Salta al contenuto principale Skip to footer content

Monumento di Jacopo Alessandro Calvi

monumento composito 1822 | 1823

Schede

Il monumento funebre al pittore Jacopo Alessandro Calvi presenta un iter progettuale davvero complesso, durato all’incirca otto anni. Calvi, chiamato il Sordino, si distinse in vita per le qualità artistiche e insegnò alla Pontificia Accademia dal 1770 al 1804. A partire da questa data fu istituita la nuova Accademia Nazionale e Calvi ricoprì il posto di Socio Onorario fino alla morte, che sopraggiunse il 15 maggio del 1815. Dal decesso passarono due anni prima di ricevere qualche notizia riguardante l’esecuzione del monumento funebre. A causa della caduta di Napoleone e del ripristino dello Stato Pontificio, l’esecuzione dei sepolcri all’interno della Certosa subì dei rallentamenti che riguardarono anche i lavori per quello dedicato al Sordino che non risultava, alla fine del 1817, ancora eseguito. Il 15 Dicembre 1817 il Comune ordinò, entro la fine dell’ottobre 1818, il completamento dei lavori degli archi che risultavano a quella data ancora incompiuti. Allo scadere del termine, se non veniva rispettata, il proprietario dell’arco perdeva tutti i diritti ed esso veniva restituito, dietro pagamento della somma sborsata all’atto d’acquisto.

Questa normativa riguardava anche la tomba dedicata al nostro pittore, e il figlio Giuseppe Maria si affrettò a confermarne il completamento, impegnandosi a presentare un disegno per l’approvazione. Il disegno con il numero di inventario 28249, forse potrebbe essere una delle versioni presentate alla Commissione o comunque uno dei progetti pensati da Vincenzo Vannini, ma non sottoposto all’esame degli Accademici. Vincenzo Vannini, architetto e ingegnere bolognese, si distinse per aver esercitato l’arte con grande lode. Egli progettò numerosi monumenti presenti oggi nella cimitero bolognese, e gran parte degli artisti che lavorarono nel cimitero collaborarono con lui. Tra le opere più importanti si possono ricordare le tombe per Luigi Acquisti, Olimpia Spada, Clotilde Galletti e la famiglia Ratta Garganelli. La probabile attribuzione del disegno sopra menzionato può essere sostenuta dal fatto che è sicuramente un disegno per un monumento dedicato ad un artista e in particolare ad un pittore, in quanto è rappresentata la tavolozza dei colori: questa è retta da una figura che esprime il dolore per la morte del defunto, sentimento espresso a sua volta dal Genio Funebre sulla sinistra e dall’allegoria della Giustizia sulla destra. In realtà non è stato trovato, ad oggi, nessun documento che accerti la veridicità di tale attribuzione, anche perché il disegno non riprende nulla dell’attuale esecuzione del monumento presente nel cimitero.

Bisogna pur evidenziare che l’iter per l’esecuzione di un’opera da inserire nella Certosa era molto lungo: il proprietario dell’arco doveva contattare un artista (un architetto, un quadraturista, uno scultore) che aveva il compito di eseguire dei disegni del monumento: questi venivano inviati al Podestà, che a sua volta lo spediva all’Accademia. Spettava poi alla Commissione Accademica, nominata ogni anno a partire dal 1815, il compito di esaminare il progetto o il bozzetto e decidere se il sepolcro poteva essere eseguito oppure no. La presenza di più varianti per ogni singolo sepolcro e l’affinità iconografica, che tendeva a rappresentare il bello ideale e la morte intesa come legame affettivo, lasciando lo spazio alla rappresentazione dei Geni della morte, dell’Eternità, della Speranza, della Fede, della Resurrezione, rende tutt’oggi arduo definire la giusta attribuzione al corrispettivo monumento funebre. Un esempio è il disegno n. inv. 3983, eseguito da Vannini nel Gennaio 1823 raffigurante Dio in alto e due piangenti in basso. Stesso discorso si può sostenere per il disegno n. inv. 28248, il cui ritratto di profilo presente nel disco retto dalla figura in alto, sembrerebbe molto simile al ritratto presente nell’odierno monumento a Paolo Spada, eseguito dallo scultore Luigi Acquisti. In questo caso si potrebbe ipotizzare che il disegno menzionato sia stato realizzato da Vannini per il monumento Spada e successivamente con un altro che corrisponde all’attuale realizzazione. Osservando il disegno possiamo notare che la figura distesa sul sarcofago è stata ripresa da Vannini anche per il monumento a Olimpia Spada e alla famiglia Ratta Garganelli. Infatti, diversi studiosi hanno dimostrato che era consuetudine, da parte degli artisti dell’epoca, riutilizzare i disegni pensati per un monumento funebre mai realizzato, per altre sepolture. Il presentare più volte idee da sottoporre all’attenzione della Commissione Accademica, faceva si che l’effettiva realizzazione si protraeva per anni e di fatto avvenne per il monumento al nostro pittore.

