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Il Carnevale degli Etruschi

febbraio 1874

Schede

Sull’onda del grande interesse mostrato dai petroniani, e mai scemato con gli anni, per gli scavi archeologici che avevano portato alla scoperta di grandi sepolcreti felsinei in area bolognese, la Società del Dottor Balanzone decise nel 1874 di rivitalizzare «l’ormai rancido divertimento dei corsi, [con] una gran marcia raffigurante l’ingresso degli Etruschi a Bologna» (“Gazzetta dell’Emilia”, 18 gennaio 1874).

Confidando nella popolarità di tali scoperte, gli organizzatori vollero tentare un rilancio delle iniziative carnevalesche, più volte sollecitati in questo senso dalla stampa, sostituendo «ai corsi mascherati che negli anni perduti fecero cattiva prova, un nuovo, originale, straordinario trattenimento… una gigantesca mascherata di mille persone circa, le quali fingendo resuscitati gli Etruschi in pieno secolo decimonono, verrà presentando colla maggiore possibile esattezza i costumi, la religione, le arti, la milizia di quel popolo antichissimo» (“Il Monitore”, 10 gennaio 1874). L’accurata riproposizione dei vari aspetti della vita degli originari abitatori di Felsinea richiese, in effetti, un impegno notevole da parte dei promotori volendosi rinnovare i fasti di una civiltà della quale non restavano che testimonianze archeologiche. A tale scopo fu più volte visitato il Museo Civico cittadino e la Società fece eseguire studi e disegni anche in altri musei, in particolare quello Gregoriano Etrusco di Roma, ricorrendo contemporaneamente ai reperti ritrovati negli scavi di Villanova e di Marzabotto, materiali messi a disposizione dal senatore Giovanni Gozzadini e dal conte Pompeo Aria (“L’Ancora”, 11 gennaio 1874; “Gazzetta dell’Emilia”, 18 gennaio 1874).

L’intera operazione rientrava, pertanto, nel disegno ambizioso degli organizzatori di proporre un carnevale di grande effetto, ma nascondeva anche un intento pedagogico «volendosi mettere in pratica l’utile dulci, dilettando cioè ed istruendo» e, non a caso, la Giunta municipale, «dietro proposta dell’ing. Antonio Zannoni», deliberò di aprire al pubblico, nei giorni in cui aveva luogo la Balanzoneide, il Museo Civico, «onde possa ognuno della fedeltà degli attrezzi che brandiranno e dei colori che vestiranno le persone mascherate da Etruschi, giudicare col confronto immediato degli oggetti adoperati dagli antichi abitatori di Felsinea, che in quella magnifica ed interessante raccolta si ammirano» (“Gazzetta dell’Emilia”, 18 gennaio 1874; “L’Ancora”, 8 febbraio 1874). Per accrescere le aspettative e acuire la curiosità dei bolognesi, poi, lo spettacolo fu accuratamente pubblicizzato: giganteschi manifesti tappezzarono la città, resoconti quotidiani apparvero sui maggiori periodici locali e vennero predisposte e diffuse creazioni culturali di buon livello: Anacleto Guadagnini, acquerellista e incisore, eseguì una litografia - «lunga 3,40 metri ed alta poco più di un decimetro» - rappresentante il corteo degli Etruschi, tirata in 10.000 copie; mentre il commediografo Emilio Roncaglia compose un poemetto di «ben ottanta ottave» intitolato Balanzoneide. Descrizione dell’ingresso degli Etruschi a Bologna e della grande festa alla Montagnola nel carnevale dell’anno 1874 (“Il Monitore”, 11 e 14 febbraio 1874).

La manifestazione ebbe luogo, una prima volta, il 15 febbraio: prevedeva l’arrivo in città del variegato corteo formato da oltre 300 “Etruschi”: «dalla regina, che assisa in superba biga, è seguita dalla sua corte, alla donna del popolo coll’anfora in spalla ed i figlioletti a mano; dai sacerdoti che condurranno con sé tutto l’Olimpo, ai guerrieri ed agli uomini del popolo che porteranno con loro tutti gli attrezzi delle arti e dell’agricoltura» (“L’Ancora”, 1 febbraio 1874). Il Dottor Balanzone, con il suo seguito formato da trombettieri, araldi, cavalieri, musicanti e guardie d’onore, oltre a sei carrozze in cui erano assise le maschere delle principali città italiane, li avrebbe accolti con tutti gli onori a porta S. Stefano e, dopo aver fatto loro visitare i luoghi più belli della città, li avrebbe guidati fino al parco della Montagnola dove era stato allestito un imponente castello «dipinto su tela» e dove era previsto uno spettacolo ambizioso, «la più grande rappresentazione mimo-drammatica del secolo XIX», ricco di esibizioni ginniche, tornei a cavallo, balli e danze (“L’Ancora”, 17 febbraio 1874). Non solo la città rispose con entusiasmo ma venne registrato anche l’arrivo di oltre 15.000 «forestieri che entravano a processioni», tanto che lungo il percorso «tutti i balconi erano gremiti di spettatori, i palchi eretti lungo le strade, le sedie, tutto, tutto pieno e su le gradinate, e persino entro le botteghe vedevansi stipati gli osservatori» mentre alla Montagnola la piazza era «letteralmente investita da migliaia e migliaia di persone» (“Gazzetta dell’Emilia”, 16 febbraio 1874; “Il Monitore, 16 febbraio 1874).

