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Un decennio cruciale per Bologna

1849 | 1859

Schede

All’indomani della sconfitta subita dagli austriaci sul campo di Magenta (4 giugno 1859) il potere plurisecolare dello Stato pontificio sulle Legazioni si sciolse come neve al sole, cedendo il passo ad una “rivoluzione” tra le più pacifiche della storia. Come si era arrivati a questo? Erano stati dieci anni: il 2 luglio 1849 l'Assemblea Costituente della Repubblica Romana aveva emanato la Costituzione cui avevano lavorato per mesi le menti più aperte e preparate dell'intera penisola, ed il giorno successivo la Repubblica aveva ceduto alla pressione francese ed austriaca; il 22 agosto anche Venezia, ultimo baluardo della libertà democratica in Europa, aveva issato bandiera bianca, stremata dalla fame e dal colera.

Lo Stato pontificio tornato al potere non riuscì neppure questa volta, come già negli anni '30, a mantenere l'ordine nei suoi territori avvalendosi delle sole proprie forze, e fu nuovamente costretto a servirsi del braccio armato costituito dall’esercito austro-ungarico, tanto che quella “seconda Restaurazione” segnò in profondità la memoria degli italiani per la spietatezza che la contraddistinse. Il regime instaurato vide l’applicazione della legge stataria (ovvero, la legge militare applicata anche alla popolazione civile), la soppressione di ogni diritto conquistato (libertà di stampa, di aggregazione, di parola, guardia civica, ecc.), la pesante repressione nei confronti dei cittadini coinvolti nel biennio rivoluzionario, attuata in modo più o meno esplicito. I perseguiti furono migliaia, solo in piccola parte apertamente per motivi politici: soprattutto fra i popolani, moltissimi furono arrestati con motivazioni comuni, e le carceri bolognesi si riempirono di gente che patì anche due o tre anni di carcere senza che mai venisse loro formalizzata una accusa precisa, e vennero poi rilasciati in sordina e senza processo tra il 1850 e il 1852. La dura reazione non cancellò comunque la crisi profonda in cui versava lo Stato Pontificio, e neppure gli ultimi disperati tentativi riformistici dei liberal-moderati, che fino al 1848 avevano tentato di consigliare e spingere il Papa sulla via delle riforme, unica possibile salvezza per il plurisecolare Stato, sortirono alcun effetto. Così scrive Luigi Carlo Farini:

“Polizia clericale e polizia francese in Roma; polizia austriaca nelle provincie. La censura sopra la stampa non governata né dalla Legge Piana del 1847 né da altra legge, ma dagli arbitrii del Santo Ufficio, dei Vescovi, della Polizia. Una generale inquisizione politica su tutti i funzionari dello Stato e dei municipi... Inermi tutti i cittadini, i masnadieri padroni delle vite e delle sostanze loro. Ristaurate tutte le immunità, ristaurati tutti i privilegi clericali... le carceri piene; il bastone per correzione dei carcerati. Proscritti, esulanti, ammoniti a migliaia e migliaia; né i soli repubblicani, i costituzionali, i novatori di ogni qualità, ma anche taluni alieni dalle parti, amici delle prime riforme e delle Pïane glorie. La nobiltà romana avversa ormai alle preminenze clericali; gran parte della curia e la borghesia nemiche, la plebe irata e ribelle. Ribelle nelle provincie la nobiltà, la borghesia, la plebe delle città... In queste condizioni era il Governo del Papa a cominciare dal 1850”. (Lo Stato Romano dall'anno 1815 al 1850, vol.IV, Firenze, Le Monnier, 1853). In questo clima sociale e politico la forza unificatrice per le popolazioni della penisola e per le diverse fazioni politiche fu l'intenzione di cacciare gli austriaci dal suolo italiano, idea che consentì di accantonare, almeno temporaneamente, ogni divisione, fosse essa ideologica, di intenti, di metodiche, ecc.

Mirtide Gavelli