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Giuseppe Fancelli

1763 - 1840

Scheda

Di origini bolognesi e figlio di Petronio Fancelli, intraprende fin da giovane la carriera di artista seguendo le orme familiari, poiché sia il fratello che il padre erano pittori e decoratori. Girolamo Bianconi infatti nella sua Guida lo dice “figlio e discepolo di Petronio” e fratello di Pietro. Studia all'Accademia di Belle Arti di Venezia e frequenta un corso di decorazione a Bologna. L'appartenere ad una nota famiglia di pittori, insieme alle sue indubbie doti artistiche, gli consentono di ottenere una certa fama. Maestro d’arte, oltre che decoratore, vanta tra i suoi allievi Onofrio Zanotti, che diventerà uno dei pittori più significativi della scena bolognese tra sette e ottocento. Nel 1802 Fancelli partecipa, in qualità di ornatista, al vasto cantiere per gli apparati commemorativi della morte del pittore Gaetano Gandolfi, eseguiti in S. Giacomo Maggiore. Lavora alacremente all’esecuzione di affreschi sia nelle chiese che nei palazzi bolognesi, spesso insieme al fratello, realizzando compiutamente l’uno le parti di ornato, l’altro quelle di figura, in un connubio perfettamente riuscito.

Questo lavoro di squadra risulta evidente se si analizzano i monumenti funebri realizzati dai Fancelli nella Certosa di Bologna. Delle undici memorie dipinte tra il 1804 e il 1822 ben cinque sono realizzate insieme al fratello, quattro da solo e due rispettivamente con Alessandro Barbieri e Luigi Bertacchi. A tutt’oggi sono visibili solo quattro monumenti, cioè quelli per: Ginevra Gozzadini, Francesco Tartagni Marvelli, Gertrude Gnugni e Ginevra Castelli, tutti collocati nel Chiostro III. Le altre opere dedicate a Francesco Monti Bendini, Gaetano Micheli, Gertrude Lazzari, Amalia Gamberini e Brigitta Giorgi Banti, sono documentate da incisioni e disegni d'epoca. Fuori dal recinto funebre Giuseppe Fancelli collabora spesso con Pietro, ma anche con Gaetano Caponeri, come ad esempio per la decorazione, avvenuta tra il 1811 e il 1815, della Camera dello Zodiaco e della Camera di Venere e Marte in Palazzo Hercolani. Lo troviamo successivamente attivo in palazzo già Merendoni, poi Insom e ora Aldrovandi, dove dipinge la prospettiva nel fondo della scala, adorna di sculture di artisti coevi e dove campeggia la Diana di Gaetano Gandolfi. Nella cappella maggiore della chiesa di S. Benedetto realizza l'ornato attorno al quadro con una Deposizione di Giuseppe Aretusi.

In S. Martino esegue un'altra quadratura che incornicia l'ornato di legno di un dipinto con la Beata Vergine, e col Pranzini la decorazione intorno ad una immagine mariana devozionale. Di tale entità risultano gli interventi del Fancelli nell’edificio religioso, da spingere il Bianconi ad affermare che a lui deve attribuirsi “ogni altro dipinto della chiesa”. Purtroppo i successivi restauri 'in stile' hanno distrutto gran parte di questi decori, considerati successivamente di minor pregio. Tra le opere perdute indichiamo anche l'ornato di un'altra immagine religiosa, in S. Carlo, dove lavora accanto al “fratel Pietro”. La chiesa, distrutta dai bombardamenti nel 1945, è stata e poi ricostruita interamente. Scomparse anche le pitture murali eseguite nella cappella maggiore di S. Bartolomeo di Porta Ravegnana, perchè “ripulite” dal Baldi nel 1922. Degli altri interventi nelle chiese bolognesi segnaliamo quello per la cappella maggiore della B. V. Della Mercede, o di S. Colombano, dove Il nuovo frontale dipinto a tempra sul muro con li Santi Fabiano, Sebastiano, Pietro Nolasco, Colombano e Raimondo non nato, è di Lorenzo Pranzini, e l'Ornato è di Giuseppe Fancelli, de' quali è pure ogni altro dipinto della Chiesa.

Roberto Martorelli, Claudia Vernacotola

"Fancelli Giuseppe, figlio di Petronio, dipinse “S. Tommaso da Villanova (30ª cappella in S. Giacomo), L’Immacolata (nel refettorio del Collegio Venturoli), S. Anna colla Vergine (in S.M. Maggiore), Il frontale a tempra della Madonna della Grada, I quadretti con Angeli nella volta della 2ª cappella in S. Paolo. Sono pure opere sue: le pitture nella volta della 2ª cappella della chiesa della Madonna di Galliera; quelle di alcune sale dell’Arcivescovado e del palazzo Muzzi (in via Imperiale).” Tratto da "La storia delle arti del disegno studiata nei monumenti che si conservano in Bologna e nei suburbi", Bologna, 1888.