I commentatori del tempo, però, non espressero giudizi lusinghieri: “Il Monitore”, per citare il più caustico nella critica, ironizzò su molti aspetti della manifestazione: «Un nostro collega del mattino dice che “tutti ebbero la miglior impressione dall’effetto bellissimo di quei svariati e storici costumi”. Possiamo assicurare che quel tutti soffre molte, ma molte eccezioni. Sarebbe più esatto il dire che se la grande maggioranza degli spettatori lodò l’abbigliamento de guerrieri etruschi, ed ammirò i bizzarri strumenti della loro banda musicale, criticò senza misericordia il complesso misero della mascherata, biasimò i molti inconvenienti verificatisi nel gran defilé, trovò malfatto che la folla fraternizzasse colle persone del seguito balanzonico ed etrusco, rise agli idoli di gesso rovesciati giù dal loro piedistallo e della sciocca figura che ci facevano que’ barbuti sacerdoti bruciando incenso sui tripodi di bronzo ad alcuni cocci impiastricciati di verde. […] La Balanzoneide non diremo essere stata cosa da stupire… ma da annoiare e da rompere i co… rbelli ai più pazienti spettatori» (“Il Monitore”, 16 febbraio 1874). Gli unici apprezzamenti espressi riguardarono la “fedeltà storica” perseguita dagli organizzatori: «archeologicamente parlando, non si può negare che il corteo etrusco sia riuscito bello e interessante, ma il concetto era troppo serio per essere da carnevale; quei costumi da popoli primitivi troppo semplici e monotoni per riuscire brillanti. La popolazione li accolse freddamente… proprio all’unissono colla temperatura ambiente» (“L’Ancora”, 17 febbraio 1874).

Gli stessi rilievi furono espressi da Alfredo Testoni, acuto testimone del suo tempo: l’augusta moglie del Lucumone «rassomigliava come due goccie d’acqua alla nota fioraia del Caffè delle Scienze»; i guerrieri, con fare poco solenne e militaresco, si fermavano a raccogliere mozziconi di sigari e «per non sentire il freddo intenso di quella giornata nebbiosa, si soffiavano nelle dita e si coprivano con capparelle, punto etrusche»; i sacerdoti non riuscivano a nascondere sotto le «parrucche e le barbe solennemente bianche» i ciuffi di capelli e i baffi neri; le comparse dei «nobili etruschi» erano salutate confidenzialmente dagli spettatori con frasi del tipo «Addio Pirula! Al salut Baffiett! Tanto da ritenerli modesti abitatori dei bassi rioni della città». Secondo la sua valutazione «mancò quello che doveva servire ad accalorare il pubblico, mancò l’illusione in quel corteo che era visto troppo da vicino dagli spettatori» (A. Testoni, 1972, pp. 155-158; F. Cristofori, 1978, p. 203). Nonostante tutto, quella “resurrezione storica” continuò ad essere per molto tempo tra i ricordi più vivi del carnevale bolognese; non a caso nacque in quell’occasione un detto che a Bologna ancor oggi qualcuno ricorda: “Am pèr un Etròssc” (“Sembra un etrusco”) per indicare chi è sporco in viso, e di qui l’epiteto “Truschi” (“Etruschi”) a significare “sporchi, sudici”, con evidente allusione agli “interpreti” di quella sfilata che, dovendo accentuare il loro esotismo, si erano imbrattati il viso (A. Manarini, 1968, p. 15; F. Cristofori, 1978, p. 203; G. Sassatelli, 1984, p. 343).

Rossella Ropa

Testo tratto da Cent'anni fa Bologna: angoli e ricordi della città nella raccolta fotografica Belluzzi, Bologna, Costa, 2000.