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Movimenti e personaggi politici bolognesi negli anni dell’unificazione

1860 | 1914

Schede

La vicenda locale nel decennio postunitario è segnata dalla graduale stabilizzazione dell’assetto politico conservatore promosso dai liberali moderati, primi beneficiari del processo storico risorgimentale; il potere politico ed economico, a Bologna come nel resto d’Italia, è nelle mani della borghesia che, pur esprimendo interessi economici particolari, riesce a presentarsi come la più autorevole interprete degli interessi della nazione.

Alle elezioni amministrative del 1860 infatti risultano elette le personalità più in vista del panorama cittadino: primo fra tutti Marco Minghetti, uno fra gli esponenti più prestigiosi della Destra; Rodolfo Audinot, Francesco Rizzoli, Antonio Zanolini, i marchesi Gioacchino Napoleone Pepoli (che insieme a Minghetti e a Carlo Berti Pichat verrà eletto in Parlamento), Luigi Pizzardi e Luigi Tanari, per citarne solo alcuni. Nel corso degli anni, tuttavia, la forza e la rappresentanza politica dei moderati si vanno modificando, scosse dalle tensioni all’interno dell’ambiente liberale che presto mette in discussione l’egemonia del gruppo minghettiano, colpevole di promuovere una politica di consorteria in accordo con la burocrazia piemontese. L’unificazione amministrativa, la politica economica e finanziaria, l’indirizzo liberistico assunto dal governo della Destra sono alla base del malcontento cittadino, che si esprime nella richiesta di uomini nuovi, non ministeriali: significativa in questo senso è la lotta condotta dal cosiddetto “terzo partito”, guidato da Pepoli e composto da liberali dissidenti, che vogliono differenziarsi dai “ministeriali servili senza opinione e gli oppositori furibondi senza ragione” (Il Corriere dell’Emilia, 3 dicembre 1860). A fare le spese di queste modificazioni del quadro politico locale è Marco Minghetti, più volte ministro e Presidente del Consiglio, le cui sorti decadono rapidamente: vincitore alle elezioni del 1867, viene battuto due anni dopo dall’avvocato Giuseppe Ceneri, presidente della Società democratica (di cui fanno parte personalità come Quirico Filopanti e Giosue Carducci); in questi anni si segnala inoltre l’attività del progressista Camillo Casarini, futuro sindaco della città (1870-1872), cui segue il breve mandato del liberale Giovanni Malvezzi de’ Medici (febbraio-agosto 1872).

Nell’ambito dei movimenti democratici più avanzati occupa una posizione di rilievo il repubblicanesimo d’ispirazione mazziniana, che al problema istituzionale affianca quello dell’elevazione sociale del ceto operaio e la sua organizzazione in associazioni; i più illustri esponenti mazziniani sono Aurelio Saffi e i già citati Ceneri e Filopanti, divisi tuttavia nell’atteggiamento da adottare nei confronti della monarchia sabauda. Ma è tra i cattolici che si manifesta maggiormente l’opposizione al governo liberale: gli anni tra il 1865 e il 1867 vedono la nascita dell’Associazione cattolica per la libertà della Chiesa in Italia, fondata da G. Battista Casoni, e della Società della Gioventù Cattolica ad opera di Giovanni Acquaderni, ambedue espressioni della “resistenza attiva” del movimento e della necessità di nuove organizzazioni adatte ai tempi. La svolta del 1876, che in sede nazionale porta al governo Depretis, non incide particolarmente sul quadro politico cittadino: la classe liberale è sempre meno in grado di fronteggiare le nuove istanze sociali, nel momento in cui, in stretto rapporto con il processo di industrializzazione appena avviato, cominciano a manifestarsi i primi conflitti fra padronato e nascente classe operaia e le prime agitazioni di massa nelle campagne. Anche a Bologna cominciano ad avere ampia diffusione idee marxiste e di stampo anarchico: assume crescente rilievo la figura di Andrea Costa, fondatore del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna e primo deputato socialista alla Camera, dopo la riforma elettorale del 1882; in questi anni si comincia a delineare la frattura tra socialisti ed anarchici sancita dalla costituzione, per opera di Costa e Turati, del Partito dei Lavoratori Italiani e successivamente del Partito Socialista Italiano (1895).

Nell’ultimo decennio del secolo il panorama politico bolognese si articola in un partito liberale dominante, che mantiene una sostanziale unità d’azione pur essendo diviso in due correnti, quella moderata che fa capo a Giovanni Codronchi (Minghetti è scomparso nel 1886), e quella progressista diretta da Cesare Lugli; i partiti di opposizione sono costituiti dai cattolici, che si presentano alle elezioni amministrative per la prima volta nel 1895, dai repubblicani dell’Associazione Democratica, cui partecipano Saffi, Carducci e Ceneri, dai socialisti in costante ascesa e da un’esigua minoranza di anarchici. In particolare si assiste ad un processo di aggregazione dei gruppi democratici, repubblicani e radicali, e parallelamente ad un avvicinamento di questi alle forze liberal-progressiste in vista della formazione di un’area politica riformista. La crisi di fine secolo, che investe tutta l’Italia in un susseguirsi di scioperi nelle campagne e dimostrazioni cittadine contro il rincaro del pane, culminando nell’uccisione di Umberto I, determina la convergenza di liberali e cattolici nella lotta alla diffusione del socialismo; il movimento bracciantile nel Bolognese diviene imponente, frutto della capillare opera di costruzione di istituti e strutture organizzative (come la Federterra nel 1901, le organizzazioni sindacali e cooperative), che diventano strumenti di lotta per il miglioramento sociale ed economico di tutti coloro che vivono dei proventi del proprio lavoro. Nel primo decennio del nuovo secolo i socialisti conquistano il primato politico in tutta la regione: nelle elezioni politiche del 1913 ottengono la maggioranza assoluta a Bologna e in provincia, e nelle amministrative del 1914 viene eletto sindaco Francesco Zanardi, socialista d’indirizzo turatiano, cui spetterà il gravoso compito di dirigere la città negli anni della Grande Guerra.

Mara Casale