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Le modelle di Dudovich - Elisa e Rosina

1899 | 1905

Schede

"Rosina, Rosina, mettiti lì e stai un pò ferma che ti fanno un ritratto!" Bologna, 1899. Marcello Dudovich, un giovane pittore triestino di sicuro e personalissimo talento, giunge nel capoluogo emiliano su invito dell'editore francese Chappuis, titolare di una litografia situata in via Cartolerie. Sono gli anni in cui l'Italia incomincia ad essere contagiata dalla febbre delle affiches. Manifesti colorati, accattivanti ma soprattutto tecnicamente ineccepibili, frutto della collaborazione tra grafici e artisti, reclamizzano dai muri cittadini, spettacoli, mostre, rassegne di ogni genere, nuovi prodotti industriali. La piccola litografia di Chappuis diventa grazie a Dudovich uno dei centri diffusori del nuovo fenomeno. Il realismo descrittivo di stampo ottocentesco dei primi cartelloni pubblicitari lascia il posto, nei disegni del giovane triestino, a forme semplici e bidimensionali dai contorni evidenziati e netti. Uno stile nuovo che non deve più molto alla pittura e che incomincia a costruirsi un suo proprio e peculiare linguaggio.

L'intraprendente Dudovich non tarda a farsi conoscere ed apprezzare dalla Bologna del tempo: "I goliardi erano i miei amici ed erano i padroni della città. Conobbi (tutti erano alla mano allora) Carducci, Oriani, Stecchetti, Panzacchi, Respighi, Federzoni, Lipparini. Conobbi anche colei che molti anni dopo doveva diventare mia moglie. Era una bella ragazza bruna e sottile e veniva da Faenza, si chiamava Elisa Bucchi. Nei miei disegni di donna ho sempre ritratto lei, la sua figura elegante, il suo naso leggermente aquilino, il portamento fiero della sua testa". Elisa Bucchi la "faentina", futura "cronista mondana" di giornali alla moda, la quale spesso si firmava con lo pseudonimo di Elisa della Castellina, sarebbe dunque l'ispiratrice delle eleganti silhouettes dei cartelloni dudovichiani: la sorridente figura femminile circondata di nastri svolazzanti delle "Feste di Maggio", l'affascinante dama in abito da sera del "Ventaglio nell'arte e nella storia", il censurato nudo di donna delle "Terme di Porretta"; e poi sue sarebbero anche le più rassicuranti movenze della giovane moglie che scioglie nell'acqua una compressa Gasal e lo sguardo materno della gentildonna in giallo che reclamizza le "Miniere Sulfuree Trezza-Albani".

Ma allora... chi è la sopracitata Rosina? Ce lo spiega il signor Gualtiero Mingardi, astrofilo, appassionato di archeologia, cultore della letteratura e molte altre cose ancora. "Nel 1890, la famiglia di mio nonno si trasferì da Galliera a Bologna e andò ad abitare in via Cartolerie n. 5. Una delle figlie, Rosa, nata nel 1884, quando fu più grandicella andò a lavorare nella litografia di Chappuis che si trovava in via Cartolerie, proprio di fronte alla casa dei nonni. Con il permesso dei genitori, che pure avevano impartito un'educazione severa, la ragazza posava come modella per Marcello Dudovich che era arrivato a Bologna nel 1899 ". Il signor Mingardi mi fa vedere una foto di Rosa, che è sua madre e me ne fa notare con un certo orgoglio la bellezza. Poi mi mostra su un libro alcuni dei carlelloni dudovichiani e mi invita al confronto. E' vero, devo riconoscere che il signor Mingardi ha le sue ragioni per sostenere ciò che sostiene. Non tutte le figure femminili di Dudovich hanno il "naso leggermente aquilino" e il corpo sottile della "faentina". Gli occhi grandi e il viso pieno della ragazza del "Salutis Soap" sono sicuramente tutt'altra cosa rispetto ai lineamenti appuntiti e al portamento austero della donna delle "compresse Gasal". Anche la dama vestita di bianco che esce da San Petronio nel cartellone del "Buton" deve probabilmente il suo andamento svolazzante e le linee più morbide alla diversa identità della modella oltre che al tono pittorico-impressionista del manifesto. Infine l'acquatica figura femminile delle "Terme di Porretta" mi sembra più somigliante al tipo di donna impersonato dalla giovane Rosa Galuppi che a quello della longilinea Elisa Bucchi. Non è questa la sede per affrontare problemi di filologia dell'opera, tanto meno per azzardare una tesi sicuramente interessante, ma corredata di un apparato di prove così debole. In attesa che qualche addetto ai lavori presti ascolto alle affermazioni del signor Mingardi, limitiamoci a fantasticare sulla storia dell'ingenua quindicenne, magari timida e schiva che andava a posare per l'affascinante "forestiero", ignara del destino che le avrebbe riservato il tempo, al di là dei soprusi della storia: il suo sguardo, se è veramente suo, che la gente sappia o no che le appartiene, comunque continua a guardare.

Maria Rosaria Barba

Tratto da "Bologna - mensile del Comune - Attualità, cultura, economia, costume e vita amministrativa - Anno di fondazione 1915- n. 6/7 Giugno-Luglio 1989 . Trascrizione a cura di Lorena Barchetti.