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Giulio Gardelli detto/a Leone

12 luglio 1906 - [?]

Scheda

Giulio Gardelli, «Leone», da Domenico e Desolina Sangiorgi; nato il 12 luglio 1906 a Imola; ivi residente nel 1943. 4a elementare. Fuochista. Iscritto al PCI. «Coerente antifascista», la sua lotta politica fu strettamente collegata a quella della sua famiglia e degli abitanti di Osteriola (Imola). «La coerenza alle scelte di vita anche nella sofferenza», inculcatagli dal padre Domenico, «un onesto e religioso lavoratore», si rafforzò a contatto dell'ambiente di Osteriola, centro bracciantile e mezzadrile della bassa imolese che oppose una dura resistenza al fascismo.
La Soldanina, un podere di 40 ettari, sul quale la numerosa famiglia Gardelli si trasferì negli anni venti, «per poter restare unita», divenne «base per le azioni più significative contro il fascismo attorno all'anno 1922». I fratelli Gardelli per la loro «caparbia resistenza» furono tutti perseguitati come i componenti delle famiglie Andalò, Lanzoni e Manzoni. Nell'estate 1922, Giulio, pur essendo minorenne, fu costretto alla latitanza, perché accusato di tentato omicidio. Cercò, infatti, di fermare i fascisti di scorta alle trebbiatrici delle leghe bianche imposte dall'agrariato imolese. Ritornato a casa, fu più volte bastonato.
Nel 1926, dichiarati illegali i partiti politici, la lotta al fascismo entrò nella clandestinità. Su incarico di Attilio Volta , coordinò il movimento giovanile comunista di Osteriola. Nel 1929, convocato nella casa del fascio di Sesto Imolese (Imola), venne rilasciato dopo due giorni di inutili, pesanti interrogatori tesi a conoscere i nomi dei responsabili della diffusione della stampa clandestina. Nel novembre 1930, scoperta l'organizzazione comunista imolese (89 furono gli arrestati) con i fratelli Ernesto e Vincenzo fu arrestato e rinchiuso nei sotterranei del carcere di San Giovanni in Monte (Bologna).
Subì pesanti interrogatori nella questura di Bologna. Con sentenza del 19 maggio 1931 fu deferito al Tribunale speciale per associazione, propaganda sovversiva e detenzione di armi, che il 23 giugno 1931 lo condannò a 5 anni, 1 mese e 5 giorni di detenzione, a 2 anni di libertà vigilata e all'interdizione dai pubblici uffici.
Tradotto nel carcere di Capodistria (GO), gli fu vietata la lettura di testi politici. Per protesta, iniziò lo sciopero della fame e, per punizione, non gli fu somministrata acqua per 24 ore. Liberato nel 1932, per l'amnistia del decennale fascista, venne nuovamente arrestato nel 1939 per associazione sovversiva. Con sentenza del 16 giugno 1939 fu deferito al Tribunale Speciale che il 25 luglio 1939 lo condannò a 3 anni di carcere da scontarsi nel penitenziario di Civitavecchia (Roma) e a 3 anni di libertà vigilata.
Liberato nel 1942 venne sottoposto a misure di sicurezza fino al 1943 quando il maresciallo dei carabinieri Reale, «accertato che era un onesto e laborioso lavoratore», non gli diede più noie. Nel 1943, mobilitato come civile, fu assunto alla Caproni. Nel maggio, poiché sui muri della fabbrica furono trovate scritte inneggiami a Stalin, subì un lungo interrogatorio. Non risultando prove a suo carico, venne rilasciato ma licenziato «perché elemento pericoloso».
Nel luglio 1943 «contro ogni sua aspettativa», fu assunto come fuochista nell'ospedale civile di Montecatone (Imola). Incluso nella lista dei proscritti compilata dai fascisti imolesi dopo l’8 settembre 1943, riuscì a sfuggire all'arresto. «Instancabile nella lotta al fascismo, seppe tessere, con costanza, un ampio movimento partigiano sulle colline imolesi». Per la sua lunga esperienza politica, venne nominato commissario politico del battaglione Montano della brigata SAP Imola, nel quale militò anche la moglie Graziella Manzoni .
Consapevole dei rischi a cui era esposta la popolazione, con i partigiani del battaglione concordò una tattica veloce e precisa per evitare rappresaglie.
L'1 settembre 1944 con Natale Tampieri partecipò al disarmo dei soldati della RSI acquartierati a Cà Campaz (Marana -Imola). L'ingente bottino di armi venne nascosto poi con l'aiuto dei contadini. Il 30 ottobre 1944, rimasto nella zona Ghiandolino - Goccianello - Pediano (Riolo Terme - RA), sfuggì al rastrellamento tedesco per il solidale aiuto del parroco di Goccianello, don Domenico Massari , che lo nascose nella segreta della canonica.
Riconosciuto partigiano con il grado di capitano dall'1 novembre 1943 al 15 aprile 1945. Testimonianza in L. Morini, ... per essere libere..., Imola, 1983 pp. 147-153. [AQ]