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Lapide degli Ursii

lapide Seconda metà del I-inizi del II secolo d.C.

Schede

Provenienza: Bologna, Muro del Reno

TRASCRIZIONE

V(ivus) f(ecit)

L(ucius) Ursius

Sosander

vestiar(ius) Bonon(iensis)

sibi et Rufriae

Calybe con[i]ugi

piissim[a]e

isdem d[o]mo

Cremona VIvir (=sevir)

in front(e) p(edes) XXV

in agro p(edes) XXV

TRADUZIONE

Lucio Ursio Sosandro, vestiario di Bononia, seviro, fece da vivo (questo monumento) per se stesso e per Rufria Calybe, moglie devotissima, entrambi di Cremona.

(L’area funeraria misura) 25 piedi sul lato strada e 25 piedi in profondità


Come spesso accade questa lapide venne fatta preparare e posizionare nell’area funeraria quando il suo futuro ospite era ancora vivo. Questa usanza rispondeva a una duplice esigenza: da un lato predisporre tutto il necessario per il proprio funerale era senza dubbio un buon modo per essere sicuri del risultato finale (chi fa da sé, fa per tre!); dall’altro lato la lapide, posta in bella vista lungo una delle vie principali di accesso alla città, era una sorta di “spazio pubblicitario” personale. Sosandro e sua moglie grazie a questa pietra sono quindi riusciti ad assicurarsi due risultati: far sapere ai loro contemporanei che in città risiedeva un vestiarius, un venditore di vestiti e tessuti, che era nientemeno che seviro, sacerdote del culto imperiale (hai visto mai che ai viandanti servissero abiti nuovi), e allo stesso tempo far giungere fino a noi, viandanti del XXI secolo, la memoria dei loro nomi.

Curosità: nel mondo romano, a dar retta agli intellettuali, il lavoro non era una cosa propriamente dignitosa. Quasi tutte le fonti letterarie infatti trasudano di disprezzo per il lavoro manuale ed in particolare per tutto ciò che riguarda vendere e comprare merci e maneggiare denaro. I Romani puri e duri dovevano solo dedicarsi alla politica e, al limite, alla terra: una sorta di nostalgia per i “vecchi tempi” faceva sì che anche in età imperiale coltivare la terra per gli uomini e filare la lana per le donne rimanessero, nell’immaginario collettivo, le più virtuose delle attività, anche se naturalmente ormai nessun senatore aveva idea di come si usasse un aratro e tutti compravano vestiti già confezionati. Proprio di vestiti si occupava Sosandro: i vestiarii si collocavano alla fine della filiera della lana, vendendo al dettaglio tessuti e vesti pronti per essere indossati. Ma se il fatto stesso di arricchirsi lavorando era disdicevole, perché un cittadino di Cremona, Bolognese di adozione, decise di farsi immortalare sulla propria tomba come lavoratore? La risposta è semplice: tra gli intellettuali di Roma e la gente comune c’era di mezzo, come tra il dire e il fare, il mare. Nella fitta rete di città dell’impero chi raggiungeva il benessere grazie al proprio lavoro o competenze spesso lo proclamava con orgoglio.

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Descrizione tecnica

Calcare: 156,5x64,5x25 cm. Inv. 19143