rustici di miglior reddito mediante permuta contratta nel 1858 col Conte Enrico Grabinski. Non cessò nelle mani del nuovo proprietario il palazzo dall’essere gradito centro di ritrovo del patriziato bolognese. A questo, già spuntando l’aurora dei tempi nuovi, aveva fatta adesione e ne era entrato a far parte unendosi a gentil donna bolognese il capo della famiglia Grabinski, l’illustre generale Giuseppe, valoroso superstite delle guerre napoleoniche, che, rifiutando di sottostare al dominio straniero che si era appesantito sulla sventurata sua patria, dalla nativa Polonia si era fin dal 1809, a capo di una delle legioni polacche napoleoniche, trasferito a Bologna. E alla sua patria di adozione il Generale Grabinski seppe rendere segnalati servizi offrendole la sua spada nella rivoluzione del 1831 e si distinse assai nella difesa della stretta della Cattolica ove con poche improvvisate forze seppe onorevolmente tener testa alle agguerrite truppe austriache. Seguendo le orme dei suoi predecessori il Conte Enrico Grabinski, figlio del Generale Giuseppe ebbe a prendersi amorosa cura del Palazzo non solo sorvegliandone la manutenzione ma accrescendone i pregi col sistemarne le adiacenze e l’accesso: infatti colla autorevole sua iniziativa promosse la costruzione dell’ampia via che mette capo al piazzale sul cui sfondo sorge il palazzo, importante arteria edilizia che fu eseguita dal Municipio di Bologna - in quegli anni fortunosi per le sorti della Patria costituitosi – e dal Municipio stesso intitolata al Generale Giuseppe Garibaldi che aveva scelta Bologna per quartier generale dell’armata dell’Italia centrale.

Venuto a morte nel 1870 il Conte Enrico Grabinski lasciando superstite il solo suo figlio secondogenito Marchese Giovanni Potenziani (che dall’illustre suo avo materno aveva ereditato col nome un dovizioso patrimonio) questi risolse di trasferirsi lontano da Bologna. Si offriva così favorevole occasione al Comune di Bologna che da tempo avvertiva l’urgenza di provvedere alla conveniente sistemazione delle magistrature giudiziarie risiedenti a Bologna, del cui allogamento le leggi del Regno davano carico alle autorità municipali. L’esperienza aveva dimostrato che all’uopo poco utile poteva ritrarsi all’adattamento di locali derivanti da corporazioni religiose soppresse; per qualche tempo il Comune aveva pensato a completare pei Tribunali l’edificio dell’antico Ospedale della Morte, ma ben presto fu chiaro che il palazzo detto dei Musei poco spazio disponibile poteva dare oltre quella che appunti ai Musei era stato adibito. Ora, tra le proprietà private il solo palazzo già dei Conti Grabinski poteva per vastità sua servire opportunamente all’importante servizio pubblico, soprattutto dopo che coll’apertura della nuova via il Comune aveva provveduto ad allacciarlo comodamente al centro della città. Le trattative iniziate portarono ad esito favorevole e l’anno 1873 fu stipulato la cessione del palazzo stesso e nell’anno medesimo furono iniziati i lavori per l’adattamento dell’immobile al nuovo Ufficio. Tali lavori furono diretti dal compianto ing. Comunale prof. Antonio Zannoni che trovò un valido collaboratore nell’ing. Federico Antolini degno figlio ed erede dell’architetto Filippo Antolini che aveva restaurato il palazzo ai tempi del Principe Bacciocchi. E si può dire che i lavori compiuti dal Municipio per porre lo storico edificio in grado di offrire acconcia e sufficiente sede a tutte le molteplici magistrature giudiziarie che risiedono nella città nostra si siano poi, a successive riprese attraverso restauri ed innovazioni di varia importanza svolte per tutto il cinquantennio ed abbiamo avuto degno coronamento nelle opere compiute nei giorni ultimamente scorsi di cui passiamo a dare particolare ragguaglio.

Trascrizione a cura di Lorena Barchetti

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Documentario | Bologna nel Lungo Ottocento (1794 - 1914)
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Documentario - Bologna nel lungo Ottocento (1794 - 1914), 2008. La città felsinea dall'età napoleonica allo scoppio della Grande Guerra.

Documenti
Feste al Palazzo Baciocchi (Le)
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Lino Signinolfi, Le feste al Palazzo Baciocchi. Dalla rivista 'Bollettino del Comune di Bologna' numero 12, dicembre 1924. Trascrizione di Lorena Barchetti.

Palazzo di Giustizia (Il)
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Lino Signinolfi, Il Palazzo di Giustizia, la decorazione interna del Palazzo Baciocchi. Dalla rivista 'Bollettino del Comune di Bologna' numeri 11-12, novembre - dicembre 1924. Trascrizione di Lorena Barchetti.

Vendita Grabinski
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Catalogo della vendita Grabinski, mobili di ogni epoca - bronzi - lampadari - argenterie - vasi della China - merletti - biancheria ecc.; Bologna, Tipografia Neri, 1903. Collezione privata.

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