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La meridiana

1965-66

Schede

A fronte di un silenzio insistito della critica (Solmi 1969, p. 14) sono stati numerosi gli esegeti di Leonardo Cremonini. Tra questi soprattutto scrittori, filosofi e poeti come Pierre Emmanuel, Louis Althusser, Alberto Moravia, Michiel Butor, Italo Calvino e Umberto Eco (cfr. Elementi 1996, pp. 18, 22). Quest’ultimo ritiene che questa particolare anomalia si possa spiegare con la “natura” stessa della pittura di Cremonini: “anche se eminentemente ‘pittorica’ […] essa è nondimeno assai letteraria e filosofica: racconta, organizza intrecci ambigui e sottintende una serie di ragionamenti (visivi certo) sul ruolo del soggetto, dello sguardo, del desiderio e della voluttà” (Eco 1988, p. 160). Alain Jouffroy lo definisce “autore del più grande romanzo dipinto fino ad oggi sulle relazioni amorose dell’individuo con la realtà”, capace con la sua pittura di far avanzare il pensiero visivo nei domini che sembrano riservati ai poeti e ai romanzieri (Jouffroy 1988, p. 228). Cremonini è dunque considerato uno tra i più grandi pittori “figurativi” del secondo Novecento, anche se la sua opera sfugge ad ogni possibile definizione data la complessità semantica riflesso della grande tensione spirituale dell’autore.

La critica riconoscere nel corpus del pittore un percorso configuratosi con un interesse dapprima verso le forme del mondo inorganico e minerale poi allargatosi al mondo vegetale e animale. L’ultima tappa è l’interesse verso l’uomo, il suo mondo e i suoi oggetti. (Althusser 1969, p. 31; Solmi 1969, p. 15; Briganti 1988, pp. 82-86; Arensi 2009, pp. 15-16). Come dice Cremonini stesso: “A partire da un certo momento la mia pittura ha trovato un rapporto con il quotidiano, con la vita dell’uomo più che con la vita fuori dal tempo”. (Eleonora Frattarolo a colloquio con Leonardo Cremonini 2003, p. 172). In particolare con gli anni Sessanta i dipinti cominciano ad articolarsi maggiormente: l’impianto compositivo introduce ambientazioni strutturate con un complesso gioco di ortogonalità spaziale e fughe prospettiche; la ricerca cromatica si arricchisce ed intensifica ottenendo un effetto di allucinazione onirica (cfr. Siciliano 1988, p. 128) dove agiscono uomini e bambini. (Crispolti 1986). Tuttavia la figura umana è caratterizzata dall’evanescenza del volto (Emmanuel 1979, p. 22), dalla irriconoscibilità dei tratti quasi deformati (Althusser 1969, p. 33; Le Bot 1988, pp. 244). “L’uomo è ben presente nell’opera di Cremonini, ma appunto perché ‘non c’è’ ”. Colui che osserva il dipinto non si deve riconoscere nelle figure rappresentate, può solo, “nella forma specifica che ci è offerta dall’arte […] ‘conoscersi in essi’” (Althusser 1969, p. 33.).

A questo periodo va ricondotto il dipinto in esame realizzato tra il 1965 e il 1966 già in collezione Zurlini a Roma e poi in collezione privata a Torino. La scena a sviluppo verticale raffigura tre bambini nell’atto di tracciare a terra con un gessetto una meridiana. A destra si intravede una scalinata mentre sullo sfondo si eleva un edificio con due ampie entrate. La costruzione è particolarmente rigorosa secondo quell’intrecciarsi di linee ortogonali che occupano l’intero spazio creando campiture di colore che saturano l’atmosfera (Briganti 1974 ; Elementi 1996, p. 10 ; Debray 2003, p. 22). La profondità e la costruzione prospettica sono assicurate dalla scelta di un punto di vista ribassato (quello dei fanciulli ?) e dalla suggestiva e calcolata collocazione dei tre bambini. Questi ed in particolare le loro teste si dispongono lungo la diagonale della tela che coincide con quella, non ancora tracciata, della meridiana a terra. A questo composito intreccio di linee rette, tracciate e suggerite, si oppone la figura del cerchio non solo nella meridiana al centro del dipinto ma anche nella rotondità insistita delle teste e nel continuo richiamo di questa forma nella composizione (cfr. Althusser 1969, p. 32). Cremonini crea queste contrapposizioni geometriche e di forze cercando un precario equilibrio dell’immagine (Lascault 1974, pp. n.n.; Le Bot 1988, pp. 246, 250).

Questa sorta di instabilità generata dal contrapporsi e dal moltiplicarsi dei limiti invita infatti a uno spostamento dello sguardo di chi guarda, che è portato istintivamente alla ricerca incessante della comprensione della scena (Le Bot 1988, pp. 238, 260; Elementi 1996, p. 20), la quale chiede di essere interrogata e messa in discussione più volte. Si tratta di un’immagine capace di insinuare un fondo di inquietudine, come esprime la paletta cromatica utilizzata: colori acidi, violenti, complementari che concorrono a creare un’estraneità violenta (Entretiens, Leonardo Cremonini-Françoise Kunzi 1996, pp. 9-10). Non c’è unità spazio temporale perché il pittore insinua, senza esplicitarlo, l’esistenza di altro oltre i confini della tela. Questo suggeriscono le ombre che si proiettano al centro della composizione e soprattutto l’azione che si sta compiendo sul fondo, visibile solo attraverso il riflesso dello specchio. Questo espediente - ricorrente nell’opera di Cremonini- chiama in causa direttamente lo spettatore e il suo spazio a discapito di quello del dipinto e della sua centralità (Entretiens, Leonardo Cremonini-Françoise Kunzi 1996, p. 10; Bacilieri 2003, p. 26). Un altro rimando e omaggio sottile allo specchio è leggibile, a mio avviso, anche nella specularità della posizione assunta dai tre infanti, intenti nell’atto creativo di tracciare linee e confini come l’artista fa nelle sue composizioni. Il bambino che gioca è molto presente nell’opera di Cremonini (Moravia 1972; Brosse 2009, p. 383), che lo elegge a “simbolo dell’artista; i suoi giochi sono i simboli dell’arte [...] le regole del gioco sono quelle della sua arte. […] I luoghi dell’arte sono molto simili agli intervalli di ‘vacanze’, di libertà, in cui il fanciullo gioca. Anche l’arte è una via di mezzo, o un non-luogo, una utopia”. (Le Bot 1988, pp. 244-245). Per questo i suoi dipinti non rappresentano scene del reale, ricordi recenti, essi sono piuttosto immagini e rievocazioni di esperienze dimenticate pronte a riemergere alla coscienza dell’artista e a diventare racconto pittorico. (Solmi 1971; Calvino 1986; Jouffroy 1988, p. 224; Rubin 1988; Eleonora Frattarolo a colloquio con Leonardo Cremonini 2003).

Laura Marchesini

Courtesy Galleria Maurizio Nobile, Bologna