In realtà Giuseppe Maria Calvi non aveva grandi colpe, in quanto i ritardi sull’esecuzione dei lavori non dipesero solo da lui, ma da una lunga storia travagliata che riguardava anche il personale dell’Accademia stessa, in quanto i professori dell’istituto desideravano onorare la memoria del collega provvedendo all’organizzazione della funzione funebre. Essa si doveva svolgere nella Chiesa di Santa Maria Maddalena e sulla porta andava affissa un’iscrizione indicante come gli Accademici di Belle Arti e i figli del Sordino rendevano onore alla sua memoria. A causa delle mutazioni militari e politiche ciò non fu realizzato e, nel frattempo, il Consiglio Comunale della città donò un arco del cimitero alla famiglia del pittore, dove poter trasportare e seppellire il defunto. Vista la mancata esecuzione della pomposa funzione funebre, gli Accademici decisero di onorarne la memoria offrendosi di “ridurre l’Arco sepolcrale a quello stato di decenza e d’ornamento che si conveniva”. I signori Accademici indugiarono nell’esecuzione e scaduto il termine fissato dal Consiglio, il 27 ottobre 1818, Giuseppe Maria Calvi si vide costretto a chiedere una proroga per l’esecuzione dei lavori alla primavera del 1819. Purtroppo neanche a quella data risultava eseguito alcun lavoro, tanto che nuovamente il figlio inviò il 16 Settembre 1819 una lettera per sollecitare il Presidente dell’Accademia ad abbellire e ornare il sepolcro. Il 24 Ottobre 1820 il monumento era ancora incompiuto e l’Assunteria del Cimitero di Bologna comunicò che il corpo del pittore sarebbe stato spostato dall’Arco dove era sepolto ad “un altro luogo meno dignitoso ed onorevole”. Immediatamente il figlio inviò una lettera per scusarsi del ritardo dei lavori e chiese di non consentire la sostituzione dell’arco, e di prorogare il termine dei lavori almeno fino alla primavera del 1821, in quanto il clima avverso del Cimitero non ne consentiva l’esecuzione prima di quel periodo. Presentò così uno dei disegni che aveva fatto realizzare “con animo però di farvi poche ed accidentali mutazioni”.

Il disegno qui esposto, conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Bologna, viene eseguito nuovamente da Vincenzo Vannini, ed è totalmente difforme rispetto al sepolcro presente oggi in Certosa, infatti nell’ottobre del 1821 non era ancora stato eseguito. Quello stesso mese fu presentato un nuovo disegno da sottoporre al giudizio, in quanto il progetto presentato l’anno precedente era stato perduto in circostanze ignote. Il disegno risultava agli occhi della Commissione “poco bene ideato e male eseguito” ma non c’era il tempo necessario per una nuova esecuzione date le ristrettezze di tempo in cui doveva essere eseguita l’opera. La descrizione risulterebbe alquanto simile al monumento oggi presente nel Chiostro Terzo: una nicchia semicircolare con vasi cinerari, una lapide inferiore, tre emblemi che adornano il fregio, il ritratto del defunto. Qualche mese più tardi, il 4 Marzo 1822, Vannini presentò un ulteriore progetto che la Commissione ritenne ripreso da uno schizzo di Mauro Tesi, uno dei maggiori pittori del ’700 attivo tra Emilia e Toscana. Venne approvata l’esecuzione, pur apportando alcune modifiche. La descrizione dell’opera rispecchia il monumento presente oggi alla Certosa, che nel centro ha una figura rappresentante l’allegoria della pittura che regge nella mano destra un pennello, oggi perduto, e nella sinistra il ritratto di profilo del defunto, così come era stato suggerito. L'epigrafe si deve a Filippo Schiassi, autore di centinaia di testi latini per la Certosa. Fino a quella data ancora non era noto il nome dell’artista che avrebbe eseguito l’opera. L’attribuzione ad Alessandro Franceschi è sostenuta dalle guide ottocentesche e da quelle successive: Zecchi, Salvardi, Chierici e Raule, ma è l’affinità stilistica con altre opere dello scultore presenti in Certosa, come nei monumenti Arrighi, Zambeccari e Persiani. Franceschi fu tra i maggiori interpreti della scultura neoclassica bolognese. Si distinse per le notevoli qualità artistiche e già nelle prime opere è pienamente neoclassico, con chiare aperture allo stile canoviano. Lo stile dello scultore successivamente si avvicina al Naturalismo di Lorenzo Bartolini, con molta probabilità conosciuto a Firenze, il quale, secondo le cronache locali, sembrò apprezzare molto l’opera del Nostro. Nonostante le qualità artistiche, Franceschi rimase uno scultore conosciuto per lo più nel territorio locale, molto stimato dai colleghi e dall’Accademia della città, dove insegnò come supplente di scultura nel 1831. La sua morte lasciò un vuoto nel mondo dell’arte bolognese in quanto “ha dato lassi di gran saper e fine squisitezza nella professione sua, e vivea in grandissimo credito perciò presso gli artisti, specialmente che sentono il gusto antico dell’arte”.

Tiziana Quaglietta

Testo tratto dal catalogo della mostra "Luce sulle tenebre - Tesori preziosi e nascosti dalla Certosa di Bologna", Bologna, 29 maggio - 11 luglio 2010.