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Monumento Ottani, già Baldi Comi

1815 | 1816

Schede

Il grandioso monumento Baldi Comi (poi Ottani) appare forse il più scenografico dell’intera Certosa anche grazie al felice accostamento tra il fondale policromo (opera dei pittori Flaminio Minozzi e Giacomo Savini) e l’opera scultorea di Giovanni Putti. Tutti lavorarono sotto la regia dell’architetto Angelo Venturoli che progettò l’intera opera nel 1815 su commissione di Giovan Battista Comi che così intendeva celebrare la memoria della moglie Carolina Baldi scomparsa due anni prima. Si tratta di uno dei rarissimi monumenti a “tecnica mista” (pittura e scultura) eretti nel cimitero bolognese, se ne conosce infatti un solo altro: quello, perduto, di Paolo Negri, opera del paesaggista Alessandro Della Nave e dello scultore Giacomo De Maria.

Tra la primavera e l’estate del 1815 i pittori Minozzi e Savini eseguirono il loro lavoro e, subito dopo, nell’agosto dello stesso anno, fu consegnato a Putti il disegno di Venturoli perché ne eseguisse la parte plastica. Tuttavia, sulla base dei disegni ritrovati all’Archivio del Collegio Artistico Angelo Venturoli, il ruolo dello scultore sembra essere andato ben oltre la mera esecuzione ed essere stato di primario rilievo nella scelta iconografica del complesso scultoreo. L’opera plastica, infatti, rispecchia solo in parte le prime idee di Venturoli: vengono mantenute la struttura architettonica piramidale, nonché la disposizione delle due figure in primo piano e dell’Allegoria della Religione intronizzata alla sommità del monumento - sopra un alto basamento cilindrico coronato da una fila di suggestivi mascheroni - e connotata dai simboli della redenzione. Risulta poi invariata l’idea dell’urna come fulcro catalizzatore dell’attenzione e della gestualità delle figure. E’ invece alla Piangente e al Genio funebre che Putti apporta alcune risolutive modifiche: entrambi stanti (mentre i disegni di Venturoli prevedevano una Piangente inginocchiata) acquisiscono un carattere monumentale e, soprattutto, il Genio non è più un Putto come previsto da Venturoli ma assume un atletico corpo di reminiscenza canoviana. Il Genio alato con la face rovesciata, figura che in età neoclassica conobbe grande fortuna, in questo caso assume una iconografia nuova: generalmente infatti i Genî dei monumenti sepolcrali neoclassici appaiono “dolenti”, cioè in atteggiamento mesto, ma non in atto di asciugarsi le lacrime come in questo caso. Similmente insolita appare la Piangente, apparentemente “anonima” e priva di connotazioni allegoriche, avvolta nel suo ampio manto che lascia scoperti solo gli avambracci, le mani e appena il profilo; ma è proprio nel viso, abilmente nascosto (lo si vede completamente solo avvicinandosi e guardandolo da “sotto in su”), che sta la sua particolarità: ci rivela infatti un dettagliato ritratto maschile con tanto di basette e di espressione corrugata. Appare ovvio che si tratti del ritratto del committente che piange la consorte scomparsa: la figura perde così la sua identità generica di Piangente per assumere quella di Allegoria d’Amore e Fedeltà coniugali.

Emanuela Bagattoni, luglio 2012

Testo tratto da: R. Martorelli (a cura di), La Certosa di Bologna - Un libro aperto sulla storia, catalogo della mostra, Tipografia Moderna, Bologna, 2009.