Salta al contenuto principale Skip to footer content

Giardini e Scalea della Montagnola

Di rilevanza storica

Schede

L'area si trova nella zona nord della città, in fondo a via dell’Indipendenza e sorge su una collinetta formatasi dal quindicesimo secolo con terra di riporto. Precedentemente, a partire dal Duecento, la zona, denominata Campo magno o Campo del Mercato – che misurava 1600 x 600 piedi e si estendeva dalla penultima cerchia di mura fino al limite nord dell’attuale Montagnola -, era adibita a mercato del bestiame. Nel corso del Trecento, contemporaneamente all’espansione della città e alla costruzione delle nuove mura, nella parte settentrionale dell’area fu edificata la prima fortezza di Galliera. Questa, simbolo della potenza dei dominatori che di volta in volta conquistavano coi loro eserciti la città, fu, nel corso di due secoli, per ben cinque volte rasa al suolo dal popolo insorto, e ben tre volte ricostruita. La storia popolare racconta che dal cumulo di macerie sempre più consistente, per le ripetute distruzioni, si sia formata, poco a poco, una collinetta o “montagnola del mercato”. Più verosimilmente, dall’ultima distruzione del castello (1511) si cominciarono ad ammassare in quel luogo i rifiuti e i residui edili derivati dagli scavi di cantine e fondamenta dei palazzi senatori.

La prima sistemazione della Montagnola risale al 1662: il pendio venne reso regolare e vi furono piantati gelsi in posizione simmetrica ai lati di un viale che, dalla piazza del mercato, saliva a uno spazio circolarmente delimitato da olmi. I bolognesi cominciarono a usarlo come pubblico passeggio, luogo di ritrovo e teatro di occasioni ludiche. Il concetto stesso del giardino, che andava allora diffondendosi, di pari passo alla giovane cultura borghese, era un fatto del tutto nuovo, destinato a modificare la fisionomia urbana e le abitudini popolari. Da passeggio pubblico, la Montagnola acquistò le caratteristiche del parco e la fisionomia attuale in età napoleonica. Lo spazio venne allargato, spianato e diviso in due zone: la superiore pianeggiante, con un viale circolare tagliato da quattro strade perpendicolari dirette verso un piazzale centrale; l’inferiore in leggero pendio, percorsa da due viali d’accesso delimitanti i lati del cosiddetto “ferro di cavallo”. Fu allora che la piazza del Mercato cambiò il nome in piazza d’Armi (oggi piazza Otto Agosto). Nei viali, che ben si adattavano ai giochi di velocità in quell’epoca di gran moda, percorribili da pedoni e carrozze in gite panoramiche, furono piantati alberi ad alto fusto in doppia fila. Nel corso dell’Ottocento il giardino conobbe il suo momento di massima popolarità: era usato per voli in mongolfiera e gioco del pallone, corse dei cavalli e gare dei velocipedi, feste di carnevale e adunate militari. Infine, fu teatro della battaglia risorgimentale dell’8 agosto 1848 e per lungo tempo lì ebbero luogo le celebrazioni ufficiali di quell’evento.

Nel 1878, con la chiusura di piazza Maggiore alle bancarelle, nel giardino e nella piazza antistante si trasferì il mercato dell’usato, la Piazzola, che esiste tuttora. Negli anni Novanta, sull’esempio dei giardini Margherita, il parco venne risistemato e vi fu collocata la vasca costruita per l’Esposizione emiliana del 1888, opera di Diego Sarti, al centro del piazzale circolare. Venne inoltre completato da un complesso architettonico – le scalee del Pincio – che, affacciandosi su via dell’Indipendenza, offriva la prima bella mostra della città ai forestieri giunti dalla stazione. L’opera si compone di tre parti: il corpo centrale, che sale ai giardini, e i due porticati, su via dell’Indipendenza e lungo le mura. Fra le due scalee fu collocata una fontana, che l’artista bolognese Diego Sarti arricchì di un gruppo marmoreo - raffigurante un cavallo marino che trascina una ninfa svenuta per l’attacco di una piovra che avvinghia entrambi - ideato da Tito Azzolini e Attilio Muggia. L’opera scultorea riscosse molti apprezzamenti, tanto che Giosue Carducci le dedicò l’ode La moglie del gigante - ad indicare nella ninfa la moglie del Nettuno del Giambologna -, di grande successo popolare. Il complesso, nell’angolo sud-est del piazzale di porta Galliera, fu inaugurato il 28 giugno 1896 alla presenza dei Reali, che parteciparono nello stesso giorno anche alle cerimonie per lo scoprimento della statua di Marco Minghetti e per l’apertura dell’Istituto ortopedico Rizzoli. Gli interventi di fine Ottocento sul parco non furono tuttavia positivi per l’uso popolare che ne era stato fatto fino allora: «prima la proibizione di giocare e di calpestare i prati tirati all’inglese; poi per contrasto la concessione di tenere fiere con baracche e giostre che lasciavano la devastazione; infine la presenza sempre più alta di vandali che deturpavano i bassorilievi e le statue, rompevano i lampioni, infrangevano le balaustre, sfrondavano gli alberi. Tutte queste cose determinarono il degrado e l’abbandono del parco» (G. Bernabei, 1986, p. 57).

I lavori della Scalea durarono 3 anni (1893-1896), interrompendosi solo nei mesi più rigidi dell'inverno. Nel cantiere lavorarono una media giornaliera di cento operai, che salivano a centocinquanta con gli specialisti (terraiuoli, muratori, scalpellini, cementisti, modellatori, e via dicendo). Nel 1893, in aprile, avvenne la posa della prima pietra, presenziarono il sindaco Alberto Dallolio, l’assessore all’edilità Gustavo Bernaroli, il conte Edoardo Tuberini, ingegnere capo dell’Ufficio tecnico, il cavalier Burzi e il cavalier Lodi, rispettivamente segretario capo ed economo comunali, l’avvocato “Vitta” (si tratta di Giulio Vita, esponente della democrazia bolognese e della Società Operaia), l’ingegnere Attilio Muggia e il professore Tito Azzolini, che donò l’immagine fotografica posseduta dal Museo del Risorgimento, donata a Raffaele Belluzzi. L’evento fu immortalato da Silvio Minghetti, «che venne presumibilmente invitato alla cerimonia con il preciso compito di eseguire delle fotografie», secondo un uso commemorativo della macchina fotografica nelle cerimonie pubbliche che andava proprio allora diffondendosi. Infatti, «poco tempo dopo, con la fotografia “istantanea”, diverrà quasi un obbligo eseguire riprese di questo tipo nel caso di ogni manifestazione di rilievo»

Testo tratto da Cent'anni fa Bologna: angoli e ricordi della città nella raccolta fotografica Belluzzi, Bologna, Costa, 2000.